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CONVEGNO UNITARIO PARROCCHIALE

CARITAS

Vi proponiamo la lettura di alcuni articoli utili per l’approfondimento della Caritas.
Essi ci presenteranno attività e indicazioni per la nostra crescita spirituale e di servizio.


Caritas , UFFICIO STAMPA

Convegno Diocesano della Caritas….non solo pacchi viveriDomenica 20 aprile 2008 - Centro S. Francesco De Geronimo in Grottaglie.


“La pratica di queste opere di misericordia spirituale e corporale…sono una modalità concreta, possibile a tutti, di manifestare l’Amore per i poveri”.Èpensiero di S.E. Mons. Benigno Luigi Papa espresso nel Messaggio della Quaresima 2008.È anche il messaggio che informa il XII Convegno Diocesano delle Caritas parrocchiali che si svolgerà Domenica 20 aprile nel Centro S. Francesco De Geronimo in Grottaglie.S.E. l’Arcivescovo, in occasione dell’inaugurazione del corso di formazione sulle tematiche della “Famiglia” (uno dei tanti della Caritas), suggerì a Don Nino Borsci che sarebbe stato utile portare la testimonianza della Caritas anche in provincia.Suggerimento, quindi, accolto e realizzato.Nel corso della giornata, infatti, dopo le relazioni di Mons. Carmine Agresta e di Don Nino Borsci,i vari responsabili delle “opere-segno” avranno modo di offrire ai partecipanti le testimonianze del loro operato, secondo il programma allegato.Con il direttore, don Nino Borsci, facciamo un po’ il punto sullo stato di salute della Caritas:“Abbiamo avuto delle crescite significative, almeno sul piano della sensibilizzazione, ma molto resta ancora da fare. Con l’Arcivescovo abbiamo, ancora una volta, convenuto sulla necessità di insistere affinché ogni parrocchia si doti dell’organismo Caritas. Quando, nel 1975, Papa Paolo VI volle istituire la Caritas intendeva promuoverla in ogni parrocchia, con un gruppo composto da laici guidato dal parroco, per occuparsi della testimonianza della carità con senso pedagogico e con azioni concrete per venire incontro alle necessità delle fasce sociali più disagiate. Cioè con un respiro più ampio che non si limitasse solo alla distribuzione dei pacchi viveri”.E dopo trent’anni a che punto è la situazione nella nostra Diocesi?“Non tutte le parrocchie si sono dotate ancora del gruppo Caritas. Per ora siamo all’80%, più o meno. Durante questo lungo periodo, siamo andati nelle varie vicarie della Diocesi per sostenere l’idea di istituire i laboratori parrocchiali delle Caritas da affiancare agli altri organismi. Il problema della Carità verso i più poveri non può limitarsi a risolvere i disagi solo nell’immanente ma deve guardare oltre. Deve educare il povero a tentare di uscire dallo stato di precarietà sociale per riguadagnare la sua dignità di Persona”. Anche la coscienza migliore del ruolo della Famiglia deve essere recuperato e per questo la Caritas sta intensificando gli sforzi di organizzare corsi di formazione sulle relative problematiche con la collaborazione della Lumsa e del Centro Aiuto alla Vita.Per ottenere una comune azione sinergica c’è, però, la necessità di una più stretta interlocuzione e partecipazione?“Alla quale stiamo dedicando parecchia attenzione. Nel nostro Centro Polivalente Giovanni Paolo II, al rione Tamburi, abbiamo organizzato, anche, appositi corsi di alfabetizzazione informatica destinati agli operatori delle Caritas parrocchiali. Lo scopo è di mettere le parrocchie in “rete”, secondo il progetto “OSPO3” e quindi perseguire obiettivi comuni anche per avere scambi di dati significativi sulle varie iniziative, anche di missioni in Paesi lontani e aggiornare costantemente la banca dati sulle risorse e sulle povertà esistenti nei vari ambiti territoriali. Ciò ci permetterebbe di intervenire con progetti più mirati e, quindi, più efficaci.Finora, in mancanza di questi dati, non siamo, purtroppo, ancora presenti nel Dossier regionale delle Caritas ma siamo presenti, solo, con storie significative”.Insomma serve davvero una svolta ed una grande e comune volontà di perseguirla per il bene




Atti delle Relazioni del Convegno Diocesano delle Caritas Parrocchiali. Relazione di Don Giovanni ANCONA(teologo) sull’Enciclica di PAPA BENEDETTO XVI “DEUS CHARITAS EST”.

