Lectio
Divina
II DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C
Tema:
Dio promette a colui che si converte ed è fedele la trasfigurazione in Cristo.
I
Lettura: Gn 15,5-12.17-18;
II
Lettura: Fil 3,17-4,1
Canto
al Vangelo: “ Dalla nube luminosa, si udì
la voce del Padre:
“Questi
è il mio Figlio prediletto; ascoltatelo.” (Cfr.
Mc 9,7)
v.
28 – Salì sul monte a pregare:
Il monte esprime la vicinanza con Dio, il luogo della rivelazione, ma anche
della preghiera solitaria e notturna di Gesù (cfr. 6,12). L’evangelista non
si interessa alla localizzazione né al rilievo (alto = Mc 9,2). Per Lc
l’intenzione di Gesù non è di manifestarsi ai discepoli, ma di pregare: la
trasfigurazione scaturisce da questo rapporto intimo con il Padre. La preghiera
precede ed introduce la trasfigurazione di Gesù (cfr. v. 29). Per Lc la
preghiera costituisce il momento appropriato e privilegiato per le
manifestazioni divine, infatti con la sua preghiera Gesù si pone alla presenza
di Dio e ne riflette la gloria (cfr. 3,21).
v.
29 – Il suo volto cambiò d’aspetto:
L’evangelista per la trasfigurazione evita il verbo “avere una
metamorfosi” (cfr. Mt 17,2; Mc 9,2), probabilmente perché l’espressione
poteva essere fraintesa dai suoi lettori provenienti dal paganesimo come le
metamorfosi delle divinità pagane. Sembra invece richiamare il linguaggio con
cui la Scrittura descrive l’esperienza di Mosè sul monte Sinai, dove il suo
volto risplendeva di luce (cfr. Es 34,29-30).
–
La sua veste divenne candida e sfolgorante:
Bianco, sfolgorante sono colori del linguaggio apocalittico che simbolizzano la
condizione celeste, riflesso della divinità, della gloria (cfr. Dn 10,6; 12,3;
Ez 1,4.7; Ap 2,17; 6,2).
v.
30 – Mosè ed Elia:
.Probabilmente questi due uomini rappresentano la legge e i profeti (=AT) che
trovano in Gesù il loro compimento. Si possono anche considerare profeti
escatologici in relazione ala fine dei tempi o con la venuta del Messia e quindi
la loro presenza indicherebbe l’arrivo dei tempi messianici.
v.
31 – Parlavano della sua dipartita…:
L’evangelista non si accontenta di riferire il fatto della conversazione, ma
ne dà il contenuto. Il termine dipartita (=esodo), cioè uscita, partenza evoca
l’esodo biblico che anche Gesù deve compiere per realizzare il piano di Dio a
Gerusalemme, luogo che Lc propone come centro della storia della salvezza (cfr.
viaggio verso Gerusalemme: 9,51-19,45).
v.
32 – Oppressi dal sonno:
Forse questo sonno potrebbe indicare un “sonno teologico”, cioè la loro
inintelligenza e lentezza di cuore nel credere (cfr. 24,25) che solo il risorto
potrà allontanare.
v.
33 – Facciamo tre tende…:
Le parole di Pietro come suggerisce lo stesso evangelista evidenziano
l’incomprensione del significato di questa rivelazione. Probabilmente viene
usata la parola tenda perché ha un valore religioso, nell’AT greco infatti
traduce la tenda dell’Arca, nel deserto, dimora di Dio in mezzo al suo popolo
durante l’esodo, prefigurazione della sua futura e definitiva abitazione tra
gli uomini. Potrebbe anche richiamare le capanne nelle quali gli israeliti
abitano durante una settimana in occasione della festa dei tabernacoli: ricordo
dell’esperienza dell’esodo (cfr. Lv 23,42) e speranza estesa ai popoli (cfr.
Zc 14,16-19). In questa proposta di Pietro vi può essere inoltre una allusione
alle tende celesti (cfr 16,9) per trasferire sulla terra il soggiorno che i
giusti hanno nelle tende del mondo futuro.
v.
34 – Venne una nube e li avvolse:
La nube ha un importante funzione teologica nell’AT: è segno della presenza
invisibile di Dio e della sua gloria. Il motivo della nube è frequente nel
libro dell’Esodo (cfr. Es 24,15-18; 40,34-38).
v.
35 – “Questi è il figlio mio, l’eletto:
La voce divina differentemente da quella del battesimo (cfr. 3,22) in cui si
rivolge a Gesù con la seconda persona, si esprime qui in terza persona.
Mediante la combinazione di due citazioni (cfr. Sal 2,7 e Is 42,1) sono
affermati due titoli di Gesù che sintetizzano ciò che la scena della
trasfigurazione ha messo in luce: lo stretto legame tra la gloria che compete a
Gesù e la necessità di passare attraverso la sofferenza. “Il mio figlio”
ci dice qualcosa sul mistero della sua persona in rapporto con Dio e manifestato
nella “sua gloria” vista dai tre discepoli. “L’eletto” vuole invece
suggerire il titolo caratteristico del servo del Signore chiamato a soffrire.
