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Parrocchia di S. Quirico in Monte San Quirico - 55100 LUCCA


 

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Riflessioni

QUARESIMA 2012 - RIFLESSIONI

Terminato il tempo dei quaranta giorni, le comunità cristiane si accostano alla fonte e culmine del loro credere e del loro celebrare: il Triduo del Cristo, crocifisso, sepolto e risorto, introdotto e aperto dalla messa vespertina in Cena Domini.

La celebrazione serale del Giovedì è il prologo del grande mistero di donazione di Cristo, inizio del solenne Triduo pasquale. Il Santo Padre Benedetto XVI si fa autorevole mistagogo di questa celebrazione teologicamente e spiritualmente molto densa. «Qui, pridie quam pro nostra omniumque salute pateretur, hoc est hodie, accepit panem: così diremo oggi nel Canone della Santa Messa. “Hoc est hodie” – la Liturgia del Giovedì Santo inserisce nel testo della preghiera la parola “oggi”, sottolineando con ciò la dignità particolare di questa giornata. È stato “oggi” che Egli l’ha fatto: per sempre ha donato se stesso a noi nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue. Questo “oggi” è anzitutto il memoriale della Pasqua di allora. Tuttavia è di più. Con il Canone entriamo in questo “oggi”. Il nostro oggi viene a contatto con il suo oggi. Egli fa questo adesso. Con la parola “oggi”, la Liturgia della Chiesa vuole indurci a porre grande attenzione interiore al mistero di questa giornata, alle parole in cui esso si esprime. (…) Nel Cenacolo, Cristo dona ai discepoli il suo Corpo e il suo Sangue, cioè se stesso nella totalità della sua persona. Ma può farlo? È ancora fisicamente presente in mezzo a loro, sta di fronte a loro! La risposta è: in quell’ora Gesù realizza ciò che aveva annunciato precedentemente nel discorso sul Buon Pastore: “Nessuno mi toglie la mia vita: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo…” (Gv 10,18). Nessuno può toglierGli la vita: Egli la dà per libera decisione. In quell’ora anticipa la crocifissione e la risurrezione. Ciò che là si realizzerà, per così dire, fisicamente in Lui, Egli lo compie già in anticipo nella libertà del suo amore. Egli dona la sua vita e la riprende nella risurrezione per poterla condividere per sempre».
Benedetto XVI, Omelia della Santa Messa nella Cena del Signore, 9 aprile 2009.
Pertanto, la celebrazione in Cena Domini mantiene vivo il legame tra prassi eucaristica delle comunità e mistero pasquale sorgivo e fondante. È proprio la “normalità” di questa celebrazione che domanda uno stile celebrativo calmo e solenne per rimandare a “quella” Cena e, al contempo, la sua peculiarità aiuta a riannodare i testi biblici proposti nella liturgia della Parola attorno al tema dell’alleanza: il memoriale dell’alleanza di Dio con il suo popolo che ora si fa nuova nel Sangue di Cristo consumato con il Corpo nella Cena e si prolunga nel servizio e nell’accoglienza fraterna dei discepoli. L’alleanza che Cristo attua con la sua morte viene celebrata e resa presente ogni qual volta i cristiani mangiano di quel pane e bevono a quel calice, perché ogni Eucaristia della Chiesa è memoriale dei grandi eventi pasquali, alleanza sempre nuova e accessibile, profezia del Regno.

Il Triduo continua con il Venerdì quando «Cristo nostra Pasqua è stato immolato» (1Cor 5,7): la morte di croce del Signore, infatti, inaugura il mistero pasquale, come afferma la prima orazione proposta all’inizio della celebrazione della passione. La liturgia ruota attorno al concetto giovanneo di esaltazione: mentre il Figlio muore ucciso, egli riceve gloria dal Padre. La sua morte è la proclamazione della vittoria di Dio sul male e sulla morte, come si evince dalla lunga contemplazione di Isaia sulle sofferenze del Servo del Signore che, dopo i dolori e le angosce, «vedrà la luce» (53,11). Su questa radice così forte si innesta la solenne preghiera universale, dove l’assemblea intercede per la salvezza di tutto il mondo associandosi così alla grande intercessione di Cristo morente sulla croce: nessun uomo è solo, ma è unito all’amore di Cristo che ha dato la vita per noi. Ciò che si celebra nella Parola salvifica e nell’intercessione fiduciosa si contempla nella fede attraverso il rito dell’ostensione e dell’adorazione della croce. Nel segno glorioso di Cristo innalzato, non si indulge a toni doloristici o funebri, ma si celebra la gloria della sua “beata passione” d’amore, come canta un’antifona: «Adoriamo la tua croce, Signore, lodiamo la tua risurrezione. Dal legno della croce è venuta la gioia in tutto il mondo». Lo strumento della vergogna ora è portato solennemente, svelato e mostrato; ora è icona gloriosa della nostra vittoria e della nostra speranza. Per antichissima tradizione in questo giorno non si celebra l’Eucaristia nell’attesa di celebrarla nella notte sacramentale per eccellenza, la notte della risurrezione. Tuttavia, è prevista la comunione eucaristica: possibilità offerta a tutti per unire la propria vita al sacrificio di Cristo. Nella sua sobrietà e nella chiarezza delle sue sequenze rituali, la celebrazione della Passione del Signore si presenta come il momento centrale della giornata e pertanto dovrebbe recuperare la rilevanza che merita, soprattutto nella spiritualità dei credenti.

Il Sabato santo, «la Chiesa sosta presso il sepolcro del Signore meditando la sua passione e morte, astenendosi dal celebrare il sacrificio della Messa (la mensa resta senza tovaglia e ornamenti) fino alla solenne Veglia o attesa notturna della risurrezione» (Messale Romano, p. 160). Un giorno, dunque, di sosta silenziosa e orante nella memoria della sepoltura del Signore. Ma, mentre si attende di gustare nuovamente la celebrazione eucaristica nella notte pasquale, non cessa la laus perennis attraverso la liturgia delle Ore che, con antifone, inni, salmi e letture, contribuisce a definire i contorni di questo giorno. In particolare, un’antica omelia proposta nell’Ufficio delle Letture suggerisce il clima di grande silenzio che avvolge queste ore: la terra è sbigottita e tace perché il Dio fatto carne è morto e con la sua morte ha svegliato coloro che da tempo dormivano. Le parole cedono il posto allo stupore della contemplazione perché Cristo si è fatto solidale con la storia umana di tutti i tempi e porta la salvezza a coloro che lo hanno atteso e hanno preparato il suo avvento. È il mistero della “discesa agli inferi” professato nel Simbolo ed oggi, in particolar modo, nelle parole della preghiera eucaristica IV, quale annuncio di salvezza per ogni uomo: nessuno è escluso dalla salvezza che Dio ha preparato per gli uomini in Cristo; nessuno sia smarrito: Dio si fa solidale anche nella morte con l’uomo mortale. Una certa sobrietà e l’assenza di elementi che anticipano la gioia della Pasqua giovano a vivere questo giorno non come un non-giorno, una sorta di ponte tra il Venerdì e la Domenica, ma come statio intensa e feconda, memoria silente ma eloquente di Colui che si è fatto chicco di grano per marcire sotto terra in comunione con il destino di ogni uomo e rifiorire a pianta carica di frutti.

Dopo l’attesa silenziosa la Chiesa si appresta a vivere la Veglia pasquale, madre di tutte le veglie cristiane. Se comprendessimo in profondità il carattere “materno” e sorgivo di questa notte e di questa celebrazione, forse investiremmo maggiori energie nel prepararla e nel celebrarla, riservandole il posto che giustamente le spetta. In tal modo verrebbe relativizzato ogni timore della notte e la notte stessa diventerebbe linguaggio per dire la fede: celebriamo di notte perché Dio ha vegliato per il suo popolo, Cristo ha sconfitto le tenebre della morte e noi vegliamo per vincere il sonno del peccato. Questa non è solamente la notte che celebra la risurrezione del Signore, ma soprattutto è la notte della rinascita, notte di luce e di vita nella quale si celebrano i sacramenti che “fanno” i cristiani: Battesimo, Cresima ed Eucaristia. Certamente la Veglia pasquale non è sostenuta dall’apporto sentimentale e consumistico che talora contraddistingue la messa della notte di Natale, ma appartiene innanzitutto a coloro che ogni domenica si radunano per celebrare la Pasqua settimanale. Per questo deve diventare il cuore, la sorgente della vita cristiana e la forma della pastorale, ad essa ci si deve indirizzare fin dall’inizio dell’anno liturgico e deve essere preparata fin dall’inizio della Quaresima.
I passaggi calmi e graduali dalla soglia delicata e solenne del lucernario, all’ascolto disteso delle meraviglie promesse e attuate da Dio per il suo popolo, alla liturgia battesimale che realizza il passaggio dalla morte alla vita secondo la prassi iniziatica della Chiesa, e l’approdo all’Eucaristia pasquale, conducono il fedele a “partecipare” all’evento celebrato: ciò che viene celebrato del Cristo, vincitore della morte, viene realizzato nel cristiano chiamato a passare dalla morte alla vita.
Davvero si realizza l’alleanza nuova predetta nei tempi antichi (cfr. Ger 31,31 e Ez 36,16-28) e cantata in modo impareggiabile dall’eucologia: «Tutto il mondo veda e riconosca (experiatur) che ciò che è distrutto si ricostruisce, ciò che è invecchiato si rinnova e tutto ritorna alla sua integrità per mezzo del Cristo, che è principio di tutte le cose» (orazione dopo la VII lettura della Veglia).
Proprio per questo carattere di “modello” della vita credente e di ogni celebrazione, la Veglia pasquale esige lo sforzo di collocarla al centro delle preoccupazioni pastorali. Ripartire da questa Veglia forse può voler dire rivedere molte nostre posizioni, riconsiderare ciò che è prioritario nella nostra azione, passare dalla logica del minimo necessario, garantito sempre e comunque, al massimo gratuito tipico della liturgia. Non sarebbe corretto, perciò, lasciare la cura e i benefici di questa celebrazione a gruppi, anche particolarmente qualificati, perché essa è celebrazione del popolo di Dio e tale deve rimanere, «azione dell’unico Cristo insieme con la sua unica Chiesa e perciò essenzialmente aperta a tutti coloro che appartengono a questa sua Chiesa» (Benedetto XVI, 20 gennaio 2012).

Con la Veglia si entra nel giorno di Pasqua, in cui la Chiesa, stupita e lieta, intesse il dialogo con Maria di Magdala: «Dic nobis, Maria, quid vidisti in via?». E Maria continua ad annunciare nell’“oggi” della celebrazione: «Sepulcrum Christi viventis et gloriam vidi resurgentis». Questo giorno, dove è possibile, sia coronato dalla celebrazione dei Vespri battesimali: il movimento processionale al fonte battesimale è immagine del popolo della Prima alleanza che, nel giorno successivo alla notte della liberazione, tornò sul lido del mare per lodare il Signore (cfr. Es 15 e Sal 105).

 

QUANDO SARÒ INNALZATO DA TERRA, ATTIRERÒ TUTTI A ME

In quel tempo, tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire (Gv 12,20-33).