”L’Enciclica di Papa Benedetto XVI resa pubblica, manco a dirlo, il 25 dicembre 2005, cioè nel giorno del Santo Natale, consta di 3 parti: l’introduzione, la 1^ parte dedicata ai temi teologici dell’Amore e della Carità e la 2^ parte dedicata all’operatività di questi temi, intermini cioè di pragmatismi di solidarietà.Nell’introduzione, il Pontefice traccia, in pratica, “l’orizzonte di comprensione” del tema dell’Amore Cristiano. E’, quindi, importante leggerla attentamente per avere gli strumenti cognitivi per comprendere meglio tutto il significato dell’Enciclica.A me pare che tutta l’Enciclica traduca un messaggio essenziale su Dio e sull’uomo. Al centro della Fede Cristiana, quindi, non c’è solo un contenuto teologico ma anche un contenuto antropologico. Sono due espressioni tratte dal Vangelo di Giovanni: la 1^ parte è “Dio è Amore”,nella 2^ si dice “chi sta nell’Amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”.C’è quindi una sorta di circolarità che va da Dio all’uomo e viceversa, in uno scambio continuo.Questo vuol dire che la Fede Cristiana è sì, naturalmente, Fede in Dio ma anche Fede nell’uomo, e sapete quanta ce ne vuole oggi!L’opzione fondamentale della vita cristiana è anzitutto abbandono, affidamento, radicamento a Dio-Amore. Non è però un Amore astratto perché è continuamente sperimentabile nell’umanità. Ci si può chiedere, però: “perché credere all’uomo?” La risposta è: “bisogna credere all’uomo per il semplice motivo che Dio si è messo in gioco con l’umanità tramite Gesù Cristo”. Noi sperimentiamo in concreto l’amore di Dio grazie all’umanità di Gesù che è, quindi, il tramite di quella circolarità di cui parlavo prima: Dio nell’uomo, l’uomo in Dio, grazie a Gesù Cristo che ne è il mediatore”. Nel Vangelo si dice che l’Amore di Dio e l’Amore del prossimo sono inscindibili. Perché? Perché Dio e l’uomo si riconoscono nell’esperienza di Gesù: Chi ama Dio ama il prossimo. A partire da Gesù, Dio e l’uomo hanno un destino comune: quello di incontrarsi ed amarsi. Questo è l’assunto dell’introduzione dell’Enciclica di Papa Benedetto XVI:“in quale direzione cioè dobbiamo andare”.Per capire gli elementi ideologici, noi dovremmo poter rispondere all’interrogativo fondamentale:“COSA SIGNIFICA DIO E’ AMORE?”Non è facile rispondere. Rispondere, però, a questo interrogativo significa riuscire a capire due questioni, una teologica: “CHI E’ DIO”, cioè la Sua Identità ed un’altra antropologica, cioè: ”CHI E’ L’UOMO” grazie alla mediazione di Gesù.La risposta a questo grande interrogativo oggi è ancor più fondamentale.Nella nostra cultura occidentale si sta respirando, già da qualche tempo, un clima molto pesante dal punto di vista della fisionomia dell’uomo. Sembra un paradosso. Nell’epoca in cui viviamo l’uomo ha tante possibilità in più per esprimere con fantasia e creatività tutte le potenzialità tecniche a sua disposizione. Siamo protagonisti in tante attività: dalla possibilità di scrutare il misterioso pianeta Marte alla conoscenza della più piccola molecola. Avremmo, quindi, la possibilità di vivere, senza dubbio, una vita di qualità e di longevità migliore. Dobbiamo registrare, invece, un diffuso “smarrimento dell’identità dell’uomo”. E’ in atto, insomma, un processo di “decostruzione” dell’identità soggettiva dell’uomo, il quale viene considerato in modo frammentato in parti divise, i n una specie di lottizzazione teoretica intorno all’elemento Uomo.Noi siamo considerati, cioè, una specie di “composto”. La scienza si interessa di un aspetto; la filosofia, la teologia di altri e così via. Tutte però dimenticano di considerare l’elemento umano nella sua unitarietà. Ciò permette di sfuggire dalla vera comprensione della vera identità dell’uomo.Si considera il fenomeno uomo da diversi orizzonti: c’è l’uomo biologico, quello economico, quello teologico, l’uomo della città, quello della campagna e quello della montagna, l’uomo della famiglia ecc.. E’una considerazione frammentata che genera indubbiamente smarrimento. Non abbiamo un vero centro di riferimento, neanche in noi stessi, che possa suggerirci il fatto che oggi la questione antropologica è una questione davveromolto seria.L’Enciclica di Papa Benedetto XVI, va a calarsi, questo senso, proprio al centro del problema: quello della cultura di quest’epoca.Per capire cosa significa “Dio è Amore” possiamo ricorrere al linguaggio dell’analogia, di una doppia analogia.Due analogie, cioè, che si completano sempre in virtù della famosa “circolarità”di cui ho parlato prima.Una prima analogia, nel nostro caso, significa che noi troviamo nell’esperienza che ci appartiene un luogo da cui partire per capire cosa possa significare “Dio è Amore”. Facciamo un esempio pratico. Il luogo dell’analogia, in questo senso – dice l’Enciclica – è l’amore tra un uomo ed una donna. Se vogliamo quindi capire cosa significa Dio è Amore , o meglio che l’Amore che è Dio, dobbiamo partire da questa esperienza: cioè dall’amore coniugale.A partire da questa esperienza – dice il Papa – si può notare che l’Eros è l’esperienza dell’umano, cioè lo slancio naturale verso l’altro. Non dobbiamo, però, confondere