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S.Leo nasce a Bova (tra l'XI e il XII secolo) dai Rosaniti, poveri boscaioli, ma onesti e virtuosi, che lo educano nel timore di Dio e nel rispetto delle persone. Divenuto giovinetto, decide di abbracciare la vita monastica entrando nel convento di Africo (convento fedele alle regole di S.Basilio). E' questo il periodo in cui in Calabria si erano stanziati i monaci bizantini, che con la loro vita ascetica e caritatevole attiravano grandi schiere di giovani. I monaci erano intenti alla preghiera e al lavoro. Dovevano sostenersi con il ricavato della loro attività lavorativa perché così voleva la regola di S.Basilio e perché tanta era la povertà che si vedeva in giro che non potevano mai pensare di essere assistiti dalla popolazione dei contadini. Il giovane Leo si dedicava all'attività del peciaolo, un'arte ereditata dal padre dal padre e molto redditizia in quei tempi; ma esattamente in cosa consisteva il suo lavoro? Incideva con l'ascia i tronchi e i rami dell'abete rosso e recuperava la resina che colava. La pece ricavata veniva venduta, soprattutto ai messinesi, che catramavano tessuti o la usavano per calafatare le imbarcazioni. La resina serviva pure per preparare impiastri e unguenti. San Leo con il suo lavoro riuscì a sfamare molta gente:"spesso portava sulla strada panieri di pece per distribuirla ai bisognosi e avveniva che degli affamati, esausti e stanchi, si ritrovarono tra le mani non pece bensì pane". La fama di santità de giovane S.Leo lo costrinsero a rifugiarsi verso luoghi più solitari in Sicilia

(in un paese di nome Rometta), per dedicarsi interamente alla preghiera. Prima di morire, S.Leo volle ritornare al suo paese. Attraversato lo Stretto di Messina giunse in un piccolo villaggio poco distante da Reggio Calabria: quel gruppo di case in riva al mare potrebbe essere identificato con la nostra frazione, che prese il nome del santo. S.Leo morì nel convento di Africo lasciando dietro di se una vita piena di miracoli e santità.