Il testo è aperto dalla richiesta dei Greci, quindi pagani, di vedere Gesù, cioè incontrarlo e conoscerlo. Tale richiesta è mediata dall’apostolo Andrea che rappresenta la comunità cristiana dopo la Pasqua, la quale rivolgerà il suo annuncio a tutti i popoli. Gesù non incontra i Greci, ma dice ai discepoli e alla folla presente che è ormai giunta la sua ora, quella della glorificazione. Con tale espressione l’evangelista vuol indicare la passione e morte di Cristo, luogo di rivelazione sua e del Padre, poiché in tale evento viene reso palese a tutti l’amore sconfinato e gratuito di Dio per gli uomini. Ma è anche l’ora delle decisioni: per Gesù nella libera accettazione della volontà del Padre che lo conduce al sacrificio della propria vita e per il discepolo che lo vuol seguire, chiamato ad una piena partecipazione alla donazione totale di Cristo. Allora Gesù pronuncia la parabola sul chicco di grano che deve morire. Il senso è chiaro: il seme è Gesù stesso che attraverso la morte sarà capace di portare frutto abbondante donando l’esistenza piena a tutti gli uomini. Il credente non potrà vivere se non seguendo questa stessa dinamica di morte e risurrezione. Infatti, accogliendo la consegna per amore di Cristo, egli è chiamato a perdersi in tale amore per ritrovarsi a vivere una vita nuova nel segno della comunione. Poi, seguendo questa prospettiva, anche la sofferenza e perfino la morte diventano feconde perché condividono quelle del Maestro e, di conseguenza, anche la sua risurrezione.

Il nostro Signore, unico tra i figli degli uomini, è stato il solo in cui tutti sono stati crocifissi, tutti sono morti, tutti sono stati sepolti, tutti del pari sono risuscitati; ed è di loro che egli stesso diceva: Quando sarò levato in alto attirerò tutto a me. In effetti, la vera fede che giustifica gli empi e crea i giusti, attratta a colui che condivide la sua natura, acquista in lui la salvezza; in lui nel quale essa si è ritrovata innocente; e poiché non vi è che un unico mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù è per la comunione con la sua stirpe che l’uomo ha ritrovato la pace con Dio; può così, in tutta libertà, gloriarsi dellapotenza di colui che, nella infermità della nostra carne, ha affrontato un nemico superbo e ha fatto dono della sua vittoria a coloro nel cui corpo egli ha trionfato (Leone Magno, Sermo 51). Il popolo dell'alleanza Tu riapri alla Chiesa la strada dell'esodo quaresimale, perché ai piedi della santa montagna, con il cuore contrito e umiliato, prenda coscienza della sua vocazione di popolo dell'alleanza, convocato per la tua lode nell'ascolto della tua parola, e nell'esperienza gioiosa dei tuoi prodigi.

Il tempo quaresimale, come canta il prefazio riportato in apertura, ripropone la peregrinazione dell'esodo quale esperienza di liberazione ed evento che segna l'appartenenza del popolo a Dio. Nella Pasqua rinnovata nella celebrazione eucaristica domenicale, la Chiesa fa esperienza, comprende e ri-comprende il dono inestimabile di essere il popolo dell'alleanza nuova sancita nel sangue di Cristo. Questa consapevolezza, infatti, non può che rinnovarsi nella lode, nell'ascolto della Parola e nell'esperienza sacramentale delle grandi opere di Dio. Un tempo dedicato e da dedicare, quello quaresimale, affinché i cuori e le coscienze vengano rigenerate non per mero sforzo personale, ma grazie all'azione dello Spirito Santo operante attraverso i segni della liturgia. In tempi in cui si dibatte spesso di questioni religiose e dove la fede rischia di diventare chiacchiera, è estremamente urgente ritornare all'azione liturgica, dove il credente, singolarmente e in comunità, si apre al dono di Dio che sempre precede e sempre sovrasta l'iniziativa umana.Vivere la Quaresima con questa intensità significherà davvero “fare Pasqua” ovvero contemplare ancora una volta la bontà di Dio che risplende nella morte e nella risurrezione di Cristo e nella rinascita di coloro che sono stati resi figli nel Figlio.

 

DIO HA TANTO AMATO IL MONDO

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio» (Gv 3,14-21).

Il Vangelo secondo Giovanni è segnato da una serie di incontri personali tra Gesù e diversi personaggi, tra questi Nicodemo che, essendo uno dei suoi capi, rappresenta il popolo giudaico con tutte le sue difficoltà e resistenza ad accettare Cristo. All’interno di questo incontro notturno, Gesù rivela il suo cammino verso la croce e, nello stesso tempo, il significato di questo evento. Egli riprende l’episodio di Nm 21, dove Mosè metteva su un’asta un serpente di bronzo affinché gli israeliti, morsi da tale rettile, al solo guardare l’asta venivano miracolosamente guariti. Ora Gesù annuncia un altro innalzamento, è quello della sua persona sul legno della croce. Questo evento porterà davvero la salvezza a chi lo accoglie nella fede e dimostrerà il volto del Dio di Gesù Cristo. Si tratta di un Padre che per un amore senza limiti dona al mondo il Figlio affinché attraverso la fede in lui giunga alla vita piena. All’uomo, mediante la sua libertà, spetta decidere se accogliere o rifiutare questo dono immeritato e gratuito. Il credente guarda alla croce di Cristo non per il suo aspetto sacrificale e sanguinoso, ma perché essa è l’espressione più eloquente dell’amore di Dio, fonte di una vita senza fine. La croce abbraccia tutto il mondo e chiede ai cristiani di condividere la stessa cura di Dio per l’umanità intera, destinataria della sua salvezza. Tale cura passa anche attraverso un annuncio, a tutti e senza paura, del vero volto di Dio rivelato in Cristo, e in lui crocifisso.

 

QUESTO TEMPIO IN TRE GIORNI LO FARÒ RISORGERE

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi e ai venditori di colombe disse: "Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!". I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà. Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: "Quale segno ci mostri per fare queste cose?". Rispose loro Gesù: "Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere". Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?". Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. (Gv 2,13-25).

L’episodio della purificazione del tempio da parte di Gesù, si lega al precedente delle nozze di Cana (2,1-12), in quanto entrambi sono segni rivelatori della novità portata da Cristo con la sua Pasqua. Nel tempio egli compie un gesto simile a quelli simbolici dei profeti dell’Antico Testamento, i quali, attraverso tali azioni, comunicavano il loro messaggio. Gesù intende mostrare che il luogo del culto e dell’incontro con Dio non sarà più un edificio di pietra come il tempio di Gerusalemme (che peraltro al momento in cui l’evangelista Giovanni scrive era ormai distrutto), ma il suo corpo, cioè la sua stessa persona. In particolare questa esperienza diventa possibile mediante la partecipazione alla sua Pasqua di morte e di risurrezione. Tuttavia, il segno compiuto da Gesù, insieme al significato che esso racchiude, è rifiutato dai capi del popolo giudaico, chiusi nelle loro certezze e tradizioni religiose, mentre sarà compreso e accolto dai discepoli dopo la risurrezione di Cristo, grazie anche a un cammino di approfondimento della Scrittura. La nostra esperienza di Dio non può che passare attraverso il rapporto con Cristo e la partecipazione alla sua Pasqua, che avviene per noi, principalmente, nell’eucaristia domenicale. I segni che il Signore continua a porre nella nostra storia personale e sociale possono essere da noi riconosciuti solo se abbiamo un atteggiamento di accoglienza e non di paura della novità. L’ascolto fedele della Parola di Dio, crea le condizioni per sviluppare tale apertura.

 

GESÙ, COME NOI, È TENTATO DA SATANA

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». (Mc 1,12-15)

La nostra Chiesa per seguire il suo Signore quest’anno è invitata all’ascolto, non è un invito tra tanti, perché solo ascoltando la parola del Signore, accogliendola con fiducia e vivendola in concreto si è discepoli. La Quaresima ci raggiunge su questa strada e ci richiama alla conversione, cioè a un rinnovato, sincero, profondo atteggiamento di ascolto. La prima domenica ci pone davanti Gesù che affronta la tentazione: è il punto di partenza di ogni cammino di fedeltà a Dio. Secondo la bibbia la radicale tentazione è il dubbio su Dio, sul fatto che ci si possa fidare di Lui, consiste nell’insinuazione che vivere nell’obbedienza a Lui sia qualcosa che impoverisce e che dunque sia meglio arrangiarsi da soli. Il fatto che anche Gesù sia tentato ci ricorda che la tentazione è elemento normale e costante nella vita del credente. E’ dunque necessario imparare ad ascoltare la tentazione che abita in noi e ogni volta ci mette in condizione di scegliere liberamente la fedeltà al Signore. Il cammino di fede non si basa dunque su un atteggiamento spontaneo “quando me lo sento” ma comporta la lotta contro la tentazione perché “come le ombre seguono il corpo, così le tentazioni seguono i comandamenti” (Doroteo). Secondo gli antichi padri della Chiesa la tentazione lavora in noi con il seguente dinamismo: il primo passo è la suggestione, è una semplice idea, consiste nel conversare con l‘immagine suggerita dal “nemico”; può essere il ricordo di una cosa compiuta o che si vorrebbe fare, non è peccato ma esercita un’attrazione e vi è il pericolo che spinga ad andare avanti. Il secondo stadio è il colloquio col male, le considerazioni sui pro e sui contro: qui si comincia a chiedersi se è il caso di andare avanti o no, nasce un desiderio di peccare. Il passo successivo è il consenso al piacere proibito proposto dal pensiero: è il peccato. Quarto stadio è la passione, cioè un’abituale inclinazione al male che facilmente diventa abitudine. La fatica della fedeltà che affronta consapevolmente e lotta la tentazione produce nel cristiano la piena somiglianza con il Cristo.