l’Eros con l’erotismo.All’origine di un rapporto tra un uomo ed una donna c’è quindi uno slancio naturale dall’uno verso l’altra. Si dice infatti: “quella donna mi piace e viceversa”.Nell’amore coniugale questo slancio naturale, l’eros, pian piano è, per così dire, disciplinato, purificato, cioè matura e si trasforma in amore vero. Dopo venti o trent’anni, quando non ci sarà più tanto la bellezza o l’attrazione fisica che ha provocato il primitivo slancio naturale, l’amore ci sarà sempre perché quello slancio si è purificato, si è compiuto nella completa scoperta dell’altro, non più e solo fisicamente. L’amore nella vita è una continua scoperta della vita dell’altro, della sua identità, della sua diversità biologica. Dire che dopo 4° anni di unione ci si conosce in tutto e per tutto è unabugia. La scoperta dell’altro è un processo in continuo. Forse scopriamo l’altro, veramente del tutto, quando non c’è più, quando ci viene a mancare. Noi conosciamo l’altra perché ce ne prendiamo cura sempre. C’è una dedizione assoluta l’un verso l’altra, quando due persone si amano veramente. C’è il dono reciproco della vita. Questo è il superamento dell’egoismo. E’ la maturazione dell’eros nell’àgape. Cioè la sintesi personale di corpo e anima.Eros e àgape sono due termini fondamentali per capire a fondo l’amore vero. L’eros come termine per significare l’amore mondano. L’àgape come espressione per l’amore fondato sulla fede e da essa plasmato. Le due espressioni – si legge nell’Enciclica – vengono spesso contrapposte come amore “ascendente” e amore “discendente”. Nel dibattito filosofico e teologico queste distinzioni spesso sono state radicalizzate fino al punto di porle in contrapposizione tra loro: tipicamente cristiano sarebbe l’amore discendente, oblativo, l’àgape appunto; la cultura non cristiana, invece, soprattutto greca, sarebbe caratterizzata dall’amore ascendente, bramoso e possessivo, cioè l’eros. In realtà eros e àgape non si lasciano mai separare completamente l’uno dall’altro.Anche se l’eros inizialmente è soprattutto fascinazione per la grande promessa di felicità, nell’avvicinarsi poi all’altro si porrà sempre meno domande su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell’altro, si preoccuperà sempre di più di lui o di lei, si donerà e desidererà “esserci per l’altra/o”. Così il momento dell’àgape s’inserisce in esso, altrimenti l’eros decade e perde anche la sua stessa natura.Dal vocabolario leggiamo testualmente il significato letterale del termine àgape: “affetto, amore, carità di cui danno prova e fruiscono gli eletti, derivandoli dalla grazia divina”.L’analogia dell’amore della coppia che abbiamo preso in considerazione, n on è comunque sufficiente per capire il significato di “Dio è Amore” e non è sufficiente neanche per capire l’uomo.Chi pensa di aver capito tutto sbaglia se si basa solo sull’analogia della coppia. Ci sono pur sempre altre persone da considerare. Dobbiamo quindi percorrere un’altra analogia oltre quella dell’amore, cioè quella della Fede. Significa “capire cosa Dio dice di se stesso e ciò che ne deriva ed è importante non solo per capire Lui ma anche per capire noi”. Quando Dio ci parla non dice solo qualcosa di sé ma dice anche qualcosa su di noi uomini. Nelle scritture noi abbiamo la storia di questo linguaggio di Dio. Quando ci dice: “Io ti ho creato” non dice solo che Lui è il Creatore ma dice anche che “noi esseri umanisiamo sue creature”. Pensate sia poco? No, anzi è molto. Quando dice che ci ama dice anche che noi siamo amati, nonostante tutto, siamo salvati e perdonati. Lo ha detto in pienezza, con il nostro linguaggio, nella Persona di Gesù, nella cui esperienza terrena sono presenti Dio e l’uomo. InGesù, quale medium, le due esperienze sono unite.Cristo è l’umanizzazione di Dio. Siamo dunque al vertice della creazione.Dio e l’uomo, quindi, sono due esseri che si cercano e si scambiano l’Amore attraverso Gesù Cristo. Questa “circolarità” dell’Amore di Dio per l’uomo e dell’Amore dell’uomo per Dio ci viene consegnata da Gesù nell’Eucarestia.Il Papa sottolinea molto il ruolo dell’Eucarestia come Sacramento dell’Amore reciproco in corpo e sangue. Tirando le conseguenze non si può fare carità senza Eucaristia. L’amore verso il prossimo è infatti il Sacramento dell’Amore di Dio. Dice la prima lettera di Giovanni: “come fai a dire di amare Dio che non vedi, se poi non ami il fratello che vedi!”Con un’attenzione forte dobbiamo considerare che questa “circolarità” dell’amore definirà anche il nostro destino di uomini: “quando lo avete fatto ad uno dei miei fratelli, l’avete fatto a Me”.Da queste istanze forti scaturisce per la comunità cristiana il compito precipuo, particolarissimo, del servizio della carità, l’operatività delle Fede, attraverso l’azione nei confronti dell’altro.La carità può essere fantasiosa, creativa, ma richiede anche dei criteri. Non significa colmare solo le lacune – dice don Nino – ma significa anche promuovere l’umano i n tutte le sue espressioni, dando anche le opportunità per poter vivere dignitosamente, per procedere verso l’umanizzazione globale con una carità a tutto tondo.

