Lectio Divina

 IV DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C

 

Domenica della riconciliazione

 

Tema: Riconciliati in Cristo col Padre per fare Pasqua.

I Lettura: Gs 5,9-12;

Dal Salmo 33(34) –Il Signore è vicino a chi lo cerca.-

II Lettura: 2Cor 5,17-21

Canto al Vangelo: “Mi alzerò e andrò da mio padre e gli dirò:

Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te!” (Lc 15,18)

Vangelo: Lc 15,1-3.11-32

Suddivisione del cap. 15

v. 1-3: Introduzione ambientale per presentare le parabole seguenti;

v. 4-7: Parabola della pecora perduta e ritrovata;

v. 8-10: Parabola della dramma perduta e ritrovata;

v. 11-32: Parabola del padre e dei suoi due figli.

ANNOTAZIONI

v. 1 – Tutti i pubblicani e i peccatori: I pubblicani erano gli esattori pubblici che riscuotevano le tasse a nome dell'impero romano arricchendosi considerevolmente. Questi esattori erano assimilati ai pubblici peccatori, che la legge ebraica escludeva dalla salvezza.

v. 2 – I farisei e gli scribi mormoravano: Questi due gruppi, zelanti della Toràh (Legge), pensavano di evitare i rapporti con i peccatori, cioè con coloro che per il loro stato (immoralità o irreligiosità) o mestiere non compiono le prescrizioni della Legge. I pubblicani in special modo erano giudicati disonesti per natura e nella visione farisea, impuri per i loro contatti con i romani. Con questi primi due versetti si vogliono evidenziare due atteggiamenti contrastanti: la premura dei peccatori di avvicinarsi a Gesù e il brontolio dei farisei e degli scribi.

- Riceve i peccatori e mangia con loro: Gesù stabilisce con essi la comunione mangiando con loro, che nella mentalità orientale indica intimità. Questo atteggiamento di Gesù corrisponde ad una situazione caratteristica della sua vita pubblica (cfr. Mc 2,15-17; Lc 19,1-9; 7,34-50) e realizza l’immagine della comunione nel regno di Dio (cfr. 13,25-29; 14; 15,23-32).

-v. 11 – Un uomo aveva due figli: I personaggi sono presentati molto semplicemente evidenziando due figli, il numero ideale per esemplificare due comportamenti divergenti (cfr. Mt 21,28).

v. 12 – Il più giovane disse: La prima parte della parabola (cfr. v. 12-16) descrive il progressivo allontanamento del figlio giovane dalla casa paterna. Questa partenza non avviene in seguito a litigi, ma come chi desidera rendersi indipendente per emigrare e iniziare una propria esistenza all’estero, uso del tutto corrente nella Palestina dell’epoca che non era in grado di nutrire l’intero popolo. Era inoltre normale che fosse il più giovane a cercare fortuna altrove e non il figlio maggiore, perché secondo la regola giuridica (cfr. Dt 21,17; Sir 33,20-24) al figlio maggiore spettavano i 2/3 della proprietà.

v. 13 – Sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto: La dilapidazione implica una nota morale di vita dissoluta (cfr. v. 30). Perdendo i beni ricevuti dal padre egli perde ogni diritto dinanzi a lui. E’ in questa perdita del patrimonio paterno che sta il peccato, più che nella vita lussuriosa che verrà menzionata in seguito (cfr. v. 30).

v. 14 – Venne una grande carestia: La catastrofe personale aggravata da una naturale. Il figlio è ridotto all’indigenza e quindi alla dipendenza altrui.

v. 15 – Si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione: Questo versetto esprime la decadenza del figlio dalla fede e dalla religione del suo popolo, perché si unisce ad un cittadino che allevando porci si rivela un pagano e si fa custode dei porci, l’animale impuro per eccellenza (cfr. Lv 11,7).

– Pascolare i porci: Pascolare i maiali è ciò che di più avvilente si poteva far fare ad un ebreo, al quale era proibito di mangiare la carne di questi maiali e di conseguenza di allevarli. Un detto rabbinico afferma: “maledetto l’uomo che alleva porci”.

v. 16 – Avrebbe voluto saziarsi con le carrube: L’immagine descrive il colmo della degradazione. I porci erano meglio nutriti del figlio, che non può neanche saziarsi delle carrube che servivano come foraggio per porci, cavalli e a volte erano anche sgranocchiate dalla gente.