Una Chiesa penitente

A questo recupero conduce uno dei compiti principali di tutta la comunità cristiana, e a maggior ragione in Quaresima, ovvero la penitenza, l'impegno intenso e accurato per intavolare cammini credibili di conversione per tutti i credenti.
La tradizione cristiana, in piena linea con l'insegnamento evangelico, conosce la dimensione penitenziale come pratica concreta di rinnovamento dell'esistenza in reazione all'appello di Cristo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15).
Per questo nella Chiesa pastori e fedeli sono chiamati a prendersi a cuore i peccatori e a promuovere azioni di riscatto concrete, fatte di ascolto della Parola e di preghiera, di dialogo interpersonale e di tappe comunitarie, di spazi di silenzio e di momenti di verifica.
Questo è l'agire di una Chiesa che fa penitenza, tutta coinvolta nello sforzo di prendere per mano il fratello che ha sbagliato, nell'indicargli la strada di casa, nell'elevare suppliche fiduciose al solo che può guarire, nel tracciare piste convincenti e fattibili di vera conversione. Tutto il corpo ecclesiale deve sentire il peso e la fatica dell'accompagnare, seguire e curare i componenti più deboli.
La Quaresima si presenta proprio come il tempo in cui tutta la compagine ecclesiale si incammina verso la salvezza e il perdono, tempo in cui ciascuno si assume le proprie responsabilità nei confronti dei fratelli. È altresì il tempo che aiuta tutti a comprendere che è proprio la Chiesa il luogo dove si può e si deve fare penitenza, non il luogo dove si riceve un servizio, possibilmente celere e indolore, ma lo spazio vitale entro il quale si attua la terapia della conversione, dell'ascolto e della preghiera, dell'esortazione e della maturazione personale.
Così il perdono incondizionato di Dio misericordioso si salda con la responsabilità della Chiesa, sempre impegnata a generare e a rigenerare i suoi figli. Con questo respiro ampio è possibile programmare autentici percorsi di riconciliazione e penitenza nelle comunità garantendo concretamente la possibilità della celebrazione nelle forma individuale, ma anche e soprattutto dando maggiore cura e spazio alle celebrazioni comunitarie del sacramento. In esse, infatti, viene ad emergere il valore di azione rituale (spesso soffocato nei tempi e nei modi) compiuta da una comunità penitente.
È un popolo convocato e radunato (cfr. Gl 2, 16-17) che sa darsi tempo e sostare per ascoltare Dio che nuovamente rivolge l'annuncio della salvezza e l'appello alla conversione, e per innalzare fiducioso la supplica del pentimento e la lode riconoscente per il perdono ricevuto. In tale prospettiva, è forse possibile comprendere e valorizzare anche i segni più elementari di questo tempo liturgico: dal colore viola delle vesti, alla cenere sul capo, ai salmi e canti tipici del pentimento, alle opere della penitenza ben delineate in Mt 6,1-18.
Le indicazioni evangeliche e la prassi ecclesiale lungo la storia concorrono a mantenere viva la valenza sensibile e corporea di queste opere e a non renderle troppo astratte ed evanescenti riducendole ad una presunta “intenzione”. Accettare che la salvezza dell'uomo passi attraverso esperienze corporee e dunque attraverso forme di preghiera liturgiche e personali, gesti concreti di solidale attenzione verso gli ultimi e anche attraverso il proprio rapporto con il cibo, significa riconoscere che tutto l'uomo è soggetto al peccato e tutto l'uomo è oggetto dell'azione salvifica di Dio. Il nostro corpo, orante o intento a compiere o ricevere gesti di carità o occupato a prendere cibo o ad astenersi dal mangiare, è la pagina sulla quale possono essere impresse le tracce del nostro fallimento, ma anche della nostra vittoria con Cristo.

 

Alla scuola del chicco di grano

Il Lezionario domenicale è la direttrice entro la quale dovrebbe procedere il cammino spirituale e pastorale delle nostre comunità, a maggior ragione nel tempo "forte" della Quaresima. Nell'anno B l'accento è posto sulla figura di Gesù Cristo obbediente alla volontà del Padre fino alla croce e da questi risuscitato nella gloria. È il suo corpo, infatti, il tempio demolito dall'infedeltà umana e riedificato dalla potenza del Padre (terza domenica), è lui il Figlio inviato da Dio nel mondo non per condannarlo, ma per salvarlo (quarta domenica), è lui il chicco di grano caduto nella terra in attesa di spuntare come frutto di risurrezione (quinta domenica). Anche le due domeniche introduttive presentano il Signore tentato nel deserto e poi servito dagli angeli (prima domenica) e raggiante sul monte (seconda domenica): la Chiesa è chiamata a seguirlo nella prova e a gustare con lui la gioia della vittoria sul peccato. Chi vuole impostare una saggia e fruttuosa azione pastorale in questi 40 giorni che ci preparano a celebrare la Pasqua, non può limitarsi a iniziative genericamente “quaresimali”, ma deve poter affondare le radici del proprio impegno nella Parola proclamata nell'assemblea liturgica. Lì, infatti, la Chiesa, ogni volta che proclama e ascolta i testi delle prime letture delle Messe domenicali, si riscopre fondata da un'alleanza antica e sempre nuova. Impara così a confrontarsi con le esperienze di Noè, in cui Dio stabilisce un patto duraturo con ogni essere vivente, di Abramo, padre nella fede, del popolo di Israele che sul Sinai accoglie la legge, dell'esilio dove si manifesta la fedeltà di Dio tra le infedeltà del popolo. Con il brano dell'apostolo approfondisce la propria origine battesimale e dunque pasquale, riconosce il cuore dell'annuncio cristiano ovvero Cristo crocifisso e risorto, confessa la propria condizione peccaminosa ma anche il dono d'amore di Dio in Cristo crocifisso. Soprattutto alla scuola del Vangelo, la comunità si dispone a vivere "l'ora" di Gesù, ora di abbassamento e di umiliazione che il Padre trasforma in ora di gloria e di vita per sempre. Alla scuola dei testi biblici proclamati "nell'oggi” della celebrazione, la comunità dei credenti si rende conto di essere costantemente ri-educata dall'alleanza tra Dio e il suo popolo, alleanza mai venuta meno, ma sempre rinnovata per l'amore instancabile del Signore. Allora la Pasqua di Cristo diventa anche la Pasqua dei cristiani e la Quaresima non scade in una generica esortazione moraleggiante, ma diventa la palestra dei credenti dove la forza rinnovatrice non è data né da un vuoto spiritualismo senza corpo, né da un volontarismo senza spirito. Rinnovamento della vita, lotta contro il male, denuncia del peccato in tutte le sue manifestazioni sono la traduzione quotidiana della fede del discepolo intenzionato a portare la croce con Cristo per godere con lui dell'alba radiosa di Pasqua (cfr. Gv 12,23-26).

QUARESIMA 2012 - PREGHIERE

Per la vita

• Quali sono le resistenze più grosse che mi impediscono di abbandonarmi e perdermi nella dinamica dell’amore donato da Cristo?
• Quali decisioni prendere ora per la mia sequela di Cristo?

Per la preghiera in famiglia o personale

Dal Salmo 125
R. Grandi cose ha fatto il Signore per noi.
Quando il Signore ricondusse i prigionieri di Sion,
ci sembrava di sognare,
la nostra bocca si aprì al sorriso,
la nostra lingua si sciolse in canti di gioia.

Allora si diceva tra i popoli:
Il Signore ha fatto grandi cose per loro».

Grandi cose ha fatto il Signore per noi,
ci ha colmati di gioia.

Riconduci, Signore, i nostri prigionieri,
come i torrenti del Negheb.

Chi semina nelle lacrime mieterà con giubilo.
Nell’andare se ne va e piange,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo,
portando i suoi covoni.

Ascolta, o Padre, il grido del tuo Figlio che, per stabilire la nuova ed eterna alleanza, si è fatto obbediente fino alla morte di croce; fa' che nelle prove della vita partecipiamo intimamente alla sua passione redentrice, per avere la fecondità del seme che muore ed essere accolti come tua messe nel regno dei cieli.
Per Cristo nostro Signore.

 

Per la vita

L’esistenza cristiana autentica nasce dalla scoperta dell’amore folle di Dio, manifestato sulla croce, per la propria persona. Quando è avvenuto per me? Come posso essere mezzo per la rivelazione dell’amore di Dio per il mondo? Per la preghiera in famiglia o personale

Dal Salmo 33

R. Il Signore è vicino a chi lo cerca.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.

Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.

Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.

Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.

Questo povero grida ed il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.

Dio buono e fedele, che mai ti stanchi di richiamare gli erranti a vera conversione e nel tuo Figlio innalzato sulla croce ci guarisci dai morsi del maligno, donaci la ricchezza della tua grazia, perché rinnovati nello spirito possiamo corrispondere al tuo eterno e sconfinato amore. Per Cristo nostro Signore.

Vi è un solo antidoto contro le cattive infezioni ed è la purezza trasmessa alle nostre anime dal mistero della religione. Ora, l’elemento principale contenuto nel mistero della fede è appunto il guardare verso la Passione di Colui che ha accettato di soffrire per noi. E Passione vuol dire croce. Così, chi guarda verso di lei, come indica la Scrittura, resta illeso dal veleno del desiderio. Rivolgersi verso la croce vuol dire rendere tutta la propria vita morta al mondo e crocifissa.
(Gregorio di Nissa, Vita di Mosè, 269-277).

 

Per la vita

• Che aggancio c’è per me tra l’eucaristia domenicale e l’incontro con Cristo?

• Quali mie sicurezze mettere in questione per accogliere i segni di Dio nella mia vita?

Per la preghiera in famiglia o personale (2)

Dal Salmo 95
Fa’ che ascoltiamo, Signore, la tua voce.
Venite, applaudiamo al Signore,
acclamiamo alla roccia della nostra salvezza.

Accostiamoci a lui per rendergli grazie,
a lui acclamiamo con canti di gioia.

Venite, prostràti adoriamo,
in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati.

Egli è il nostro Dio, e noi il popolo del suo pascolo,
il gregge che egli conduce.

Ascoltate oggi la sua voce:
“Non indurite il cuore, come a Meriba,
come nel giorno di Massa nel deserto,
dove mi tentarono i vostri padri:
mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere”.

Signore nostro Dio, santo è il tuo nome;
piega i nostri cuori ai tuoi comandamenti
e donaci la sapienza della croce,
perché, liberati dal peccato, che ci chiude nel nostro egoismo,
ci apriamo al dono dello Spirito
per diventare tempio vivo del tuo amore.
Per Cristo nostro Signore.

Gesù trovò nel tempio - quel tempio che è chiamato casa del Padre del Salvatore - cioè in quella che è chiamata Chiesa, o nella predicazione della dottrina ecclesiastica e salutare, alcuni che fanno della casa del Padre una casa di commercio. Gesù ne trova sempre di costoro nel tempio. E pertanto il Salvatore, ove trovi nel tempio (la casa del Padre suo!) i venditori di buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco, si fa una sferza di cordicelle e li caccia fuori. [Inoltre] Cristo è consumato di zelo per quella casa di Dio che è in ciascuno di noi, e non vuole che diventi casa di commercio, né che la casa di preghiera diventi una spelonca di ladri, in quanto è Figlio di un Dio geloso (cfr Es 20,5), [nel senso] che Dio non vuole che nulla di estraneo alla sua volontà venga a mescolarsi all’anima degli uomini in generale, e, in particolare, di coloro che intendono accogliere le realtà della divinissima fede

(Origene, Commento al Vangelo di Giovanni).

 

Per la preghiera in famiglia o personale (I)

Tutti i sentieri del Signore sono amore e fedeltà. (dal Salmo 24)

Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.

Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza.

Ricòrdati, Signore, della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.

Ricòrdati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.

Dio paziente e misericordioso, che rinnovi nei secoli la tua alleanza con tutte le generazioni,
disponi i nostri cuori all'ascolto della tua parola, perché in questo tempo che tu ci offri si compia in noi la vera conversione.
Te lo chiediamo per Cristo nostro Signore. Amen

“Senza le tentazioni non si sperimenta la provvidenza di Dio e non si acquisisce familiarità con Dio, non si impara la sapienza dello Spirito e l’amore di Dio non si radica nell’anima.
Senza di esse l’uomo non può diventare esperto nelle battaglie spirituali né conoscere la provvidenza di Dio, né sperimentare il suo Dio né essere segretamente confermato nella sua fede da quella potenza
che in se stesso riceve tramite la tentazione” (Isacco di Ninive).