©Cappuccio




11/06/2007

UfficioStampa




Introduzione al X° Convegno Diocesano delle Caritas Parrocchiali.Domenica 11 Giugno 2007 - Centro Polivalente Giovanni Paolo II al rione Tamburi.


“Operatori di speranza capaci di costruire comunità” che suscitano nel mondo un rinnovato dinamismo di impegno nella risposta umana all’amore divino (v.1 Deus Caritas Est).E’ questo il tema centrale che darà vita al Convegno Diocesano delle Caritas parrocchiali in programma domenica 11 giugno nel nuovo Centro Polivalente Giovanni Paolo II al rione Tamburi.E’ la struttura fatta costruire dal Comune di Taranto, di fronte al rudere dell’ex Centro sociale, data in comodato d’uso per scopi di aggregazione sociale alle 3 parrocchie del rione.La relazione centrale del convegno sarà trattata da Mons. Giovanni Ancona alla luce dell’Enciclica di Papa Benedetto XVI “Deus Caritas Est”. Don Nino Borsci, direttore della Caritas Diocesana si augura che ci sia una massiccia partecipazione da parte di tutti gli operatori di “fede, speranza e carità” delle oltre 80 parrocchie della Diocesi tarantina.In coda al manifesto, (ideato dallo studio professionale multimediale Quikon srl) è scritto infatti: “Sono invitati tutti gli operatori delle Caritas parrocchiali e tutti coloro che si impegnano nella difesa e nel servizio dei poveri”.Anche gli altri temi che animeranno il dibattito dei gruppi di lavoro possono essere forieri di attenzione e di partecipazione: “povertà ed emarginazione; attenzione alle devianze; sensibilità nei confronti dei diversamente abili”.In fin dei conti il Convegno può e deve essere un’occasione importante per ritornare a partecipare ed a condividere tutti insieme le varie strategie di attività umanitarie da mettere in atto per poter rispondere ,, con sempre maggiore professionalità ed organizzazione alle necessità dei bisogni scaturiti dalla diffusione sempre più marcata dei disagi sociali.Il compito di promozione e di coordinamento , che è proprio della Caritas Diocesana, può avere successo solo con la condivisione e la partecipazione degli operatori delle Caritas parrocchiali, altrimenti resta “vox clamans in deserto” e verrebbe meno, così, quello spirito di comunità che è alla base di una proficua, vera, attività sociale ed umanitaria, da parte di un vero cristiano.Diciamoci la verità, senza nasconderci dietro un dito. Negli ultimi tempi si è notata una certa mancanza di partecipazione agli incontri periodici dei responsabili delle Caritas parrocchiali della Diocesi. Da cosa dipende e perché? Sono domande alle quali sarà opportuno rispondere, con intelligenti propositi, nel corso del Convegno. D’altronde non è forse questo il significato più profondo del messaggio di Papa Benedetto XVI nella Sua Enciclica “Deus Caritas Est”?“Qual è e quale deve essere il ruolo della Caritas parrocchiale in un mondo che cambia?”Nel documento CEI “Da questo vi riconosceranno” si legge: “studiare i bisogni noti e meno noti, espressi ed inespressi; analizzare le risorse disponibili per poter rispondere ai reali bisogni, evidenti e non; educare alla carità la comunità parrocchiale, cioè rendere concreto e visibile il progetto che Dio ha sull’umanità: vivere tutti insieme come sua famiglia, che ha Gesù come modello; formare gli operatori pastorali della carità ed i cristiani impegnati, sia professionalmente sia come volontari, nei servizi sociali pubblici e privati e nelle attività di formazione umana; coordinare i vari gruppi caritativi, aiutandoli non solo a conoscersi e non solo a realizzare programmi di intervento, ma a lavorare insieme come Chiesa.”Compiti ed impegni notevoli, non c’è dubbio, che richiedono, appunto, spirito comunitario e condivisione degli obiettivi, dei mezzi e delle strategie con i quali raggiungerli con sempre maggiore professionalità e coordinamento. Ciò che spetta principalmente alla Caritas Diocesana che dovrebbe assolverli in maniera sempre più propositiva, nella sua azione educativa, così che possano essere meglio recepiti dagli operatori parrocchiali.In questo mondo che cambia e non sempre in meglio, si chiede sempre di più, la sollecitudine verso i più deboli , farsi carico dei poveri (vecchi e nuovi) e degli emarginati attraverso servizi concreti, un più forte radicamento nel territorio con rapporti sempre più diretti con gli abitanti e con contatti frequenti con i soggetti istituzionali pubblici e sociali. Insomma un vero e proprio laboratorio di relazioni.In un altro significativo passaggio dell’Enciclica di Papa Benedetto si legge della “relazione necessaria tra giustizia e carità”, precisando che “la Chiesa non può e non deve prendere nelle sua mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile.Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia”. Una più che giusta radiografia della condizione del nostro tempo.In un passaggio successivo viene citata una caustica riflessione di Sant’Agostino: “remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia?” (uno Stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe ad una grande banda di ladri”). Forse il grande Santo sarà passato recentemente dalle nostre parti?











