La Domenica: giorno del Signore

Nel 304 d.C., mentre in molte regioni dell’impero romano infuriava la persecuzione anticristiana promossa dall’imperatore Diocleziano, ad Abitène, nell’Africa settentrionale, alcuni funzionari imperiali sorpresero un gruppo di cristiani intenti alla celebrazione eucaristica domenicale e li arrestarono. Dagli atti del processo che ne seguì apprendiamo che uno dei cristiani, invitato a giustificare la sua azione "illegale", rispose al proconsole: "Sine dominico non possumus!", cioè "Senza il giorno del Signore, senza il mistero del Signore, non possiamo stare!". Questa testimonianza di fede vissuta sino all’effusione del sangue ci offre l’occasione per alcune osservazioni terminologiche e per un’attenta riflessione circa il valore e l’importanza della domenica.

La parola
La parola italiana domenica deriva dall’espressione latina dominicus dies che, a sua volta, è calco del greco kyriakè hemèra: le due formule significano giorno del Signore (infatti Signore si indica in latino con il termine Dominus ed in greco con Kyrios). Questa parola, sin dagli albori dell’era cristiana, fu utilizzata per indicare ‘il primo giorno dopo il sabato’, ‘il primo giorno della settimana’, cioè il giorno della risurrezione di Cristo dai morti, della sua manifestazione nell’assemblea dei suoi, del dono dello Spirito ("Ricevete lo Spirito santo": Gv. 20,22), dell’invio in missione ("Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi": Gv. 20,21). L’appellativo giorno del Signore si impose ben presto nel linguaggio della Chiesa delle origini, per indicare un giorno particolarmente importante e significativo, il giorno per eccellenza: infatti nell’Apocalisse di san Giovanni, l’ultimo libro del Nuovo Testamento, composto verso la fine del I secolo d.C., si legge: "Io, Giovanni, rapito in estasi, nel giorno del Signore (en te kyriakè hemèra), udii dietro di me una voce potente…" (Ap.1,10).

Sabato ebraico e Domenica cristiana
Il sabato è il giorno festivo per gli ebrei, la domenica è il giorno dei cristiani. Tutti sappiamo però che l’uomo Gesù fu un ebreo e che il cristianesimo fu un germoglio nato dalla radice giudaica: il messaggio di Cristo costituì una ripresa e un superamento dei valori dell’ebraismo, all’interno del quale il cristianesimo si è diffuso. Occorre quindi porsi queste domande: Perché gli ebrei festeggiano il sabato? Quale rapporto intercorre fra sabato ebraico e domenica cristiana? Quali caratteri della festa ebraica sono sopravvissuti in ambito cristiano?

1. Nel libro della Genesi (2,1-3) si legge: "Il cielo e la terra e tutta la loro schiera furono portati a compimento. Dio portò a compimento nel settimo giorno il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo santificò perché in esso cessò da ogni lavoro che Dio creando aveva fatto". Lo shabbat è il giorno caratterizzato dal fatto che Dio si distacca dalla sua opera, tralascia di lavorare e si riposa: così ogni creatura e ogni essere in cui c’è "alito di vita" (Gn. 1,30), seguendo l’esempio del Padre celeste, possono riprendere fiato. Gli ebrei quindi festeggiano il sabato come memoriale della creazione.

2. Il libro dell’Esodo racconta l’alleanza stipulata fra Dio e il suo popolo sul monte Sinai per mezzo di Mosè: "La gloria del Signore dimorò sul monte Sinai e la nube lo coprì per sei giorni. Il settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube" (Es. 24,16). Il sabato ebraico dunque è anche memoriale della rivelazione e dell’elezione: il settimo giorno, benedetto e santificato, annuncia e comunica la presenza di Dio in mezzo al popolo eletto guidato da Mosè.

3. L’ultimo aspetto del triplice significato dello shabbat è il memoriale della redenzione che si articola in due momenti:

a. la celebrazione della liberazione dall’Egitto. "Ricordati che sei stato schiavo nel paese d’Egitto e che il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire di là con mano potente e braccio teso; perciò il Signore tuo Dio ti ordina di osservare il giorno di sabato": queste parole del Deuteronomio (5,15) descrivono il sabato come giorno della gioia poiché Dio, con un gesto di ‘nuova creazione’, ha strappato Israele dalle catene del faraone, dalla schiavitù e dalle acque del Mar Rosso.

b. la profezia della liberazione futura. Il sabato è la prefigurazione e la pregustazione della vita eterna, del mondo futuro: anticipa il tempo finale della gloria e della delizia, dell’armonia e della quiete, della felicità e della tranquillità, il tempo in cui il Signore farà "scorrere, come un fiume, la prosperità; come un torrente in piena, la ricchezza dei popoli; i bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati" (cfr. Is. 66,12).