SETTIMANA ECUMENICA

Da più di cento anni la preghiera di tutti i cristiani per l’unità segna l’inizio dell’anno quasi a ricordarci il frutto della presenza di Cristo nella storia dell’umanità e la condizione di malattia delle chiese che rimangono nella divisione e per questo rendono meno efficace l’annuncio del vangelo. Anche se non appare in modo eclatante, il cammino ecumenico continua nelle sue modalità, come ecumenismo spirituale (in cui rientra anche la preghiera di questa settimana), teologico (con la riflessione sulle dottrine che dividono le chiese) e pastorale (con iniziative di promozione dell’uomo). Una panoramica della situazione a livello generale viene offerta dalla relazione di mons. Farrell segretario del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani tenuta ad Ancona nel settembre scorso. Il tema di preghiera della settimana di quest’anno è il seguente "Tutti saremo trasformati dalla vittoria di Gesù Cristo, nostro Signore" (cfr. 1 Cor 15, 51-58). Il testo ufficiale indica il motivo della scelta: Quando i cristiani comprendono il valore e l'efficacia della preghiera in comune per l'unità di quanti credono in Cristo, essi cominciano ad essere trasformati in ciò per cui stanno pregando. Quest'anno i cristiani in Polonia hanno offerto alla nostra meditazione la loro esperienza di trasformazione e di preghiera. La trasformazione a cui si riferiscono è compresa nella sua profondità solo nella resurrezione di Gesù. Ogni cristiano battezzato nella morte e resurrezione di Cristo comincia un cammino di trasformazione. Morendo al peccato e alle forze del male, i battezzati cominciano a vivere una vita di grazia. Questa vita di grazia permette loro di sperimentare concretamente la potenza della resurrezione di Gesù, e l'apostolo Paolo li esorta: "siate saldi, incrollabili. Impegnatevi sempre più nell'opera del Signore, sapendo che, grazie al Signore, il vostro lavoro non va perduto" (l Cor 15,58). Nella vittoria Gesù Cristo nostro Signore, a tutti i cristiani viene data la capacità di indossare le armi della verità e dell'amore e di superare tutti gli ostacoli che impediscono la testimonianza del Regno di Dio. Nonostante ciò, un ostacolo permane, e può impedirci di portare a termine il nostro compito. È l'ostacolo della divisione e della mancanza di unità fra i cristiani. Come può il messaggio del vangelo risuonare autentico se non proclamiamo e non celebriamo insieme la Parola che dà la vita? Come può il vangelo convincere il mondo della propria intrinseca verità, se noi, che siamo gli annunciatori di questo vangelo, non viviamo la koinonia nel corpo di Cristo? La preghiera per l'unità, dunque, non è un accessorio opzionale della vita cristiana, ma, al contrario, ne è il cuore. L'ultimo comandamento che il Signore ci ha lasciato prima di completare la sua offerta redentiva sulla croce, è stato quello della comunione fra i suoi discepoli, della loro unità come Lui e il Padre sono uno, perché il mondo creda. Era la sua volontà e il suo comandamento per noi, perché realizzassimo quell'immagine in cui siamo plasmati, quella comunione di amore che spira fra le Persone della Trinità e che li rende Uno. Per questo motivo la realizzazione della preghiera di Gesù per l'unità è una grande responsabilità di tutti i battezzati.

Conversazione con i responsabili diocesani dell’Ecumenismo

Relazione di S.E. Mons. Brian Farrell, Segretario del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani Ancona, 9 settembre 2011

1. A 50 anni dalla svolta del Concilio Vaticano II Nel novembre del 2010 si è celebrato il 50.mo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, con un solenne atto commemorativo.
Tre eminenti attori del mondo ecumenico hanno dato la loro testimonianza:
Il Cardinale Kasper ha riaffermato i valori acquisiti e ha chiamato tutti noi all’impegno irreversibile.
L’Arcivescovo di Canterbury, il Dott. Rowan Williams, ha parlato di una possibile strada per superare le nuove difficoltà tra cattolici ed anglicani, distinguendo tra i punti essenziali e quelli meno centrali (adiaphora).
Il Metropolita John Zizioulas del Patriarcato Ecumenico ha rivisitato la svolta ecclesiologica di Lumen Gentium e Unitatis Redintegratio, ha espresso la speranza che i cattolici non retrocedano e che nell’Ortodossia avvenga una nuova presa di coscienza della necessaria unità della Chiesa nella diversità delle Chiese locali.

Dove siamo?
Prendo in prestito un’efficace immagine presentata in quella stessa occasione dal Cardinale Koch: “Se gettiamo uno sguardo agli ultimi cinquant’anni, il movimento ecumenico può essere paragonato in maniera forse più calzante ad un viaggio in aereo. Il velivolo, dopo lunghi ed intensi preparativi, si stacca dalla pista e inizia un ripido decollo. Dopo che ha raggiunto l’altezza di quota e continua a volare in cielo, si ha l’impressione che non si muova più o che si muova solo lentamente. Ma i passeggeri devono rimanere assolutamente fiduciosi che l’aereo arriverà a destinazione in tutta sicurezza. A distanza di cinquant’anni, continuiamo a muoverci ad un’altezza di quota e ad una velocità percepite da molti come invariate. Rimane comunque la salda speranza che anche l’aereo ecumenico atterrerà in tutta sicurezza, speranza giustificata a maggior ragione dal fatto che il vero pilota è lo Spirito Santo, il quale ha cominciato questo viaggio con la nostra Chiesa e lo porterà infine a destinazione.” La nostra conversazione intende fornirci un’idea realistica della situazione attuale. Ogni valutazione deve effettuare una distinzione tra l’ecumenismo pratico della vita, tra persone e comunità, e l’ecumenismo della ricerca teologica dell’unità, tra le istituzioni. Quando Ut Unum Sint (1995) si propone di riassumere i frutti acquisiti nei primi decenni dopo il Concilio, è la fraternità riscoperta che esso mette in evidenza. L’ecumenismo di base va bene e talvolta benissimo!

2. La situazione del dialogo tra le Chiese Faccio riferimento in particolare alla Prolusio del Card. Koch in occasione dell’ultima Plenaria del PCPUC (Novembre 2010). Rivolgo la mia attenzione anche a Raccogliere i Frutti (Harvesting the Fruits): un bilancio di 40 anni di dialoghi...

DIALOGHI CON LE CHIESE D’ORIENTE
Orientali-ortodossi Natura, costituzione e missione della Chiesa: è il risultato di sei anni di dialogo, un risultato di notevole importanza se si considera che la separazione tra la Chiesa cattolica e queste Chiese dura da millecinquecento anni.
Una nuova fase del dialogo è cominciata ad Antelias, nel gennaio del 2010, e continuata a Roma nel gennaio del 2011. Per quanto riguarda il tema, i membri della commissione studieranno il modo in cui le Chiese hanno recepito i Concili ecumenici, il modo in cui le Chiese hanno espresso la loro comunione nei primi cinque secoli, ed il ruolo che Roma esercitava in questo contesto, prima della separazione a seguito del Concilio di Calcedonia. Approfondiranno lo studio della comunione e della comunicazione che esistevano tra le Chiese fino alla metà del V secolo della storia cristiana, così come lo studio del ruolo svolto dal monachesimo.

DIALOGO CATTOLICO-ORTODOSSO
Dopo Ravenna, è allo studio il ruolo del Vescovo di Roma nella comunione della Chiesa nel primo millennio. Nella prima parte del 2008, hanno lavorato due sottocommissioni miste con il compito di raccogliere gli elementi storici e teologici più rilevanti. Quindi si è riunito il Comitato misto di coordinamento (Creta, 27 settembre-4 ottobre 2008) che ne ha elaborato la sintesi organica, sottoposta poi ad una prima Sessione plenaria a Cipro, nel 2009. Come concordato a Paphos, la XII Sessione plenaria ha avuto luogo nel settembre del 2010 a Vienna, dove erano presenti ventitre delegati da parte cattolica con alcune assenze dovute a ragioni di salute, e ventisette delegati ortodossi in rappresentanza di tutte le Chiese ortodosse ad eccezione del Patriarcato di Bulgaria. Durante la riunione, i partecipanti hanno ricevuto la triste notizia della morte di mons. Eleuterio Fortino, avvenuta il giorno 22 settembre, dopo un lungo periodo di malattia. Mons. Fortino è stato co-segretario della Commissione mista sin dalla sua istituzione nel 1980. Cattolici e ortodossi, profondamente commossi, hanno pregato per il defunto Mons. Fortino, che molti dei presenti hanno sinceramente stimato come uno dei protagonisti dei progressi ecumenici tra le due Chiese.
Dopo una discussione animata, la delegazione cattolica ha accettato di non proseguire con lo studio da un punto di vista storico, ma di trattare la questione da una prospettiva maggiormente teologica; di usare il testo già in esame come strumento di lavoro, non come testo concordato dalla Commissione. Si è deciso, pertanto, di dare vita ad una sotto-commissione mista che presentasse gli aspetti teologici ed ecclesiologici del primato in relazione alla sinodalità, da sottoporre al Comitato misto di coordinamento che si incontrerà tra poco, nel novembre del 2011.
Anche se non è stata possibile la pubblicazione di un documento comune, sarebbe sbagliato considerare la sessione come un fallimento.
Una prospettiva più teologica rappresenta la possibilità di un maggiore approfondimento sul tema del primato. Inoltre, il grande lavoro svolto per lo studio e l’interpretazione comune delle fonti storiche del primo millennio sarà prezioso per l’elaborazione di un documento teologico.