© A. Cappuccio


11/06/2007




Caritas , 27 MAGGIO 2005

Sintesi intervento di don Luigi Pellegrino vice-direttore della Caritas diocesanaIn vista del IX Convegno diocesano delle Caritas parrocchiali


Sappiamo che Giovanni Paolo II si accingeva a completare la sua 15° enciclica sul tema della carità e della povertà nel mondo. E nei suoi ultimi messaggi aveva invitato tutti "ad andare incontro, con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà". Cominciamo, quindi, da quelle a noi più vicine."La Caritas ha il compito di aiutare le comunità parrocchiali a testimoniare la carità" dice don Luigi Pellegrino, vice direttore della Caritas diocesana e responsabile del Laboratorio delle Caritas parrocchiali. La Caritas parrocchiale, spiega, "deve essere un vero e proprio laboratorio che aiuti l'intera comunità a vivere la carità non solo a livello personale, ma anche comunitario, con gesti e fatti concreti"."Abbiamo lavorato molto su questi aspetti sostanziali dell'azione delle Caritas parrocchiali in questi ultimi 5 anni. Molto c'è ancora da fare perchè il cammino è ancora lungo e deve interessare le 86 parrocchie della nostra diocesi"."Una prima nostra azione è stata quella di incontrare personalmente parroci e volontari delle parrocchie attraverso un mini-itinerario di 7 incontri, partendo dalla periferia. Finora abbiamo visitato 30 parrocchie. Durante questi incontri abbiamo cercato di coinvolgere non solo il parroco ma anche i volontari che già operano, per far comprendere meglio la necessità di testimoniare la carità in maniera sinergica e più profonda con un'azione che vada al di là della semplice offerta del solito pacco viveri o di indumenti. Se ci si ferma a questo si rischia di perpetuare nel tempo il bisogno assistenziale anzichè rimuovere quello esistenziale, o almeno tentare di farlo. L'azione del gruppo Caritas non deve fermarsi al momento dell'emergenza"."Spesso ci sbilanciamo troppo sull'aspetto dell'emergenza con il rischio di non rimuovere le cause dei disagi e dei bisogni sociali. Rischiamo anche di colludere con logiche che non sono proprie della carità, ma sono dell'economie di mercato. Così succede che, per non gettare la roba, la diamo ai poveri. Paradossalmente potremmo dire che per fortuna ci sono i poveri, altrimenti non sapremmo come rinnovare il guardaroba!"."Dico che noi non dobbiamo demordere e occorre vigilare. Insisto solo sul fatto che bisogna stare attenti sul significato vero e più profondo della carità, che, ripeto, non può essere solo quello di andare incontro alle emergenze quotidiane, anche se importanti. Se non c'è un progetto serio che ci permetta di rimuovere le cause che sono alla base delle emergenze, noi rischiamo di appiattirci su quest'ultime e non vivere più la vera testimonianza della carità".Come chiesa non possiamo continuare a tamponare i buchi dell'emergenza. L'annuncio del Vangelo non à questo. L'annuncio di salvezza è invece quello di rimuovere le cause delle povertà. La parabola del Buon samaritano è significativa a tal proposito. Significa cioè andare fino in fondo alle situazioni e non limitarsi al quotidiano. Non possiamo e non dobbiamo 'giocare a ribasso'. Dobbiamo farlo invece 'a rialzo'. L'azione deve essere comunitaria. Un esempio classico è quello del Centro di accoglienza notturna della Caritas. Questo Centro non può costituire l'alibi per le istituzioni pubbliche, in primis i Servizi sociali, a non affrontare il grave problema con un'opportuna pianificazione. Il Centro di accoglienza notturna può solo gestire l'emergenza che, in quanto tale, deve considerarsi momentanea e non perenne. È compito poi delle istituzioni pubbliche fare in modo di uscire dall'emergenza". Bisogna riconoscere ai bisognosi, una buona volta per tutte, la dignità di 'persona'. Sta di fatto che anche alcune importanti organizzazioni di volontariato fanno confusione sul concetto di carità e di solidarietà. Ricordo un messaggio contenuto in un manifesto di una di queste organizzazioni che recitava così: "Il povero è qualcuno che ha bisogno del pane e di qualcuno che glielo dia". Bene, bravi. Così si condanna quella persona a restare povero a vita!". Cosa bolle in pentola nel programma del laboratorio delle Caritas parrocchiali, per il prossimo futuro? "Intanto a febbraio scorso, alcuni nostri collaboratori hanno avuto la possibilità di confrontarsi con colleghi di altre regioni in un convegno nazionale di settore organizzato dalla Caritas italiana. In diocesi stiamo per organizzare una 'rete' che metta in comunicazione tra loro i vari Centri di ascolto delle Caritas parrocchiali. In tal modo si potrà monitorare meglio la situazione
delle varie esigenze sociali del territorio".