-
Ascoltatelo:
Quest’imperativo insegna l’atteggiamento che l’uomo deve assumere nei
confronti della missione evangelizzatrice del Salvatore. Nella tradizione
biblica il verbo “ascoltare” ha una densità di contenuto che non si
riscontra nella nostra lingua infatti non si tratta solo di “dare ascolto” a
quanto dice il figlio di Dio, ma soprattutto di “prestare obbedienza” a
tutte le sue parole. La formula “ascoltatelo” si ricollega probabilmente a
quanto detto per il profeta della fine dei tempi pari a Mosè (cfr. Dt 18,15).
Alla luce di questi rilievi si comprende più chiaramente che ciò che Gesù
comanda è voluto da Dio, è espressione della sua volontà e di conseguenza
esige piena obbedienza da parte dei discepoli.
Dai
Discorsi di Leone Magno, (Sermo 38 [51], 2-3.5)
L’insegnamento della
Trasfigurazione
[Il
Salvatore] insegnò che coloro che avessero in mente di seguirlo debbono
rinunciare a se stessi e tenere in poco conto la perdita dei beni materiali in
vista di quelli eterni; infatti, salverà sicuramente la propria anima chi non
avrà avuto paura di perderla per Cristo (cfr. Mt 16,25). Era per altro
necessario che gli apostoli concepissero davvero nel loro cuore quella forte e
beata fermezza, e non tremassero di fronte alla rudezza della croce che dovevano
assumersi occorreva che non arrossissero minimamente del supplizio di Cristo, né
che stimassero vergogna per lui la pazienza con la quale doveva subire gli
strazi della sua Passione senza perdere la gloria della sua potestà. Cosi, Gesù
prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello (cfr. Mt 17,1), e, dopo
aver salito con essi l’erta di un monte appartato, si manifestò loro nello
splendore della sua gloria; infatti, benché avessero compreso che la maestà di
Dio era in lui, ignoravano ancora la potenza detenuta da quel corpo che celava
la Divinità. Ecco perché aveva promesso in termini netti e precisi "che
alcuni dei discepoli non avrebbero gustato la morte prima di aver visto il
Figlio dell’uomo venire nel suo regno" (Mt 16,28), cioè nello
splendore regale che egli voleva rendere visibile a quei tre uomini, in modo
conveniente alla natura umana da lui assunta. Infatti, in ciò che attiene la
visione ineffabile e inaccessibile della Divinità in sé, visione riservata ai
puri di cuore (cfr. Mt 5,8) nella vita eterna, esseri ancora rivestiti di carne
mortale non avrebbero potuto in alcun modo né contemplarla né vederla. Il
Signore svela dunque la sua gloria alla presenza di testimoni scelti e illumina
questa comune forma mortale di splendore tale che il suo viso diviene simile al
sole e le sue vesti sono paragonabili al bianco della neve (cf. Mt 17,2). Senza
dubbio, la Trasfigurazione aveva soprattutto lo scopo di rimuovere dal cuore dei
discepoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della Passione
volontariamente subita non turbasse la fede di coloro ai quali sarebbe stata
rivelata l’eccellenza della dignità nascosta. Con eguale previdenza, egli
dava però nel contempo un fondamento alla speranza della santa Chiesa, in modo
che il corpo di Cristo conoscesse di quale trasformazione sarebbe stato
gratificato, e i membri si sforzassero da sé di partecipare all’onore che
aveva rifulso nel Capo. A tal proposito, il Signore stesso aveva detto, parlando
della maestà del suo avvento: "Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del loro Padre"
(Mt 13,43); e il beato apostolo Paolo afferma la stessa cosa in questi termini:
"Stimo, infatti, che le sofferenze
del tempo presente non siano da paragonare con la gloria di cui saremo rivestiti"
(Rm 8,18); e ancora: "Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio;
quando Cristo sarà manifestato, egli che è la vostra vita, anche voi sarete
manifestati con lui nella gloria" (Col 3,3-4)...Animato da questa
rivelazione dei misteri, preso da disprezzo per i beni di questo mondo e da
disgusto per le cose terrene lo spirito dell’apostolo Pietro era come rapito
in estasi nel desiderio dei beni eterni; pieno di gioia per quella visione, si
augurava di abitare con Gesù in quel luogo in cui la sua gloria si era così
manifestata, costituendo tutta la sua gioia; così disse: "Signore è bello per
noi restar qui; se vuoi facciamo qui tre tende, una per te, una per Mosè e una
per Elia" (Mt 17,4). Ma il Signore non rispose a quella proposta,
volendo dimostrare non certo che quel desiderio fosse cattivo, bensì che era
fuori posto il mondo, infatti, non poteva essere salvato se non dalla morte di
Cristo e l’esempio del Signore invitava la fede dei credenti a comprendere
che, senza arrivare a dubitare della felicità promessa, dobbiamo tuttavia, in
mezzo alle tentazioni di questa vita, chiedere la pazienza prima della gloria;
la felicità del Regno non può, in effetti, precedere il tempo della
sofferenza.
1) Sappiamo cogliere nella nostra vita lo
stretto legame tra sofferenza e “gloria” alla luce del mistero della
trasfigurazione?
2)
In che modo l’intimità di preghiera con il Signore Gesù “trasfigura” la
nostra vita?
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