Lectio Divina

 II DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C

 

Domenica della promessa della vita

Tema: Dio promette a colui che si converte ed è fedele la trasfigurazione in Cristo.

I Lettura: Gn 15,5-12.17-18;

Dal Salmo 26(27) –Il Signore è mia luce e mia salvezza.-

II Lettura: Fil 3,17-4,1

Canto al Vangelo: “ Dalla nube luminosa, si udì la voce del Padre:

“Questi è il mio Figlio prediletto; ascoltatelo.” (Cfr. Mc 9,7)

Vangelo: Lc 9,28b-36

 

ANNOTAZIONI

v. 28 – Salì sul monte a pregare: Il monte esprime la vicinanza con Dio, il luogo della rivelazione, ma anche della preghiera solitaria e notturna di Gesù (cfr. 6,12). L’evangelista non si interessa alla localizzazione né al rilievo (alto = Mc 9,2). Per Lc l’intenzione di Gesù non è di manifestarsi ai discepoli, ma di pregare: la trasfigurazione scaturisce da questo rapporto intimo con il Padre. La preghiera precede ed introduce la trasfigurazione di Gesù (cfr. v. 29). Per Lc la preghiera costituisce il momento appropriato e privilegiato per le manifestazioni divine, infatti con la sua preghiera Gesù si pone alla presenza di Dio e ne riflette la gloria (cfr. 3,21).

v. 29 – Il suo volto cambiò d’aspetto: L’evangelista per la trasfigurazione evita il verbo “avere una metamorfosi” (cfr. Mt 17,2; Mc 9,2), probabilmente perché l’espressione poteva essere fraintesa dai suoi lettori provenienti dal paganesimo come le metamorfosi delle divinità pagane. Sembra invece richiamare il linguaggio con cui la Scrittura descrive l’esperienza di Mosè sul monte Sinai, dove il suo volto risplendeva di luce (cfr. Es 34,29-30).

– La sua veste divenne candida e sfolgorante: Bianco, sfolgorante sono colori del linguaggio apocalittico che simbolizzano la condizione celeste, riflesso della divinità, della gloria (cfr. Dn 10,6; 12,3; Ez 1,4.7; Ap 2,17; 6,2).

v. 30 – Mosè ed Elia: .Probabilmente questi due uomini rappresentano la legge e i profeti (=AT) che trovano in Gesù il loro compimento. Si possono anche considerare profeti escatologici in relazione ala fine dei tempi o con la venuta del Messia e quindi la loro presenza indicherebbe l’arrivo dei tempi messianici.

v. 31 – Parlavano della sua dipartita…: L’evangelista non si accontenta di riferire il fatto della conversazione, ma ne dà il contenuto. Il termine dipartita (=esodo), cioè uscita, partenza evoca l’esodo biblico che anche Gesù deve compiere per realizzare il piano di Dio a Gerusalemme, luogo che Lc propone come centro della storia della salvezza (cfr. viaggio verso Gerusalemme: 9,51-19,45).

v. 32 – Oppressi dal sonno: Forse questo sonno potrebbe indicare un “sonno teologico”, cioè la loro inintelligenza e lentezza di cuore nel credere (cfr. 24,25) che solo il risorto potrà allontanare.

v. 33 – Facciamo tre tende…: Le parole di Pietro come suggerisce lo stesso evangelista evidenziano l’incomprensione del significato di questa rivelazione. Probabilmente viene usata la parola tenda perché ha un valore religioso, nell’AT greco infatti traduce la tenda dell’Arca, nel deserto, dimora di Dio in mezzo al suo popolo durante l’esodo, prefigurazione della sua futura e definitiva abitazione tra gli uomini. Potrebbe anche richiamare le capanne nelle quali gli israeliti abitano durante una settimana in occasione della festa dei tabernacoli: ricordo dell’esperienza dell’esodo (cfr. Lv 23,42) e speranza estesa ai popoli (cfr. Zc 14,16-19). In questa proposta di Pietro vi può essere inoltre una allusione alle tende celesti (cfr 16,9) per trasferire sulla terra il soggiorno che i giusti hanno nelle tende del mondo futuro.

v. 34 – Venne una nube e li avvolse: La nube ha un importante funzione teologica nell’AT: è segno della presenza invisibile di Dio e della sua gloria. Il motivo della nube è frequente nel libro dell’Esodo (cfr. Es 24,15-18; 40,34-38).

v. 35 – “Questi è il figlio mio, l’eletto: La voce divina differentemente da quella del battesimo (cfr. 3,22) in cui si rivolge a Gesù con la seconda persona, si esprime qui in terza persona. Mediante la combinazione di due citazioni (cfr. Sal 2,7 e Is 42,1) sono affermati due titoli di Gesù che sintetizzano ciò che la scena della trasfigurazione ha messo in luce: lo stretto legame tra la gloria che compete a Gesù e la necessità di passare attraverso la sofferenza. “Il mio figlio” ci dice qualcosa sul mistero della sua persona in rapporto con Dio e manifestato nella “sua gloria” vista dai tre discepoli. “L’eletto” vuole invece suggerire il titolo caratteristico del servo del Signore chiamato a soffrire.

