Testimonianze...

Don Marco in Kenya È come essere a Betlemme... Una campana per Lodokejek

Un giorno a Nairobi

    Come si vive nella Capitale...

Lodokejek 15 gennaio 2001,

Per molte persone andare nella capitale significa andare a cercare fortuna nell'illusoria speranza che la grande città possa offrire un lavoro dignitoso per tutti, per noi, molto più semplicemente Nairobi significa commissioni o amici che arrivano e partono.

Ebbene, il 4 gennaio ero a Nairobi; raccolgo alcuni piccoli fatti che possono dare un'idea della vita africana in una grande città, questa volta, abbiate pazienza, forse più sui suoi difetti che sulle sue mille ricchezze. Fra una commissione e l'altra passo a salutare i miei amici alla Mill Hill House. Colgo anche l'occasione per esprimere ai padri le mie condoglianze per la morte di Padre Kaiser. Era un omone di 66 anni che è stato assassinato di recente. La sua colpa è stata quella di amare la verità e di ricercare la giustizia. Non temeva di parlare circa i furti della terra alla povera gente e poi si è schierato apertamente in difesa di una ragazza violentata da un ministro del governo (la prova del DNA ha confermato la colpevolezza di tale ministro). Una notte è stato trovato morto nella sua macchina sulla statale di Naivasha. Gran clamore sui giornali, una squadra dell'FBI arriva dagli Stati Uniti (era cittadino americano), il segretario di Stato Americano dichiara che vuole assolutamente la verità. Il tempo passa ma nulla accade, anzi, a dire il vero qualcosa succede, misteriosamente vengono uccise due guardie del corpo del suddetto ministro (probabilmente i colpevoli dell'omicidio di Kaiser). Alla fine, la settimana scorsa i giornali titolano che la morte di Fr. Kaiser non è omicidio ma suicidio. Tutto quindi è messo a tacere. Fa rabbia pensare che per qualche progetto politico o chissà che altro la vita e la reputazione di questo padre sia stata così miseramente venduta. Mentre esprimo le mie condoglianze al buon Br. Fons egli mi dice che al di là di tutta la triste storia, questa morte ancora una volta ribadisce il valore della verità e della giustizia, quei valori per i quali il padre ha pagato con la vita e che ci lascia come compito, mai esaurito, da portare avanti.

Arriva l'ora di pranzo, rientro al Flora, la casa delle suore della Consolata in cui sono ospitato. Faccio pranzo in compagnia di Steven, un giovane medico Inglese che inizia un anno di volontariato al Kenyatta Hospital, l'ospedale di Nairobi, l'ospedale dei poveri. Proseguo le mie commissioni. Verso le 16 sono in centro. Mi siedo ad un bar a bere qualcosa per rinfrescarmi. Nel bar noto strani movimenti. Mi dicono poi che si trattava di prostitute. Giovani donne che cercano di sopravvivere vendendosi. Forse quelle stesse donne che un'organizzazione internazionale sta usando come cavie umane per provare il vaccino dell'AIDS. In Kenya l'AIDS è un flagello, si calcola che ne sia colpito circa il 33% della popolazione adulta.

Alle 16,30 vado in cattedrale. Ne approfitto per confessarmi. Noi tendiamo sempre a contestualizzare le nostre azioni, l'ostacolo della lingua mi costringe ad essere stringato ed essenziale: "ho fatto questo e quest'altro". In un certo senso ciò mi aiuta a chiamare le cose col loro nome e a coglierne maggiormente la portata negativa per la mia ed altrui vita. Alle 17,15 inizia la Messa. Il canto d'inizio è "Venite fedeli". Un po' mi commuovo ritrovando quel clima natalizio tipico di casa nostra. Per un altro aspetto la cosa mi irrita, non c'è nulla di africano in quel canto: né la melodia né la lingua sono frutto di questa terra. Esagero un po': un retaggio del colonialismo? Forse che anche noi missionari corriamo questo rischio di colonizzare col Vangelo anziché di "inculturare" il Vangelo?

Rientro al Flora per cena. Questa volta mangio con una coppia di sposi provenienti dalla Svizzera, sono qui per un periodo di 4 mesi di volontariato (in passato vi erano già stati 9 mesi) in un centro gestito dalle suore di Madre Teresa per i bambini di strada. A Nairobi si calcolano circa 200 organizzazioni che si occupano di questi bambini abbandonati. Dopo cena (sono le 19) faccio ancora una scappata al supermercato a comprare le ultime cose dimenticate. C'è in Nairobi infatti un ipermercato, Uchumi per la cronaca, che è aperto fino alle 8 di sera. Rientrando mi fermo a far benzina. Scherzo col ragazzo che mi serve. Mi dice che lui fa sempre il turno di notte, dalle 6 di sera alle 8 del mattino. Lo prendo in giro dicendogli che siccome fa tante ore prenderà un bello stipendio, sconsolato mi risponde "non parliamo di questo, lo stipendio è misero e poi non sempre il padrone mi paga. Comunque non posso lamentarmi, qui funziona così, se ti va bene, altrimenti ne trovano a migliaia per sostituirti". Mentre sto per ripartire sentiamo delle grida dalla strada, ci voltiamo e vediamo due persone lottare in mezzo alla strada. Un po' di gente accorre, uno ha un bastone, l'altro una frusta, il terzo una catena. Uno dei lottatori scappa, l'altro si rialza: è una ragazza che è stata aggredita probabilmente da qualche "street children" che ha cercato di rubarle i pochi soldi che aveva. Per fortuna l'assalitore si dilegua nel buio della città. Lo avessero preso lo avrebbero ammazzato a bastonate, frustate e colpi di catena.

Anche questa, forse nel suo volto peggiore e più triste, è l'Africa, quell'Africa che disperatamente cerca una sua via di sviluppo e di redenzione...

don Marco