I cristiani, eredi della tradizione giudaica, hanno assunto come giorno festivo la domenica, "primo giorno dopo il sabato", per farne il memoriale della Pasqua cioè della risurrezione di Cristo, dell’apparizione di Gesù ai suoi, del dono della pace e dello Spirito. La Chiesa delle origini ha accolto in sé il significato cultuale del sabato ebraico, ma contemporaneamente ha trasformato l’antico in un nuovo culto attraverso la croce e la risurrezione del Figlio di Dio. Anche la domenica si presenta come memoriale della creazione e della redenzione poiché esiste una singolare connessione fra la risurrezione e la creazione: grazie al sacrificio di Cristo, l’umanità, redenta e riscattata dal peccato, può "morire alla morte e rinascere a vita nuova". La domenica ci ricorda il passaggio di Gesù dalla schiavitù della morte alla libertà della vera vita, proprio come gli ebrei si erano lasciati alle spalle le acque del Mar Rosso e le catene della prigionia: Cristo è il nuovo Mosè che guida il nuovo popolo di Dio verso la terra promessa, la patria celeste, la beatitudine eterna. Con la sua risurrezione, Cristo inaugura il tempo della "nuova creazione". È dunque evidente che il cristianesimo non elimina il significato ebraico del ‘far festa’, ma lo supera, lo porta al compimento della sua pienezza.

La domenica: Precetto o Week-end?

Il precetto domenicale
Molte persone alla domanda "Perché vai a Messa, la domenica?" rispondono: "Perché è precetto e ci hanno insegnato che nei giorni festivi bisogna andare in chiesa a ‘prendere Messa, a sentire Messa’", oppure "La domenica si va a Messa perché così comanda la Chiesa sotto pena di peccato grave". In effetti la Chiesa, fin dal IV secolo con il Concilio di Elvira, di fronte alla tiepidezza o alla negligenza di alcuni cristiani, ha sentito la necessità di esplicitare il dovere di partecipare alla Messa domenicale con precise disposizioni. L’attuale Codice di Diritto Canonico ribadisce questa ‘legge universale’ al canone 1247: "La domenica e le altre feste di precetto, i fedeli sono tenuti all’obbligo di partecipare alla Messa". Le espressioni citate più sopra ("bisogna andare in chiesa, così comanda la Chiesa…") rivelano però che molti cristiani intendono il precetto domenicale come una prescrizione coercitiva, stabilita dall’alto, dall’autorità: in questo modo – commenta il card. Ratzinger – "l’obbligo della Messa domenicale appare solo come un comandamento ecclesiastico imposto, come un dovere esteriore, che allora, come tutti gli obblighi che giungono dal di fuori, viene sempre più ristretto, fino a che rimane solamente la costrizione di dover assistere una mezz’ora ad un rituale che diventa sempre più estraneo". Bisogna riconoscere che spesso non viene più sperimentato il dovere interiore della domenica e che non si riesce più a comprendere a fondo il valore dell’Eucaristia che viene celebrata in questo giorno: sembrano lontani i tempi dei primi martiri cristiani che, morendo, affermavano: "Senza il giorno del Signore, senza il mistero del Signore, non possiamo stare!" perché consideravano l’incontro domenicale il centro, l’asse portante della propria esistenza! Possiamo accogliere il precetto domenicale con spirito veramente cristiano solo se comprendiamo il vero significato del giorno del Signore e dell’Eucaristia. Scrive Tonino Lasconi: "Signore Gesù, riguardo alla Messa stiamo a un bivio: o continuiamo ad andarci stancamente oppure ci decidiamo a capirla. La Messa non è una preghiera per farti contento, né una mezz’ora di sofferenza e di noia che ti offriamo in cambio di qualcosa; non è nemmeno una serie di bei canti. La Messa è fare come Te. Nell’ultima cena hai voluto riassumere la tua vita in una celebrazione: la Messa. E ci hai detto di ripeterla in memoria di Te. Ogni volta che ci riuniamo a spezzare il pane, ricordiamo la tua vita; Tu vieni tra noi e ti fai mangiare per darci la forza di vivere come Te. La Messa è il riassunto di quello che Tu hai fatto ogni giorno. La nostra Messa sia il riassunto di quello che facciamo ogni giorno".

Week-end
Il carattere festivo della domenica cristiana deve sempre più confrontarsi con la realtà del mondo secolarizzato della cultura contemporanea. I vescovi italiani, nella nota pastorale Il giorno del Signore, sottolineano il rischio di ridurre la domenica ad un semplice giorno di riposo dal lavoro, di vacanza, di evasione per sentirsi liberati dal peso e dai fastidi della fatica quotidiana: si tende a sostituire "il significato religioso originario della domenica con la fuga nel privato, con nuovi riti di massa (sport, discoteca, turismo…); linguisticamente si è passati dal ‘giorno del Signore’ al ‘week-end’, dal ‘primo giorno della settimana’ al ‘fine settimana’. Nessuna di queste nuove realtà è di per se stessa cattiva o illegittima, ma non si può negare che da tutto questo può derivare il pericolo della perdita della dimensione religiosa dalla vita e del tempo. Il giorno del Signore potrebbe ridursi così a semplice giorno dell’uomo". I nostri pastori, senza negare la "legittima aspirazione a cercare un momento di vita più umano, più disteso, più sano, dopo una settimana di lavoro e di tensione", ci invitano a considerare la domenica non come punto d’arrivo, di sola evasione e riposo, ma come punto di partenza per nuove esperienze, momento di ristoro e di ricarica interiore, di incontro e dialogo con gli altri e con Dio, stimolo per affrontare una nuova settimana con la gioia e l’entusiasmo che derivano dalla festa domenicale.

Emanuele Borsotti