Charitas Parrocchiale
Attività


Il centro charitas diocesano prepara ogni anno, come pure quest’ anno ha preparato, un ricco calendario di iniziative che comprende incontri di preghiera, lectio divine, e ore di adorazione, e tombolate, cene di beneficenza e altro ancora. E’ un ufficio molto attivo perché c’è un osservatorio povertà e risorse che opera a livello cittadino e in tutta la diocesi grazie alle segnalazioni delle varie città della diocesi. Il Centro diocesano oltre tale ufficio, ha altri ambiti in cui opera: Migrantes, che si occupa dell’accoglienza e della catechesi delle persone in movimento (come i giostrai, i circensi, i profughi e gli immigrati in genere); assistenza ai “senza tetto” ecc. Nella nostra parrocchia come opera il gruppo Charitas? Da quanto tempo? Chi ne fa parte? Essa opera da diversi decenni. Ne fanno parte circa 20 persone che vi accedono per completare ognuno un proprio personale ambito di crescita, essi sono catechisti, terziari, soci di A.C., ministri straordinari dell’Eucaristia ed altri laici. Gli ambiti principali di lavoro sono:
distribuzione mensile di alimenti e vestiario
centro di ascolto
visite agli ammalati
sezione Migrantes
………
Per quanto riguarda le visite agli ammalati, ci sono diversi elementi del gruppo che si fanno carico di recarsi in visita da queste persone, per un saluto, per scambiare una parola, per trascorrere un po’ di tempo insieme, per dare la possibilità a qualche figlio di svolgere qualche commissione esterna: per migliorare quest’ambito bisognerebbe che chi fosse a conoscenza di persone ammalate ne facesse comunicazione al parroco per poter procedere a stilare un giro di visite più omogeneo e organizzato. Ci vogliono altre persone che siano disponibili a offrire un po’ del loro tempo in maniera generosa e continuativa.
Per quanto riguarda la sezione Migrantes, particolare cura ne ha P. Eugenio, che grazie alla sua conoscenza della lingua rumena, è riuscito a conoscere e a guadagnarsi la fiducia di una parte della comunità Rumena della nostra città, grazie anche alla possibilità che viene offerta a questi nostri fratelli di avere un momento di preghiera in rumeno una volta al mese, con la celebrazione della santa messa in lingua. Molte di queste persone cercano un posto per confrontarsi sulle difficoltà che incontrano tutti avendo in comune il fatto di essere in un paese straniero, spesso anche da soli, con la famiglia, i genitori e non di rado, anche i figli piccoli, lasciati in Romania. La parrocchia ha messo a loro disposizione gli ambienti per questi incontri. Per migliorare questo ambito, ci vuole ciò che dovrebbe essere scontato in qualsiasi comunità cristiana, ovvero l’apertura e l’accoglienza, l’abbattimento della diffidenza che ci impedisce di avvicinarci con fiducia ai fratelli stranieri perché li vediamo diversi, la tempestività nel segnalare famiglie che sono alla ricerca di personale di aiuto domestico, o anche altre mansioni e professionalità: Rumeno o Albanese non significa necessariamente collaboratrice, o badante: ci sono validissimi operai edili, falegnami, carpentieri, oltrechè impiegati e insegnanti.
Per quanto concerne il centro di ascolto, si sta ripristinando la disponibilità di alcune persone che una volta alla settimana raccolgono le richieste particolari di diverse famiglie o singoli, a proposito di richiesta di lavoro, di alloggio, di aiuto economico temporaneo, o di informazioni per districarsi nella folta burocrazia italiana, di tutela legale in caso di parenti violenti, di visite mediche specialistiche, ecc. Per far fronte a queste molteplici necessità, diversi professionisti hanno dato la loro disponibilità assolutamente gratuita; al momento abbiamo 2 avvocati, un dentista, un impiegato INPS. Servono altre figure professionali per venire incontro a varie necessità che subentrano di volta in volta.
Infine, l’ambito non più importante ma con maggiore impatto: la distribuzione mensile. Gli alimenti vengono ritirati in prevalenza dal banco alimentare di Taranto, non mancano raccolte della comunità parrocchiale A tale proposito in fondo alla chiesa da ormai diversi mesi è posizionato un banchetto per rammentare continuamente a tutti il dovere morale di donare qualcosa a chi ha più bisogno.