- Ascoltatelo: Quest’imperativo insegna l’atteggiamento che l’uomo deve assumere nei confronti della missione evangelizzatrice del Salvatore. Nella tradizione biblica il verbo “ascoltare” ha una densità di contenuto che non si riscontra nella nostra lingua infatti non si tratta solo di “dare ascolto” a quanto dice il figlio di Dio, ma soprattutto di “prestare obbedienza” a tutte le sue parole. La formula “ascoltatelo” si ricollega probabilmente a quanto detto per il profeta della fine dei tempi pari a Mosè (cfr. Dt 18,15). Alla luce di questi rilievi si comprende più chiaramente che ciò che Gesù comanda è voluto da Dio, è espressione della sua volontà e di conseguenza esige piena obbedienza da parte dei discepoli.

 

Dai Discorsi di Leone Magno, (Sermo 38 [51], 2-3.5)

L’insegnamento della Trasfigurazione

[Il Salvatore] insegnò che coloro che avessero in mente di seguirlo debbono rinunciare a se stessi e tenere in poco conto la perdita dei beni materiali in vista di quelli eterni; infatti, salverà sicuramente la propria anima chi non avrà avuto paura di perderla per Cristo (cfr. Mt 16,25). Era per altro necessario che gli apostoli concepissero davvero nel loro cuore quella forte e beata fermezza, e non tremassero di fronte alla rudezza della croce che dovevano assumersi occorreva che non arrossissero minimamente del supplizio di Cristo, né che stimassero vergogna per lui la pazienza con la quale doveva subire gli strazi della sua Passione senza perdere la gloria della sua potestà. Cosi, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello (cfr. Mt 17,1), e, dopo aver salito con essi l’erta di un monte appartato, si manifestò loro nello splendore della sua gloria; infatti, benché avessero compreso che la maestà di Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza detenuta da quel corpo che celava la Divinità. Ecco perché aveva promesso in termini netti e precisi "che alcuni dei discepoli non avrebbero gustato la morte prima di aver visto il Figlio dell’uomo venire nel suo regno" (Mt 16,28), cioè nello splendore regale che egli voleva rendere visibile a quei tre uomini, in modo conveniente alla natura umana da lui assunta. Infatti, in ciò che attiene la visione ineffabile e inaccessibile della Divinità in sé, visione riservata ai puri di cuore (cfr. Mt 5,8) nella vita eterna, esseri ancora rivestiti di carne mortale non avrebbero potuto in alcun modo né contemplarla né vederla. Il Signore svela dunque la sua gloria alla presenza di testimoni scelti e illumina questa comune forma mortale di splendore tale che il suo viso diviene simile al sole e le sue vesti sono paragonabili al bianco della neve (cf. Mt 17,2). Senza dubbio, la Trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di rimuovere dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della Passione volontariamente subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata rivelata l’eccellenza della dignità nascosta. Con eguale previdenza, egli dava però nel contempo un fondamento alla speranza della santa Chiesa, in modo che il corpo di Cristo conoscesse di quale trasformazione sarebbe stato gratificato, e i membri si sforzassero da sé di partecipare all’onore che aveva rifulso nel Capo. A tal proposito, il Signore stesso aveva detto, parlando della maestà del suo avvento: "Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre" (Mt 13,43); e il beato apostolo Paolo afferma la stessa cosa in questi termini: "Stimo, infatti, che le sofferenze del tempo presente non siano da paragonare con la gloria di cui saremo rivestiti" (Rm 8,18); e ancora: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio; quando Cristo sarà manifestato, egli che è la vostra vita, anche voi sarete manifestati con lui nella gloria" (Col 3,3-4)...Animato da questa rivelazione dei misteri, preso da disprezzo per i beni di questo mondo e da disgusto per le cose terrene lo spirito dell’apostolo Pietro era come rapito in estasi nel desiderio dei beni eterni; pieno di gioia per quella visione, si augurava di abitare con Gesù in quel luogo in cui la sua gloria si era così manifestata, costituendo tutta la sua gioia; così disse: "Signore è bello per noi restar qui; se vuoi facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia" (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a quella proposta, volendo dimostrare non certo che quel desiderio fosse cattivo, bensì che era fuori posto il mondo, infatti, non poteva essere salvato se non dalla morte di Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a comprendere che, senza arrivare a dubitare della felicità promessa, dobbiamo tuttavia, in mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria; la felicità del Regno non può, in effetti, precedere il tempo della sofferenza.

 

Per la “Collatio” e la “Deliberatio”

1) Sappiamo cogliere nella nostra vita lo stretto legame tra sofferenza e “gloria” alla luce del mistero della trasfigurazione?

2) In che modo l’intimità di preghiera con il Signore Gesù “trasfigura” la nostra vita?

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