Problemi nel dialogo: Già esistono segni importanti di aperture e trasformazioni nell’ortodossia stessa. Cito come un esempio tra gli altri quanto è stato detto dal rettore dell’Accademia Teologica di Volos: l’Accademia “ha cercato, forse per la prima volta nel mondo ortodosso, un dialogo sistematico con la modernità ... discutere i punti del rinnovamento e della riforma dell’ortodossia. . . ha messo in luce le trappole di un approccio astorico alla Tradizione e ai padri e ha posto la questione della loro lettura contestuale; ha cercato di formulare una critica sistematica sia del nazionalismo ec- clesiastico che del fondamentalismo religioso . . . Diventando in tal modo obiettivo frequente dei gruppi zeloti e fondamentalisti estremisti in Grecia, che rifiutano il dialogo con il mondo contemporaneo...” Autocefalia o primato della Chiesa universale
Un altro ostacolo, al quale il Cardinale Koch ha fatto riferimento nella sua Prolusio, è la diversa ottica ecclesiologica tra cattolici ed ortodossi.
La definizione che più si addice all’ecclesiologia ortodossa e cattolica è quella di ecclesiologia eucaristica: la Chiesa di Gesù Cristo è presente e si realizza, ed è edificata, in ogni chiesa particolare riunita intorno al suo vescovo, nella quale si celebra l’eucaristia. Poiché la chiesa particolare che celebra l’eucaristia è l’attualizzazione e la realizzazione della Chiesa universale in un luogo concreto, gli ortodossi concludono che, in linea di principio, non può esserci nessun primato della Chiesa universale sulle chiese particolari.
Questa indipendenza delle singole comunità eucaristiche ha però un costo: l’aspetto problematico dell’ortodossia è infatti il concetto di autocefalia ed il principio dell’autonomia etnica ad esso collegato.
Secondo l’ecclesiologia cattolica, invece, la Chiesa è pienamente presente nelle concrete comunità eucaristiche, ma la singola comunità eucaristica non è la Chiesa nella sua pienezza. Per questo, l’unità tra le singole comunità eucaristiche, a loro volta unite al proprio vescovo ed al Vescovo di Roma, non è una dimensione esterna all’ecclesiologia eucaristica, ma ne è la condizione essenziale.
Il nodo del problema risiede così nel fatto che “un’ecclesiologia legata alla cultura nazionale ed un’ecclesiologia cattolica orientata verso il concetto di universalità si trovano l’una davanti all’altra, finora in disaccordo” (Koch).
Per far avanzare le cose, sarebbe necessario che la Chiesa cattolica insistesse sul fatto che il primato del Vescovo di Roma non è una semplice appendice giuridica esterna all’ecclesiologia eucaristica, ma un elemento che si fonda precisamente su questa, nel senso che la rete mondiale delle comunità eucaristiche ha bisogno di un servizio a favore dell’unità anche sul piano universale. Dall’altra parte, la Chiesa ortodossa dovrebbe affrontare con determinazione la natura limitata dell’autocefalia, una questione di fondamentale importanza per il suo futuro e per l’ecumenismo, che è già presente nella riflessione condotta dal Sinodo pan-ortodosso da diversi anni: si tratta di recuperare la propria unità interna e la propria capacità di agire in maniera concertata.

DIALOGHI CON LE COMUNITA’ ECCLESIALI D’OCCIDENTE
1) Comunità tradizionali
La Conferenza Episcopale Vetero-Cattolica dell’Unione di Utrecht Nel 2009, ha avuto luogo la sessione conclusiva ed è stato elaborato il Rapporto Finale: “Chiesa e Comunità ecclesiale”. Anglicani: nel novembre del 2009 è stato pubblicata la Costituzione Apostolica “Anglicanorum Coetibus”– risposta pastorale, non propriamente ecumenismo (UR 4). Nel maggio del 2011 si è tenuta la prima riunione sul tema: “La Chiesa come comunione locale ed universale e come, nella comunione, la Chiesa locale ed universale può arrivare a discernere il giusto insegnamento etico”.
2) Federazione Luterana Mondiale
Prosegue il dialogo teologico sul battesimo e sul suo orientamento dinamico verso la piena incorporazione nella comunione. Si sta preparando un documento comune sulla commemorazione della Riforma che dovrà essere pronto per il 2017. Un gruppo di lavoro biblico è impegnato nell’approfondimento di questioni ancora aperte della Dichiarazione Congiunta sulla Dottrina della Giustificazione. Sono in corso dialoghi regionali: in Germania; in Svezia/Finlandia con un documento che descrive le convergenze e le divergenze tra cattolici e luterani in Svezia ed in Finlandia sulla professione di fede, sulla comprensione di Chiesa, sul ministero ecclesiale e sulla comprensione sacramentale.
3) Consiglio Methodista Mondiale
È stato elaborato un documento che sintetizza i risultati di tutti i dialoghi cattolici metodisti, intitolato “Insieme verso la santità; 40 anni di dialogo metodista-cattolico”. La Commissione mista ha continuato a lavorare sul testo “Incontrare Cristo il Salvatore: la Chiesa e i sacramenti”.
4) Comunione (Alleanza) Mondiale delle Chiese Riformate Cinquecentesimo giubileo di Calvino – È stata avviata una nuova fase di dialogo nel 2010.

Problemi nel dialogo con il protestantesimo:
A) Frammentazione. Recentemente, il paesaggio ecumenico è diventato molto più complesso. Abbiamo difficoltà a comprendere chi parla in maniera rappresentativa per la propria tradizione, e soprattutto a individuare quale è la posizione confessionale di alcuni dei nostri interlocutori. Alcuni hanno adottato nuove posizioni (spesso, anche se non esclusivamente, nel campo dell’etica), che sembrano essere in contraddizione non solo con gli accordi precedentemente conclusi con la Chiesa cattolica, ma persino con la fede apostolica che essi sostengono di professare. Esempi di ciò sono l’ordinazione episcopale di omosessuali praticanti e la celebrazione di matrimoni omosessuali. Altre tematiche controverse sono l’ordinazione sacerdotale ed episcopale delle donne, particolarmente all’interno della Comunione anglicana e luterana, il fatto che siano i laici a presiedere l’Eucaristia tra i metodisti, la crescita di pratiche battesimali non tradizionali. A complicare la situazione sono subentrati accordi ecumenici che sembrano minare quelli che noi abbiamo concluso con loro. Il riconoscimento del ministero riformato da parte dei luterani (Leuenberg) solleva perplessità sulla convergenza precedentemente raggiunta tra cattolici e luterani sull’Eucaristia e sul Ministero. Questi sviluppi presentano un duplice dilemma: sono ecumenicamente problematici, poiché compromettono avvicinamenti che ritenevamo sicuri. In secondo luogo, hanno originato gravi divisioni all’interno delle Comunioni da parte di coloro che hanno atteggiamenti più tradizionali. Alcuni, respingendo i nuovi orientamenti difesi dalla propria comunione, hanno ritirato la loro ubbidienza ai responsabili e si sono posti sotto altra giurisdizione (in America, alcuni anglicani tradizionali si sono uniti a diocesi africane) o hanno addirittura formato nuove province parallele a quelle già esistenti. Come esempi di quest’ultimo fenomeno, citiamo i casi seguenti: la Chiesa apostolica a Ginevra si è separata dalla Chiesa riformata, la Chiesa anglicana nell’America del Nord ha rotto con la Chiesa episcopaliana, la North American Lutheran Church si è separata dall’ Evangelical Lutheran Church in America; alcuni Luterani conservatori in Norvegia si sono staccati dalla loro Chiesa luterana.
Tutto ciò mette in difficoltà il Pontificio Consiglio: sempre più, alcuni di questi gruppi cercano di allacciare direttamente relazioni con la Chiesa cattolica e di entrare in un dialogo ufficiale a livello locale o persino universale. Le commissioni ecumeniche cattoliche nazionali ci chiedono consiglio su come reagire a sollecitazioni di dialogo da parte di questi gruppi “dissidenti”. La situazione di quarant’anni fa, quando era più facile identificare i partner e le loro convinzioni, è stata sostituita da un paesaggio ecumenico che, secondo le parole del Cardinale Kasper, “è molto inuguale e confuso”. Con chi dovremmo parlare e come dovremmo strutturare i nostri dialoghi per tener conto di questa nuova e complessa realtà?
2. Altre considerazioni presenti nella Prolusio del Cardinale Koch: Secondo il Cardinale Koch, ci ritroviamo, in un certo senso, al punto di partenza del Concilio Vaticano II. Permane la situazione in cui “molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo”, continua lo “scandalo” davanti “al mondo” e si “danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura”. Manca un vero progresso nel campo dell’ecclesiologia.
La mancanza di un consenso sullo scopo del movimento ecumenico deriva direttamente dalla mancanza di un consenso ecumenico sul concetto di Chiesa e della sua unità.
Ci troviamo oggi di fronte a due mentalità profondamente diverse.
Da una parte, c’è un ecumenismo che continua a ricercare l’unità visibile della Chiesa e lavora e prega per quest’unità; dall’altra, c’è un ecumenismo che ritiene sufficiente ciò che è già stato raggiunto e si accontenta dunque di mantenere lo status quo, di continuare a vivere in chiese separate ma con interscambio di ministeri e di comunione eucaristica. Questa è la crisi profonda dell’ecumenismo oggi.

B) Il nuovo cristianesimo: pentecostali, carismatici, evangelicali
Chi sono i pentecostali?
Il Movimento pentecostale ha recentemente celebrato i suoi primi 100 anni. Esso ebbe inizio il 14 aprile del 1906, quando nell’Apostolic Faith Mission di Azusa Street (Los Angeles) un gran numero di fedeli fece l’esperienza spirituale di una ‘Pentecoste personale”, esperienza che divenne in seguito nota con il nome di ‘Battesimo nello Spirito’. Un secolo dopo Azusa Street, i pentecostali comprendono circa mezzo miliardo di aderenti, in numerosi grup- pi a livello locale e network a livello internazionale. I pentecostali possono essere suddivisi in almeno tre correnti, ma non esiste né un’unità organica, né un’organizzazione generale che li rappresenti a livello mondiale. Accanto alle prime confessioni pentecostali (pentecostali classici), vi è una seconda corrente di gruppi pentecostali all’interno delle chiese e comunità ecclesiali storiche (conosciuti come pentecostali denominazionali; per i pentecostali, il Rinnovamento Carismatico Cattolico formerebbe parte di questo stream). Gli appartenenti alla terza corrente si definiscono non-denominazionali, neo-carismatici o indipendenti. Il dialogo Il Pontificio Consiglio conduce dal 1972 un dialogo con i pentecostali classici e dal 2008 una conversazione con i non-denominazionali. Si tratta di una relazione ad evoluzione lenta e difficile, ma progressiva. L’ultimo testo pubblicato è: “Divenire cristiano: prospettive bibliche e patristiche”. La sesta fase del dialogo, iniziata quest’anno, s’incentra sul tema “I carismi nella vita della chiesa: significato teologico e pastorale”. La logica fondamentale della posizione pentecostale si basa sulla promessa dell’Antico Testamento di una nuova effusione dello Spirito di Dio e sul compimento di questa promessa negli eventi narrati nel Nuovo Testamento. Il fatto stesso che il Movimento pentecostale/carismatico si consideri come un movimento nuovo e definitivo, segno degli ultimi tempi, e che molti pentecostali vedano il Battesimo nello Spirito come l’ultima effusione dello Spirito Santo prima della venuta di Cristo ed in quanto tale normativo per tutti i cristiani, pone serie questioni teologiche per noi cattolici. Dall’ottica pentecostale, “essere battezzati nello Spirito”, “essere pieni di Spirito Santo” e “ricevere lo Spirito Santo” sono esperienze che avvengono in un momento decisivo, diverso dalla conversione e primo approccio alla fede; esperienze in cui lo Spirito Santo si manifesta, dà forza e trasforma la vita del credente, illuminandolo sull’intera realtà del mistero cristiano (Atti 2,4; 8,17; 10,44; 19,6). Non vi è tuttavia accordo tra i pentecostali sul fatto che si debba considerare questo Battesimo nello Spirito come un’esperienza totalmente nuova – prima recezione dello Spirito – oppure come un’effusione dello Spirito già presente. I pentecostali ritengono pertanto che, con l’effusione dello Spirito Santo nell’Azusa Street Revival, si è compiuta la promessa della restaurazione degli “ultimi giorni”. È interessante che il titolo del primo volume pubblicato dai pentecostali sull’inizio della loro storia rispecchi chiaramente la loro visione su ciò che allora si era verificato: “La fede apostolica restaurata”. Molti pentecostali giudicano in maniera decisamente negativa lo sviluppo storico della Chiesa dopo Costantino. E parlano di perdita dei carismi nella vita dei cristiani, rifacendosi alle osservazioni di alcuni padri della Chiesa sul fatto che i carismi non sono più manifesti.
Giovanni Crisostomo, per esempio, ritiene “oscura” la discussione paolina sui carismi in 1 Corinzi 12, “a causa della nostra ignoranza dei fatti a cui si fa riferimento e a causa della loro cessazione, essendo quelli soliti verificarsi allora ma non più adesso” (Su Corinzi 29). Esistono due diverse prospettive nel pensiero cattolico:
1) tutto quello che costituisce il Battesimo nello Spirito è già contenuto nell’iniziazione cristiana (battesimo, confermazione e Eucarestia). Il Documento di Malines (1974) afferma che il Battesimo nello Spirito deve essere inteso come facente parte della pienezza della vita cristiana ed appartenente alla consueta esperienza della Chiesa, che è sempre aperta a qualunque dono lo Spirito conceda.
2) Una seconda scuola di pensiero ritiene che “accanto alla continua permanenza dello Spirito Santo attraverso il battesimo e la confermazione, avvengono rinnovamenti occasionali o nuove effusioni dello Spirito per cui un cristiano è reso capace di compiere azioni di grazia o posto in un nuovo stato di grazia” (Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, q 43 a 6). In questo senso, le esperienze dello Spirito possono essere spiegate come una nuova recezione dello Spirito Santo, senza negare il riferimento ai sacramenti del battesimo, della confermazione e dell’Eucaristia (Lo Spirito della Vita, documento della Conferenza episcopale tedesca del 1987). Il significato del Battesimo nello Spirito non dovrebbe essere né sopravvalutato né sminuito: i carismi, i doni gratuiti dello Spirito Santo, “qualunque sia la loro natura – a volte straordinaria, come il dono dei miracoli o delle lingue, – sono ordinati alla grazia santificante e hanno come fine il bene comune della Chiesa. Sono al servizio del- la carità che edifica la Chiesa” (CCC 2003). È un fenomeno che va approfondito.

