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I contestatori del G8: un fenomeno che merita attenzione |
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Ricordo di don Emanuele Lucente
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Il 22 luglio prossimo si terrà a Genova il vertice dei G8, cioè degli 8 paesi più industrializzati del mondo. Tali riunioni avvengono periodicamente e, in esse, gli "8 grandi" discutono di problemi quali la situazione economica mondiale, le crisi regionali, la globalizzazione, ecc. I vertici succedutisi fino ad ora non hanno mai avuto molta eco nei media; ma, da circa due anni a questa parte, un nuovo fenomeno si è affacciato in concomitanza con i vertici dei G8: la contestazione da parte di numerosi gruppi e associazioni, molte anche cattoliche, che ritengono non più sostenibile l’attuale sistema economico. Ovviamente la galassia dei gruppi contestatori è alquanto variegata e ciascuno pone l’accento su un particolare problema e adotta metodi di protesta differenti ma, volendo riassumere in queste poche righe ciò che li accomuna, possiamo dire che tutti richiedono che i paesi ricchi, e in special modo quelli del G8, si impegnino per intraprendere una nuova stagione dello sviluppo mondiale, quella dello "sviluppo sostenibile" che non abbia più, come unica logica, il profitto. Due fatti accaduti recentemente ci aiutano a capire: il Brasile, il Kenia e il Sudafrica, stati dove l’A.I.D.S. imperversa fra gli strati più poveri della popolazione, hanno deciso di produrre in proprio i farmaci senza pagare i diritti alle grandi multinazionali farmaceutiche che li hanno brevettati: così facendo i farmaci anti A.I.D.S. saranno venduti, in quei tre paesi, ad un prezzo più accessibile a vantaggio soprattutto dei più indigenti. Le multinazionali farmaceutiche, ritenendosi danneggiate, hanno trascinato questi tre stati davanti al tribunale del W.T.O. (un tribunale che ha il compito di dirimere le contese commerciali internazionali) ed è molto probabile che il tribunale, seguendo le attuali leggi economiche internazionali, li condannerà a pagare una salatissima multa. In questo caso, si chiedono i contestatori del G8, è giusto che il guadagno di poche grandi imprese venga prima della salute di milioni di persone? Altro esempio. I dati scientifici oramai parlano chiaro: il nostro pianeta sta diventando sempre più caldo a causa del cosiddetto effetto serra, un fenomeno causato dai gas di scarico che si producono quando bruciamo petrolio, carbone o i loro derivati per produrre l’energia elettrica o per far camminare le nostre autovetture. Esistono tuttavia molte nuove tecnologie che, opportunamente finanziate e sostenute, ci permetterebbero di ridurre l’inquinamento atmosferico senza ritornare all’età della pietra: basti pensare ad esempio all’energia eolica e solare o alle automobili all’idrogeno; sostituendo anche solo parte delle vecchie tecnologie basate sul petrolio e sul carbone si otterrebbero già dei risultati soddisfacenti. E invece non se ne fa nulla: qualche settimana fa il presidente americano Bush ha ribadito che gli U.S.A. non ratificheranno l’accordo di Kyoto (un accordo col quale i paesi più industrializzati si impegnavano a ridurre le emissioni dei gas che causano l’effetto serra). Molti autorevoli osservatori sia americani che europei ritengono che abbia preso questa decisione per fare un favore alle grandi industrie americane del petrolio che avevano finanziato la sua campagna elettorale e che avrebbero tutto da perdere da una eventuale introduzione di nuove fonti di energia che ridimensionerebbero l’importanza del petrolio. Ancora una volta la logica del denaro ha prevalso, in questo caso sulla salute del pianeta e di noi tutti. Sviluppo sostenibile significa dunque uno sviluppo che non sia perseguito a spese dei popoli più poveri e depredando il nostro pianeta; ci sono dei valori, come il diritto alla salute, che sono più importanti del profitto di pochi grandi gruppi economici mondiali: questo è il messaggio che ci lanciano i contestatori del G8. Ma noi siamo pronti ad accoglierlo? Vincenzo De Santis
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