Fino a pochi mesi fa, le famiglie che accedevano al servizio di distribuzione erano 176 (corrispondenti a circa 500 PERSONE) poiché vi convogliavano tutte le famiglie della città. Dopo un decisivo intervento del nostro parroco, che ha sollecitato i suoi confratelli parroci a prendere nota delle difficoltà in cui versavano alcune famiglie delle loro zone di competenza, le famiglie da noi servite sono scese a circa 40. Ciononostante si sta avviando un progetto di collaborazione con i gruppi charitas della parrocchia di San Francesco e di San Domenico, per realizzare una rete di servizio che funzioni meglio per le famiglie coinvolte. Chi viene a ritirare il pacco o i vestiti da Cristo Re ogni mese? Gente diversa: famiglie numerose, pensionati soli che hanno ricevuto dallo Stato il sussidio minimo, o che ancora non lo ricevono affatto perché non hanno raggiunto l’età stabilita anche se non sono in grado di svolgere alcuna attività lavorativa;. persone che ormai con rassegnazione vengono ogni mese perché sanno che senza quel pacco non possono mettere insieme neanche il pranzo di quella settimana, e persone che timidamente si affacciano con il viso rosso di vergogna, perché hanno perso il lavoro e non sanno come fare, e avendo saputo di questa distribuzione, chiedono se possono aspettare alla fine della distribuzione se rimane qualcosa per loro, promettendo che stanno già alla ricerca di un altro lavoro e che sperano di non venire più. Cosa si può fare per migliorare questo ambito d’azione del gruppo charitas? MOLTISSIMO. Innanzitutto farci un esame di coscienza: pensiamo alle dispense delle nostre case.
Le nostre famiglie non navigano nell’oro, ma se riceveste 4 kg di pasta , 1 kg di riso, 2 kg di spaghetti, 2 panetti da 250 gr di burro, 1 kg di farina, 3 pacchi di biscotti secchi, 8 litri di latte, 2 pezzi di parmigiano e 1 di provolone, tutto questo ogni 30/40 giorni e non necessariamente tutto insieme e non in questa quantità ma anche meno, con 2 bambini a casa, ecco, voi cosa fareste? Quanto resistereste? C’è bisogno di organizzare iniziative di raccolta parrocchiale cadenzate, per esempio una giornata di raccolta durante la quale fare l’offertorio con beni alimentari, cominciando dalla prossima festa della Santa Patrona dell’OFS Santa Elisabetta, quando durante la messa vespertina ci sarà la tradizionale raccolta di alimenti. E al di fuori di queste iniziative parrocchiali, pensare che al parroco si possono sempre lasciare pacchi di derrate alimentari purchè in confezioni non fragili, e a lunga scadenza, che non necessitino del frigorifero per la conservazione, e non in prossimità di scadenza.
A volte, più che fare un dono al prossimo, assistiamo al fenomeno della pulizia delle nostre dispense: sta per scadere e lo porto alla chiesa, tanto quelli se lo mangiano. Sono parole dure lo so, ma purtroppo è la verità: non di rado ho trovato pacchi di pasta con le farfalline dentro! Idem dicasi per la raccolta degli indumenti usati: chiediamo sempre la stessa cura degli alimenti, che cioè siano indumenti puliti, decorosi, integri, che rispettino la dignità di chi dovrà indossarli, e consegnati in cartoni o buste ben piegati e ordinati, non ammucchiati, sporchi, strappati, inutilizzabili. E’ sempre lo stesso discorso: io li indosserei? Cosa si può fare per migliorare quest’ambito? Sensibilizzarci tutti alla raccolta degli indumenti usati, ribadire questi concetti a chi vicino a noi ci chiede se la chiesa raccoglie i vestiti, organizzare tra i bambini del catechismo con l’aiuto delle mamme, la raccolta dei vestitini, delle scarpette, di coperte, di giocattoli, di oggetti per la prima infanzia da consegnare gioiosamente nelle mani di altri bambini. Questo è per fare un esempio.
“La Caritas ha il compito di aiutare le comunità parrocchiali a testimoniare la carità" dice don Luigi Pellegrino, vice direttore della Caritas diocesana e responsabile del Laboratorio delle Caritas parrocchiali. La Caritas parrocchiale, spiega, "deve essere un vero e proprio laboratorio che aiuti l'intera comunità a vivere la carità non solo a livello personale, ma anche comunitario, con gesti e fatti concreti". Possiamo quindi organizzare anche noi momenti di preghiera, di adorazione, tombolate, tutti i suggerimenti saranno ben accetti. Ma se cominciamo a dare un segnale di collaborazione negli ambiti già avviati, tutto si muoverà in maniera più naturale e darà risultati ancora migliori! Infine tutto deve essere fatto con amore, perché come dice il canto: Dov’è carità e amore lì c’è Dio!