CONCLUSIONE
Il primo obbligo in questo momento di coloro che lavorano per l’unità è quello di mantenere la fede nella svolta ecumenica del Concilio Vaticano II. Ricordiamo Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il secondo è risvegliare e rinnovare l’ecumenismo spirituale. Ci vuole un ecumenismo fatto di preghiera, di penitenza, di digiuno e di conversione. Solo così cattolici ed altri cristiani insieme arriveranno ad essere in Cristo “un cuore ed un’anima sola”. La più grande speranza concreta per l’ecumenismo è costituita da tutta quella rete di attività spirituali che intraprendono gruppi appartenenti a movimenti ecclesiali, a parrocchie e associazioni, o a congregazioni religiose, insieme ai corrispondenti movimenti e comunità delle altre chiese.

43ª GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
(1° GENNAIO 2010)

“Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”

PRESENTAZIONE DEL TEMA

Il prossimo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà il 1° gennaio 2010, sarà dedicato al seguente tema: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato. Il tema intende sollecitare una presa di coscienza dello stretto legame che esiste nel nostro mondo globalizzato e interconnesso tra salvaguardia del creato e coltivazione del bene della pace. Tale stretto e intimo legame è, infatti, sempre più messo in discussione dai numerosi problemi che riguardano l’ambiente naturale dell’uomo, come l’uso delle risorse, i cambiamenti climatici, l’applicazione e l’uso della biotecnologie, la crescita demografica. Se la famiglia umana non saprà far fronte a queste nuove sfide con un rinnovato senso della giustizia ed equità sociali e della solidarietà internazionale, si corre il rischio di seminare violenza tra i popoli e tra le generazioni presenti e quelle future. Seguendo le preziose indicazioni contenute ai numeri 48-51 della Lettera Enciclica Caritas in veritate, messaggio papale sottolineerà l’urgenza che la tutela dell’ambiente deve costituire una sfida per l’umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo, destinato a tutti, impedendo che si possa fare impunemente uso delle diverse categorie di esseri come si vuole. È una responsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell’ordine universale stabilito dal Creatore. Se si intende coltivare il bene della pace, si deve favorire, infatti, una rinnovata consapevolezza dell’interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra. Tale consapevolezza concorrerà ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantirà una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori. a questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per coltivare la pace. La nota sottolinea che nel nostro tempo questo legame viene messo in discussione sia con l’incuria verso “l’ambiente naturale dell’uomo”, “l’uso delle risorse”, “i cambiamenti climatici”, sia con politiche di manipolazione genetica (“biotecnologie”) e con programmi antinatalità che cercano di decurtare la “crescita demografica”. Il comunicato avverte che “se la famiglia umana non saprà far fronte a queste nuove sfide con un rinnovato senso della giustizia ed equità sociali e della solidarietà internazionale, si corre il rischio di seminare violenza tra i popoli e tra le generazioni presenti e quelle future”. N.B. Si invitano le Comunità Parrocchiali a valorizzare la Messa pomeridiana

(dal Notiziario Diocesano)

Il valore dei migranti
(adattamento di un articolo della rivista "Il Regno")

Ogni anno migliaia di persone muoiono mentre sono in viaggio verso l’Europa.

Il mar Mediterraneo, lungi dall’essere crocevia di popoli e culture, sta divenendo un nuovo muro di separazione.

In Europa e nel resto del mondo, i migranti con una situazione legale irregolare affrontano sfruttamento, incertezza, esclusione e violazione di alcuni dei loro diritti umani fondamentali, come il diritto all’assistenza sanitaria, all’educazione, alla vita familiare ecc. Molti migranti e i membri delle loro famiglie, persino coloro che vivono da anni nelle società europee o che sono nati in Europa, sono considerati irregolari e sono spesso passibili di espulsione verso paesi in cui non hanno mai vissuto.

Siamo inoltre preoccupati che l’emigrazione possa impoverire le Chiese dei paesi d’origine, mentre notiamo che gli immigrati possono portare benefici sia ai paesi di provenienza, sia a quelli di destinazione. L’approccio dei cristiani verso i migranti è radicato nella Scrittura e in modo particolare nel chiaro comandamento di Cristo: «Ero straniero e mi avete accolto» (Mt 25,35). «Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso, perché anche voi siete stati forestieri in terra d’Egitto» (Lv9,34).

La costruzione di relazioni buone e fraterne con i migranti è divenuto un compito importante per molte Chiese in Europa negli ultimi decenni. Le migrazioni pongono sfide e opportunità considerevoli alla testimonianza e all’unità della Chiesa in Europa così come alla società in generale. Alcune di queste persone che sono state costrette a lasciare i propri paesi a causa della povertà, delle guerre, delle persecuzioni o di disastri ambientali, arrivano in Europa in cerca di un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie. Nonostante ciò spesso è impossibile per loro ricevere la protezione che meritano e di cui hanno estremo bisogno.

Le migrazioni hanno aumentato la varietà culturale e religiosa in tutta l’Europa e nelle Chiese europee. Tale diversità è fonte di grande ricchezza e gioia, ma può anche suscitare sentimenti d’insicurezza e pregiudizi nella società e nelle Chiese.
La dilagante povertà e i crescenti livelli di disoccupazione contribuiscono
alle tensioni sociali e spesso i migranti vengono usati come capri espiatori.
Negli ultimi anni si è avuto un allarmante intensificarsi
di forme di razzismo e di atti di violenza contro i migranti e le minoranze etniche in Europa, in particolare contro la minoranza rom, che vive in Europa da secoli.

La Chiese europee hanno intitolato l’anno 2010 a «Le Chiese e la sfida delle migrazioni», per poter rendere più visibile l’impegno delle Chiese verso gli stranieri e così rispondere al messaggio della Bibbia e poter promuovere politiche inclusive a livello sia europeo sia nazionale per i migranti, i rifugiati e le minoranze etniche.

Come Chiese europee ci impegniamo:

  • a prendere posizione pubblicamente contro le violazioni dei diritti dei migranti e a denunciare qualunque atto di discriminazione razziale e di razzismo istituzionale;

  • a organizzare e mantenere dei servizi per i più vulnerabili tra i migranti e i rifugiati che arrivano in Europa.

  • a contrastare le paure che sorgono nelle società nei confronti delle migrazioni e a facilitare le iniziative ecclesiastiche volte al perseguimento di un modello pacifico di vita comune;

  • a includere nelle nostre Chiese come membri di pari dignità i migranti che ci sono fratelli nella fede e a incoraggiare la loro piena partecipazione e l’assunzione di ruoli di leadership all’interno delle Chiese, e a promuovere relazioni fraterne con le Chiese dei migranti e delle minoranze etniche;

  • a commemorare coloro che sono morti nel loro viaggio verso una vita dignitosa in Europa con l’istituzione di una giornata annuale di preghiera.

  • a sostenere e ad accompagnare le Chiese di altre parti del mondo che vivono in condizioni critiche.

Come Chiese europee chiediamo alle pubbliche autorità:

  • di aumentare la protezione sociale e legale verso i migranti più vulnerabili e in particolare delle vittime del traffico di esseri umani;

  • di assicurare i diritti umani fondamentali ai migranti senza documenti, in particolare a quelli rinchiusi in centri di detenzione;

  • di rimuovere gli ostacoli legali e di altra natura alla vita familiare dei migranti;

  • di garantire il riconoscimento dello statuto di rifugiati a coloro che ne hanno necessità.

  • di creare un quadro giuridico chiaro per combattere il razzismo;

  • di astenersi da qualsiasi misura, legale o amministrativa, che sia discriminatoria e che produca l’isolamento di particolari gruppi etnici;

  • di rafforzare l’aiuto allo sviluppo fra i più poveri del mondo.

Negli ultimi anni si è avuto un allarmante intensificarsi di forme di razzismo e di atti di violenza contro i migranti e le minoranze etniche in Europa, in particolare contro la minoranza rom, che vive in Europa da secoli.