v. 17 – Rientrò in se stesso: L’espressione esiste sia in greco che in latino con il significato di “cominciare a ragionare” e in ebraico con il significato di “pentirsi” (cfr. At 12,11): è l’inizio della conversione. Un proverbio rabbinico dice: “quando gli israeliti sono costretti a mangiare carrube si convertono”. Il motivo non è elevato: nel soliloquio il giovane paragona la sua situazione di figlio decaduto a quella dei lavoratori a giornata di suo padre.

v. 18 – Padre ho peccato contro il cielo e contro di te: Il giovane ha preso coscienza del suo peccato (cfr. Ger 31,18-19); nel contesto di alleanza, la rottura delle relazioni umane implica anche rottura con Dio (cfr. Es 10,16). Nasce la sua decisione di ritornare verso il padre, pur sapendo di non avere più nessun diritto.(cfr. 18,13).

v. 20 – Partì e si incamminò verso suo padre: E’ la seconda tappa della sua conversione.

– Lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al colo e lo baciò: Tutta l’iniziativa appartiene al padre, lo vede per primo da lontano. Commosso: il verbo significa “sconvolto fino alle viscere”, già esprimeva il sentimento di Jahweh verso il suo popolo (cfr. Ger 31,20; Os 11,8; Is 49,14-15) e il sentimento di Gesù nei confronti del bisognoso (cfr. Mc 1,41; 6,34; 8,2; Lc 7,13; 10,33). Corse incontro: un comportamento non dignitoso per la sua età e autorità. Si gettò al collo per impedire al figlio di umiliarsi gettandosi ai suoi piedi. Baciò in segno di perdono (cfr. 2Sam 14,33) e di comunione senza tener conto dello stato di impurità dovuto al contatto con i pagani e con i porci. Comportamento sorprendente di un padre la cui autorità è indiscussa e il cui amore, gratuito e sovrabbondante, va al di là di ogni regola.

v. 23 – Rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi: Questi tre gesti indicano la completa reintegrazione del giovane nella relazione filiale e nella conseguente autorità. Veste lunga: un vestito di festa che serve ad onorare l’ospite o a significare la sua dignità di figlio (cfr. il vestito dei salvati: Ap 6,11; 7,9.13). L’anello al dito: si tratta probabilmente di un anello con sigillo e quindi il ragazzo viene ristabilito nella dignità filiale con tutta l’autorità e poteri ad essa connessi, rispetto ai servi di casa. Sandali: sono il segno di un uomo libero perché lo schiavo camminava a piedi nudi.

- Facciamo festa: Il banchetto è segno di gioia e di comunione.

v. 25 – Il figlio maggiore…al ritorno: Il figlio maggiore tornando dal lavoro si informa su cosa sia successo e saputolo si rifiuta di entrare. Già l’AT presenta la collera dei giusti provocata dal successo dei cattivi (cfr. Sal 37(38),7).

v. 28 – Il padre uscì a pregarlo: Come già per il primo figlio, il padre viene incontro e lo supplica con insistenza. La risposta del figlio è in tono di rimprovero e senza rispetto, manca nel rivolgersi al padre tale appellativo ed enumera i suoi meriti: la fedeltà e il servizio costante (cfr 18,9-12).

v. 30 – Questo tuo figlio: Vi si legge il disprezzo del figlio fedele per il più giovane che non riconosce più come fratello. Per contrasto nel v. 31 il tono del padre verso il figlio maggiore è particolarmente affettuoso, lo chiama figlio e gli si rivolge con il pronome tu, sottolineando l’amore personale per il primogenito, ricordandogli da una parte che è l’erede legittimo e dall’altra il valore dell’unità familiare e l’importanza della comunione personale con il padre.

v. 32 – Bisognava far festa e rallegrarsi: Il bisognava evidenzia la logica dei tempi nuovi nei quali Gesù ha rivelato l’amore di Dio per ciò che è perduto (cfr. 19,10). Il padre invita il figlio maggiore a riconoscere come fratello il figlio ritornato a casa. Non può ergersi a giudice ed escludere nel nome della propria fedeltà il suo prossimo. La parabola si conclude con il ritornello (cfr. v. 24) inteso come appello al figlio maggiore a condividere la gioia, ad entrare in casa. Se egli farà festa al fratello tornato, se entrerà nella logica dell’amore di suo padre, allora egli stesso potrà sperimentare cosa significa essere figlio ed essere fratello. Quale decisione prenderà il primogenito?

 

Per la “Collatio” e la “Deliberatio”

1) In quale figlio noi ci riconosciamo?

2) L’amore di Dio per tutti fa di noi dei fratelli nella pratica quotidiana?

3) Come può essere applicata al piano sociale e politico questa esigenza di perdono avanzata da Gesù con tanta radicalità?

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