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Il segno di
croce
Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.
Amen! Sono queste le parole iniziali della celebrazione dell’Eucaristia,
della nostra preghiera, individuale o collettiva, delle nostre azioni
e della nostra giornata: è la semplicissima preghiera degli umili,
forse il più breve dei simboli della nostra fede, eppure esprime
in un gesto e in undici parole i misteri principali del nostro credo.
Questo segno antico accompagna i duemila anni della storia cristiana e
ci riporta al Venerdì Santo, evocando la passione e le sofferenze
di Cristo dall’arresto nel Getsèmani fino alla croce piantata sul
Gòlgota. Esso riassume i tre principali misteri del cristianesimo:
la trinità: questo segno compendia l’infinito di Dio che
è il Padre che ci ha creati, il Figlio che ci ha liberati dal male
e lo Spirito santo che ci ha fatti figli di Dio;
l’incarnazione del Figlio di Dio che è diventato un uomo
e si è reso obbediente alla volontà del Padre sino al sacrificio
della croce per riscattare ciascuno di noi;
la redenzione dell’umanità dalla schiavitù del
peccato e della morte in virtù della croce e della risurrezione
di Gesù.
Il cristiano è uomo di fede che sa guardare al
di là del legno della croce, al di là della morte per contemplare
il mistero della risurrezione di Cristo che apre anche a noi la porta
della vita eterna. "Noi facciamo il segno della croce - scriveva S. Ambrogio,
vescovo di Milano - sulla nostra fronte, sul nostro cuore e sulle nostre
spalle. Sulla nostra fronte, perché dobbiamo sempre rivolgere il
nostro pensiero a Gesù Cristo; sul nostro cuore, perché
dobbiamo sempre amarlo; sulle nostre spalle, perché dobbiamo sempre
lavorare per lui": questo gesto può così accompagnare i
diversi momenti della nostra esistenza, unendoli fra loro e ponendoci
sotto lo sguardo amorevole di Dio. E la croce è per eccellenza
l’immagine delle braccia spalancate del Padre che vuole stringerci a sé
nel suo abbraccio carico di misericordia e di perdono.
Come un bambino scrive il suo nome sulla copertina di un quaderno per
indicare che quell’oggetto appartiene a lui solo e a nessun altro, così
ciascuno di noi, tracciando il segno della croce, vuole affermare la sua
appartenenza a Dio, a Cristo: "io sono un cristiano, io cerco di prendere
sul serio la mia fede". Proprio la parola ebraica amen esprime questo
impegno: è vero, sono d’accordo, tutta la mia fiducia va a Dio.
L’amen è il sì del cristiano che contempla coraggiosamente
"la Croce, che sembra innalzarsi da terra, ma che in realtà pende
dal cielo, come abbraccio divino che stringe l’universo" (Giovanni Paolo
II).
Lasciamo infine la parola al teologo Romano Guardini che ci invita a non
compiere distrattamente questo segno, quasi fosse uno "scacciamosche",
ma a gustarne il senso più profondo: "Quando fai il segno della
croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno
capisce che cosa debba significare. No, un vero segno della croce giusto,
cioè lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra.
Senti come esso ti abbraccia tutto?… Raccogli in questo segno tutti i
pensieri e tutto l’animo tuo… Allora lo senti: ti avvolge tutto, corpo
e anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica. Perché? Perché
è il segno della totalità ed è il segno della redenzione.
Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce egli
santifica l’uomo nella sua totalità, fino nelle ultime fibre del
suo essere". Possa essere così per tutti noi!
Emanuele Borsotti
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