COMUNICATO STAMPA DEL CONSIGLIO NAZIONALE DI "PAX CHRISTI"

Ero straniero e mi avete accolto

Pescara, 10 Maggio 2009

“Ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,35). La Parola di Cristo porta a compimento la logica conviviale della Scrittura dal Levitico 19,33-34 –“Tratterete lo straniero che risiede fra voi come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso”, al Deutoronomio 10,19 – “Amate lo straniero perché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto”, alla Lettera agli Ebrei 13,2 – “Non dimenticate l’ospitalità, perché alcuni, praticandola, hanno ospitato senza saperlo degli angeli”.
Alcuni eventi drammatici concomitanti interpellano fortemente la nostra fede cristiana e il nostro laico civile impegno: -il ripetuto “respingimento”di migranti intercettati nel canale di Sicilia e rispediti alla Libia, che non aderisce alla Convenzione internazionale dei diritti umani, presentato come “svolta storica “ dal Ministro dell’Interno ma respinto come preoccupante da organismi dell’ONU e già sanzionato dalla Corte europea nel 2005;- il suicidio di Mabrouka Mimoni nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria a Roma, sconvolta per il rimpatrio in Tunisia; - il decreto sicurezza, ritoccato rispetto alla stesura originale, ma pesantemente inquinato dal reato di clandestinità, quindi dall’idea del povero come delinquente e dalla povertà come delitto, con ricadute pesanti, anche mortali, su molte famiglie e sui loro bambini; - la tragicomica proposta di uno dei capolista della Lega Nord alle elezioni europee, noto per aver paragonato i rom ai topi da “derattizzare ” e per l’attacco costante alla logica del dialogo promossa dall’arcivescovo di Milano, di carrozze della metropolitana riservate solo ai milanesi; - in generale, il linguaggio aggressivo, violento e volgare presente in questo e in altri campi della vita politica e sociale.
Siamo alle prove di apartheid. Non possiamo tollerare l’idea che esistano esseri umani di seconda e terza serie e che dentro e fuori l’Italia si formi un popolo di “non-persone”. Per noi le normative in atto e allo studio violano la Dichiarazione universale dei diritti umani basata sul principio “non negoziabile” della dignità umana e sulla prospettiva della fratellanza (art. 1), così come la Costituzione italiana, gli articoli 2,3,4, 10, 11, soprattutto quelli che prevedono il nostro conformarci alle norme del diritto internazionale e la promozione delle organizzazioni internazionali dei diritti umani. Disposizioni così cattive e incivili, oltre che controproducenti ai fini della pace e della sicurezza, hanno a che fare con il nostro essere credenti e cittadini.
Il Concilio Vaticano II ci invita a esercitare la nostra funzione profetica, sacerdotale e regale (“Lumen gentium” 31-36), ad affermare “la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali dimora lo spirito Santo come in un tempio” (“Lumen gentium” 9).
Parlando della “grande responsabilità della comunità ecclesiale, chiamata ad essere casa ospitale
per tutti, segno e strumento di comunione per l’intera famiglia umana”, il papa Benedetto XVI ritiene importante che ogni comunità cristiana intervenga per “aiutare anche la società civile a superare ogni possibile tentazione di razzismo, di intolleranza e di esclusione” e per “organizzarsi con scelte rispettose della dignità di ogni essere umano. Una delle grandi conquiste dell’umanità è,infatti, proprio il superamento del razzismo […]. Solo nella reciproca accoglienza di tutti è' possibile
costruire un mondo segnato da autentica giustizia e pace vera” (angelus 17 agosto 2008).
A tal fine, riteniamo utile riprendere le indicazioni episcopali degli anni ’90 sulla cittadinanza responsabile (“Educare alla legalità”, “Educare alla socialità”, “Educare alla pace”) sviluppando con coerente determinazione i percorsi aperti dalla Dottrina Sociale della Chiesa.
Oggi per noi si pone seriamente la questione se la comunità cristiana non debba sfidare le diffuse tendenze xenofobe e razziste con la disobbedienza civile.
Il cristiano rispetta la legge ma sa che la pienezza della legge è l’amore (Rom 13, 1-10), pensa quindi che debba opporsi a leggi ingiuste e a sistemi che opprimono l’essere umano, fatto a immagine di Dio, e che colpiscono i più deboli (Is 10,1-4 e Ger 7,1-7).
E’ necessario reinventare o aggiornare la tradizione biblico-cristiana del diritto d’asilo, di essere cioè “santuario di protezione e difesa”(movimento presente negli Stati Uniti e in altri paesi) per i poveri e i deboli sottoposti ad abusi o che rischierebbero la vita se rimandati in alcuni paesi d’origine. Secondo il diritto internazionale nessun respingimento è possibile prima di valutare le singole situazioni dei migranti.
Come credenti cittadini del mondo, dell’Europa e dell’Italia, intendiamo riaffermare la civiltà del diritto tramite il fare creativo della nonviolenza. E’ urgente realizzare l’articolo 10 della Costituzione riguardante la legge sul diritto d’asilo e istituire finalmente la Commissione nazionale indipendente per la promozione e la protezione dei diritti umani che può essere sostenuta e accompagnata da realtà associate nei modi previsti dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani (risoluzione 53/144 del 8 marzo 1999), il cui articolo 1 dice che “tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per a protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale”. Utile strumento può diventare al riguardo il progetto delle Città dei diritti umani in un mondo libero promosso, tra gli altri, dalla Tavola della Pace, dal Coordinamento degli Enti locali per la pace e i diritti e da Libera, realtà dove Pax Christi è variamente presente. In tal modo può anche camminare il progetto dell’ “ONU dei popoli”e molte scuole, fin dal prossimo anno scolastico, con la definizione delle attività di “Cittadinanza e Costituzione”, potrebbero chiamarsi Scuole delle Nazioni Unite, promotrici di diritti umani nelle loro città.
Invitiamo, quindi, tutti gli operatori di pace, cominciando da noi stessi, dagli aderenti ai punti pace di Pax Christi, a mobilitarsi per costruire la pace nella vita quotidiana e nelle nostre città spesso prigioniere di solitudini, governate dalla paura e coinvolte in progetti tribali e autoritari dove si gioca il futuro della cittadinanza. Nessuna cultura della pace è possibile se non si realizzano il disarmo delle menti, la smilitarizzazione dei cuori e dei territori, se non si promuove il cantiere della cittadinanza attiva che è fatto di buone pratiche sociali e amministrative orientate al bene comune e alla sicurezza comune, alla liberazione dalle paure, all’educazione ai conflitti per una positiva loro gestione, al fiorire di spazi e momenti di riconoscimento reciproco, di integrazione-interazione, di contemplazione e di preghiera. Nessuno ci è straniero anche perché la distanza che ci separa dallo straniero è quella stessa che ci separa da noi stessi e la nostra responsabilità di fronte a lui è quella che abbiamo verso la famiglia umana amata da Dio, verso di noi, pronti a testimoniare la profezia del Risorto che annuncia la pace e ci dice di non temere perché sarà con noi “tutti i giorni, sino alla fine del mondo” (Mt 28.20).

RIFLESSIONI IN MARGINE ALLA GUERRA ARABO-ISRAELIANA DI QUESTI PRIMI GIORNI DELL'ANNO 2009


I BAMBINI DEL GHETTO DI GAZA
di Gianfranco Formenton

Ho cercato tra le parole e i titoli imbarazzati dei quotidiani e dei tg nazionali di scoprire se ci sia modo di capire qualcosa della vicenda della striscia di Gaza e mi sembra purtroppo di essere nuovamente di fronte all'ennesimo tentativo di mistificazione della realtà e delle parole. Non c'è il coraggio civile di chiamare le cose con il loro nome e chi ci prova si trova tacciato di "essere dalla parte dei terroristi", sia esso un cardinale della Chiesa cattolica (cardinal Martino: "Gaza come un lager") o un politico del Pd (D'Alema: "Questa guerra formerà un'altra generazione di fondamentalisti")… Chiunque, cioè, provi a mettere in discussione la legittimità di un’azione militare di Israele che deve per forza passare per "legittimo diritto alla difesa".

I fatti, i fatti. I numeri. Mille morti contro dieci non raccontano di una guerra. Possiamo definirla una "spedizione punitiva", un "massacro", una "azione indiscriminata contro i civili", un "genocidio"… ma non una guerra. E terribili sono le giustificazioni.

Israele non si preoccupa nemmeno di negare di avere bombardato coscientemente una scuola rifugio dell'Onu e si giustifica: "Avevamo notizia di terroristi nella scuola". E così in nome della legittimità di difendersi dal lancio indiscriminato di razzi da parte di una organizzazione islamica giustificano tutto: sparare sulle ambulanze; bombardare con gli elicotteri, con gli F16, con le bombe a grappolo, con le bombe al fosforo, bombardare le scuole, i convogli e le sedi dell'Onu sapendo di sparare sui civili… (e questo non è "terrorismo"? Dov'è la differenza?). E poi c'è l'apparato ideologico. Scandalo per le bandiere d'Israele bruciate con esternazioni ed equivalenze da parte del Presidente della Camera (Fini: "Chi brucia le bandiere di Israele è come i terroristi"); le televisioni schierate a sottolineare che è una "guerra contro Hamas"; l'affannosa ricerca di dichiarazioni secondo la logica della "par condicio" (sì, però anche Hamas ha lanciato i razzi!); le sottolineature del presidente della Comunità Ebraica di Roma ("Hamas usa i bambini come scudo").

Poniamo il caso che si abbia notizia della presenza di gruppi di camorristi a Secondigliano. Abitano vicino ad altri, negli stessi quartieri, negli stessi palazzi. Hanno dei figli, dei parenti, dei vicini… che facciamo? Mandiamo i Tornado a bombardare? Gli facciamo sparare dalle portaerei alla fonda nel Golfo di Napoli? Mandiamo i carri armati sulle strade di Napoli? Radiamo al suolo interi quartieri e ci giustifichiamo che c'erano dei camorristi da uccidere? Giustifichiamo l'uccisione dei bambini perché avevano la colpa di essere vicino a dei camorristi o perché nelle loro case c'erano delle armi? Trovereste tutto così normale?

Perché è questo che sta succedendo. Gaza non è molto più grande di un quartiere di Napoli e nessuno trova strano che la quarta potenza militare (e nucleare) del mondo si scagli con tutto il suo potenziale bellico, aviazione, marina, artiglieria, fanteria contro un "ghetto" (con la più alta densità di popolazione al mondo) cinto d'assedio da due anni. Nessuno trova alcunché di riprovevole nel fatto che su mille morti un terzo siano donne e bambini.

A Varsavia, negli anni ‘40, accadde lo stesso. I nazisti chiusero tutti gli ebrei nel ghetto. Chiusero tutti gli ingressi (i valichi). Bloccarono tutte le loro attività economiche. Gli ebrei si organizzarono con i piccoli commerci del contrabbando (i tunnel attraverso i quali passa il cibo e le armi). Qualcuno cominciò ad organizzare la resistenza. Qualche bottiglia molotov (razzi kassan). Al momento stabilito i nazisti decisero di attaccare il ghetto e iniziarono la strage (una legittima azione di difesa della razza!)… Mitragliatrici contro pistole e bottiglie molotov. Carri armati contro le mani nude. Ideologia della razza contro lotta per la sopravvivenza. Il Dio dei nazisti contro il Dio d'Israele. Tutto ciò accadde a Varsavia.

Affermare questo è antisemitismo? Qualcuno può essere legittimamente "anti-israeliano" senza essere per questo "antisemita"? C'è qualche ebreo nel mondo che possa onestamente riconoscere le nefandezze di uno "stato ebraico" (così definiscono Israele i giornalisti) che non ha mai rispettato neanche una delle risoluzioni dell'Onu nei suoi confronti (l'Iraq è stato bombardato per questo), che viola i più elementari diritti dell'uomo, che affama un intero popolo, lo chiude in un ghetto, lo provoca continuamente e alla fine lo bombarda dal cielo, dal mare e da terra senza lasciare nessuna via di uscita? Questa è la conseguenza del terrorismo o "è" il terrorismo?