Maria AQUARO





RIFLESSIONE COMUNITARIA SULLA CARITAS
Introduzione sull’intero convegno unitario parrocchiale

Prima di iniziare l’argomento che sarà l’oggetto del nostro incontro di questa prima serata, è bene dare uno sguardo al cammino diocesano che in questi due anni ci ha dato un forte messaggio di cammino unitario.
Siamo una comunità e si deve distinguere con un cammino unitario …ma non unico:

  • unitario significa che dobbiamo essere guidati da un unico principio valido per tutti, ma che non fa perdere il carisma dei singoli gruppi o di altri cammini parrocchiali o ecclesiali. In pratica tutti possiamo e dobbiamo partecipare al cammino dei singoli gruppi senza fonderci in essi, partecipare alle iniziative degli altri esprimendo in questo modo la comunità che cammina unita nelle diversità di scelte, consapevoli che in Cristo formiamo un’unità: “ut unum sint”.
  • Unico, invece, significa che tutti dobbiamo fare lo stesso cammino, non riconoscendo altri cammini se non quello proposto.


Il cammino propostoci dal nostro Vescovo in questi anni è quello di Cristo Sacerdote, Re e Profeta, che rispettivamente, si traduce nel cammino della liturgia, del servizio e dell’annuncio: non possiamo annunciare se non preghiamo, come non possiamo pregare se non annunciamo e non possiamo servire se non annunziamo e preghiamo. Sono tre cammini che si completano a vicenda e che nel loro cammino esprimono la loro unità in Cristo. Tutti questi tre cammini diventano insegnamento per la comunità vicina e lontana. Nel convegno diocesano di quest’anno “La Chiesa, comunità educante”, ci viene sottolineato che tutti, gruppi, movimenti ecclesiali e singoli fedeli col loro esempio possono e debbono coinvolgere i fratelli in un cammino unico di fede: chi ci osserva deve poter dire: ecco come sono uniti i cristiani nel loro cammino di fede.

CAMMINO DELLA CARITAS
Fatta questa premessa essenziale, passiamo a qualche considerazione sul cammino del servizio o della Caritas. Mentre ascoltiamo con la nostra mente pensiamo che tutti siamo chiamati a vivere questo cammino pur rimanendo fedeli alla nostra scelta di base.

La nostra considerazione parte da alcuni brani evangelici per me molto importanti e significativi:
Il primo brano è questo: Matteo 22,35-40


Il più grande comandamento


35e uno di loro (farisei), un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». 37Gli rispose: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. 39E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


La legge dell’amore è la legge fondamentale del cammino cristiano: se amiamo siamo vicini a Dio e al prossimo; l’amore disinteressato, vero, aperto, senza limiti. Come possiamo dare senza amare?
E’ fondamentale amare Dio, aspetto teologico, ma è altrettanto fondamentale amare il prossimo, aspetto antropologico. Se amiamo il prossimo ameremo anche Dio, ce lo assicura San Giovanni. Dio si rende presente nel prossimo e vive nel prossimo di qualunque estrazione sociale e religiosa esso possa essere.

Un altro brano da leggere è quello di Luca 10,25-37

25Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». 27Costui rispose: « Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». 28E Gesù: «Hai risposto bene; fà questo e vivrai».
29Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». 30Gesù riprese:
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall`altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n`ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all`albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». 37Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso».

In questa parabola l’amore raggiunge grandi vette:
il samaritano ama contro ogni previsione umana. Ama un nemico, dona al suo nemico, non vuole che il suo nemico muoia di dolore e di stenti; egli va oltre l’aiuto immediato: si preoccupa che la sua guarigione sia completa e ad essa ci pensa lui con le sue proprie forze e con le sue promesse … e “al mio ritorno ti rifonderò ogni cosa.”
La conclusione è un invito a sentirci anche noi dei veri samaritani… vai e fa lo stesso.

LA COMUNITA’ DEI PRIMI CRISTIANI

Ascoltiamo ora un brano degli Atti degli Apostoli, che ci descrive lo sforzo della primitiva comunità cristiana nel dare una sistemazione alla sua vita
Atti 6,1-7


In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana.
2Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. 3Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest`incarico. 4Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». 5Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. 6Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
7Intanto la parola di Dio si diffondeva e si moltiplicava grandemente il numero dei discepoli a Gerusalemme; anche un gran numero di sacerdoti aderiva alla fede.

Ho scelto questo brano per me molto significativo; esso ci descrive un momento molto importante della comunità cristiana fin dai primi suoi passi: quello del servizio al fratello bisognoso.
La comunità dei primi cristiani, avendo mosso i suoi primi passi dall’insegnamento del Vangelo si muove nella direzione giusta e specifica meglio le vie da percorrere: non solo pensando alle necessità del corpo, ma anche a quelle dello spirito. Nella primitiva comunità c’è chi si deve preoccupare di distribuire i beni del corpo, e chi si deve preoccupare di distribuire i beni della Parola.

LA CHIESA OGGI…
La Chiesa oggi, seguendo questa tradizione di carità, è presente alle necessità dei fratelli sia seguendo le necessità del corpo che quelle dello spirito. Essa distribuisce il pane materiale e quello spirituale mediante la parola che salva.
La parola viene distribuita con l’insegnamento, la catechesi, l’esempio di vita di ogni cristiano e della Chiesa stessa e la distribuzione della grazia sacramentale...il pane, elemento di crescita del corpo, viene distribuito dall’istituzione Caritas, la quale principalmente mira a educare il singolo e la comunità cristiana a testimoniare la carità evangelica, promuovendo la pace, la giustizia, la giusta distribuzione dei beni materiali, mediante quelle forme che tutti conosciamo.
Il cristiano si deve inserire in questo cammino di formazione alla carità e di esercizio alla stessa. Chi insegna, nella catechesi in modo particolare, deve aiutare i catechizzandi ad avere questo spirito di servizio per non rimanere sempre e solo nella fase teorica.
E poichè ciò non avvenga ci sarà presentato un programma che mentre guarda al cammino del passatodeve avere uno sguardo sul futuro per spronarci a camminare coi tempi, con la Chiesa e con le necessità dei fratelli bisognosi.

p. Antinio MARIGGIO'





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