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Lettere al Corriere |
settimanale della Diocesi di
Cesena-Sarsina
|
Anno XXXIV
n. 13
6 aprile 2001 |
prima
pagina
Quelli
che chattano con Dio
di Ernesto Diaco
Mentre la memoria della grande festa dello scorso agosto a Tor Vergata è ancora vivissima, i giovani tornano ad essere protagonisti dello scenario ecclesiale. Quel sogno di una notte d'estate romana si riaccende per illuminare i volti delle sentinelle di Cristo.
Sono sedici anni che la domenica delle Palme è dedicata dalla Chiesa alla gioventù di tutto il mondo. Fu un'intuizione di Giovanni Paolo II, che alle nuove generazioni ha sempre dedicato le sue energie migliori. Quest'anno, come succede una volta su due, niente raduni oceanici in giro per il mondo: è nelle singole diocesi, là dove essi vivono, che i giovani mostreranno il loro volto credente.
Di ritratti drammatici e inquietanti ne dipingono già abbastanza i giornali e i media; questa volta la trasgressione giovanile si chiama riflessione e preghiera. La generazione di internet e dei telefonini sa anche chattare con Dio. E senza usare finti pseudonimi. "Tutto quello che c'è da sapere sul mondo degli adolescenti" non si impara sui settimanali di moda, ma frequentando le miriadi di veglie che costelleranno il prossimo sabato sera italiano. Se per le riviste patinate i loro desideri si riassumono in uno scooter da esibire e una notte da sballo in disco, chi li conosce più in profondità non cade nel tranello del Grande Consumatore. Certa tv li offende, banalizzandone paure e ricerche di amore.
Non è un caso che la giornata dei giovani anticipi di una settimana l'irruzione pasquale della speranza nella storia. Ce n'è un immenso bisogno, specie dopo la Via Crucis tra le stazioni dolorose di Sesto san Giovanni, Novi Ligure, Pompei, Latina. Ferite ancora aperte, cui risponde più il silenzio del crocifisso che i fiumi di parole di sociologi e giornalisti.
Per ogni giornata mondiale dei giovani, il Papa scrive loro una lettera. Quest'anno il tema è proprio la croce. Giovanni Paolo II invita i ragazzi a non ripiegarsi su di sé ed a rifiutare la cultura dell'effimero, che presenta come ideale un successo facile, una carriera rapida, una sessualità disgiunta dalla responsabilità. Poi il Papa finisce a parlare d'amore: "il cristiano non ricerca la sofferenza per se stessa, ma l'amore. E la croce accolta diviene il segno dell'amore e del dono totale". La croce è come la fede nuziale al dito di Dio: l'anello di una fedeltà a prova di morte. Portare la croce non è un modo di dire. Significa perdonare, dominare se stessi, vivere il vangelo fino in fondo. "E' il sacrificio che verifica l'autenticità dell'amore", aggiunge il sofferente nonno Karol, convinto che la santità sia anche dei giovani.
Lo conferma la figura esemplare di Pier Giorgio Frassati, nato a Torino esattamente un secolo fa e morto ventiquattro anni dopo, a causa di una poliomielite contratta durante le visite ai poveri e agli ammalati. Modello di perfetta letizia e di ardore giovanile, Pier Giorgio si nutriva di preghiera e di carità, rendendo perfino lo studio una palestra di servizio. Nei suoi occhi profondi vediamo quelli dei suoi coetanei di oggi, anch'essi alle prese con l'università, gli affetti, il volontariato. Con questo santo per amico, cresceranno più liberi e capaci di futuro. Come un sorriso in un mondo rabbioso ed annoiato. |
Il giorno del Signore
Le palme
Ragnarok: la
fine prima dell'inizio
Il teatro come riflessione
La Romagna sprofonda
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«L'uomo e
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New media,
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Nella scuola
mancano veri maestri
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