Sono un prete cattolico. Prego tutti i giorni con i Salmi dell'Israele di Dio, sogno la Gerusalemme celeste (perché quella terrena è stata nazionalizzata), ma ho fissa nella mia mente e nel mio cuore l'immagine del bambino del ghetto di Varsavia con lo sguardo smarrito e le mani dietro la nuca e trovo che sia sorprendentemente uguale a quella di ogni bambino palestinese (o di qualunque altro popolo) ucciso in nome delle farneticanti teorie di "difesa nazionale" dello Stato ebraico (o di qualunque altro stato, di qualunque ideologia della razza, nazista, ebraica, cristiana o islamica). Conosco la Bibbia e so, cari ebrei d'Israele, che sono i vostri stessi profeti (che sono i nostri) a condannare le vostre azioni… Quella foto vi condanna e vi dice che state usando gli stessi metodi barbari dei vostri antichi oppressori… e non credo che dobbiate tanto temere qualcosa dall'antisemitismo che voi stessi generate (non siete uno stato in pericolo: avete soldi, appoggi politici e potenza quanto basta per garantirvi l'impunità) quanto la "vendetta" del Dio d'Israele che "stronca le guerre" e punisce "tutti gli operatori di iniquità"!

Don Milani, un giorno, mise di fronte ai suoi ragazzi la foto di un uomo con le mani legate dietro la schiena ed inginocchiato a terra mentre un altro uomo gli puntava la pistola alla tempia e chiese bruscamente ai suoi ragazzi: "Tu, da che parte stai?". Non importa la divisa. Un oppressore è un oppressore. Un assassino è un assassino. Un terrorista è un terrorista, sia che lanci i razzi kassan per colpire indiscriminatamente qua e là, sia che piloti un F16 o un carro armato dell'Esercito Israeliano per colpire indiscriminatamente interi quartieri (e, se mai, sono le proporzioni che sono sconcertanti!). Un uomo è un uomo e se c'è da stare dalla parte giusta si deve stare sempre dalla parte del debole, del povero, dell'innocente… dei bambini di tutti i ghetti della storia, che non hanno mai nome, né religione, né appartenenze politiche. I bambini sono bambini e non è colpa loro essere figli di ebrei o di musulmani. Hanno diritto di vivere, sempre. E non si spara ai bambini, mai.

I bambini del ghetto di Varsavia. I bambini del ghetto di Gaza.

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In questa pagina troverai anche i riferimenti ai documenti indicati nelle tabelle seguenti:

Lettere mensili del Parroco

Anno
Mese
2007
1
2
3
2008
4
5
6
7
8-9
10
11
12

Lettere particolari del Parroco

Data
Titolo
Occasione
Ottobre 2007
 
Dicembre 2007
Avvento
Marzo 2008
Quaresima
Documenti della Conferenza di S. Vincenzo

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Documenti del Gruppo Catechisti

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Documenti del Gruppo Caritas

  • Finalità ed attività del Gruppo

“..All’interno delle comunità dei credenti non deve esservi una forma di povertà tale che a qualcuno siano negati i beni necessari per una vita dignitosa”
(Benedetto XVI, “ Deus Caritas est” )

Nella nostra parrocchia è operante da oltre quindici anni un Gruppo Caritas che gestisce un centro di distribuzione gratuita di vestiario, di mobili ed altri articoli per la casa.
Questa attività fu iniziata dal Parroco Don Cesare Carli che raccoglieva quello che la gente offriva, per poi ridistribuirlo a chi ne aveva bisogno. Nel tempo a lui si sono affiancati vari volontari che hanno cercato di dare maggiore sistematicità alla distribuzione, costituendo piano piano un gruppo Caritas ben organizzato.
Attualmente il gruppo è composto da 11 donne che si occupano principalmente della scelta, suddivisione e distribuzione dei capi di vestiario e della biancheria per la casa e da 8 uomini che si interessano soprattutto del reperimento e della distribuzione dei mobili.
I volontari che operano in questo Centro provengono da Monte S. Quirico, S. Martino in Freddana, Cappella, Mutigliano, S. Pietro a Vico, SS. Annunziata. Attualmente il gruppo si avvale anche dell’aiuto, anch’esso volontario, di alcuni immigrati.
La buona organizzazione e l’efficienza dell’attività, che sono riscontrabili anche dalla quantità e diversità del materiale ridistribuito, si deve pure alla collaborazione con Sistema Ambiente di Lucca che ha concesso in gestione la Stazione Ecologica sita in Monte S. Quirico al numero civico 1194 della Via provinciale per Camaiore, dove il Gruppo Caritas opera, assicurando anche il personale addetto alla gestione della raccolta differenziata dei rifiuti.

L’attività del Centro si sviluppa su due rami principali:

1. selezione e recupero dei materiali che pervengono alla Stazione ecologica, che sono ancora in buone condizioni e quindi riutilizzabili;
2. raccolta, a seguito di chiamata, di mobilio e di altri arredi, se in buono stato, da abitazioni private. volontari sono in servizio per la distribuzione gratuita dei beni suddetti ogni venerdì non festivo dalle ore 15 alle ore 18.
Nell’anno 2008 sono stati effettuati circa 50 giorni di apertura per la distribuzione e sono state accolte più di 1000 persone di 34 nazionalità diverse con una maggioranza di provenienti dal Marocco, Romania e Italia.
Le frazioni di residenza degli assistiti sono 202 arrivando fino a La Spezia, Empoli, Massa. Dai registri della distribuzione risultano, (alla data odierna: 30-12-2008) globalmente 2012 assistiti, intendendo per “assistito” sia un singolo individuo che un gruppo familiare.
I materiali distribuiti sono di vario genere: mobili, elettrodomestici (frigo, lavatrici, TV, stufe ecc.), materiali per l’infanzia (seggioloni, passeggini, seggiolini auto, ecc.), accessori per la cucina (pentole, piatti, bicchieri, posate, ecc.), complementi per la casa (tovaglie, asciugamani, lenzuoli, coperte, ecc.) e vestiario per neonati, bambini, ragazzi, donne e uomini.
Nello scorso anno sono stati distribuiti oltre 10.000 capi di vestiario. Inoltre è stato possibile effettuare sostanziose spedizioni di abbigliamento nella Bielorussia, nel Congo e in Ruanda su richiesta di organizzazioni che hanno avviato programmi di aiuto in questi paesi.
Il Gruppo ascolta chiunque abbia bisogno di aiuto e accetta l’offerta di chiunque voglia prestare aiuto. Infatti è possibile offrire assistenza a coloro che ne hanno bisogno, solo grazie al contributo di coloro che offrono le loro cose e alla collaborazione di quelli che offrono il loro tempo e lavoro in un impegno non sempre facile, ma alla ricerca di “dialogo con tutti avendo una forte passione per la difesa della vita, della giustizia e della pace” (da Linee Pastorali 2006/2007, pag. 17).
La Caritas ha, tra gli altri, il compito di promuovere e tradurre in atti concreti il senso di carità verso le persone e le comunità in situazioni di disagio.

Anche nella nostra realtà locale si manifesta la difficoltà di reperire beni indispensabili per raggiungere o mantenere una prospettiva minima di vita, per un numero elevato di persone (anziani e famiglie con problemi di reddito e/o relazionali, gruppi nomadi, immigrati, ecc.).
In particolare, per gli immigrati e i nomadi, viene riconosciuto unanimemente necessario favorire l’integrazione; molto spesso, questa viene ostacolata dalla mancanza di strumenti di uso comune che possano testimoniare la loro volontà di inserimento e facilitare le relazioni.
Per tale motivo il gruppo di Monte S. Quirico, si dedica in particolar modo al reperimento, la gestione e la distribuzione di questi beni: mobili, elettrodomestici e stoviglie, biancheria per la casa, tutto quanto serve per la cura dei bambini, giocattoli e vestiario.
L’attività si alimenta, oltre che con una parte di fondi propri della Caritas, con donazioni e con la raccolta e selezione di beni nuovi od ancora utilizzabili che altrimenti, per una ampia gamma di motivazioni (eccesso di consumismo, strapotere delle mode, traslochi, morti, cambiamenti di stile di vita, impossibilità a vendere la merce, ecc.), sarebbero trattati come rifiuti da smaltire immediatamente.
I volontari, se necessario, ritirano i mobili dalle abitazioni, le merci dai magazzini, selezionano e immagazzinano corredi e vestiario, predisponendo quanto necessario alla distribuzione che avviene settimanalmente.
L’attività è facilitata dalla collaborazione di tutti coloro che ne sono a conoscenza, e che fanno i conferimenti o le segnalazioni opportune, e di Sistema Ambiente che consente l’uso di parte della sede della Stazione Ecologica di Ponte Freddana.
La raccolta e la distribuzione crescono progressivamente perché rispondono a motivazioni ed esigenze fondamentali; ripagano da un lato i volontari con la consapevolezza di un impegno svolto per la difesa della vita e della giustizia e dall’altro chi collabora conferendo i beni, con la concreta attuazione di intenti sociali ed umanitari.
Altri gruppi presenti nel nostro territorio offrono parecchi servizi ma non con le caratteristiche di quanto offerto a Monte San Quirico per cui a questo gruppo fanno riferimento da altri comuni ed anche province.

  • La raccolta avviene presso la Stazione Ecologica di Sistema Ambiente di Ponte Freddana (via di Camaiore – presso il bivio per Ponte a Moriano) con il seguente orario:
    - Lun-Mart-Merc-Giov: ore 9.00 – 12.00 e 15.00 – 18.00
    - Ven. e Sab: ore 9.00–13.00 e 15.00–18.00

  • La distribuzione viene effettuata presso la Stazione Ecologica di Sistema Ambiente di Ponte Freddana (via di Camaiore, 1194– presso il bivio per Ponte a Moriano) con il seguente orario:
    - Venerdì ore 15.00–18.00


Per informazioni, contributi e offerte di collaborazione riferirsi a:

  • Paola: tel. 328 5722762 – paola.betti@iol.it
  • Radiana: tel. 338 6367615

 

  • Un progetto umanitario

Anche quest'anno, durante il mese di luglio, ha soggiornato da noi un gruppo di ragazzi della Bielorussia, che l'Associazione “YRA” in collaborazione con la nostra Parrocchia ospita nei locali della scuola elementare da ormai molti anni nell'ambito di un progetto umanitario internazionale teso al recupero sanitario all'estero dei bambini colpiti dalle radiazioni nucleari o dalle loro conseguenze dopo il disastro di Chernobyl del 1986.
In questa occasione il gruppo degli ospiti, che era composto da 16 bambini tra i quali alcuni gravemente handicappati, accompagnati da tre assistenti, un medico e un'interprete volontaria, proveniva dall'orfanatrofio di Zhuvarici e da villaggi della zona di Ragaciov.
La nostra parrocchia ha contribuito a garantire una buona accoglienza insieme all'Associazione YRA con l'impegno di alcuni volontari e con le offerte di in denaro e generi alimentari di numerose persone.
Le offerte in denaro sono state utilizzate nel modo seguente:

  1. 350 € raccolti in occasione della Cena di San Quirico sono stati consegnati direttamente all'Associazione YRA che assolve a tutte le incombenze pratiche e organizzative di questa trasferta umanitaria;
  2. acquisto di generi di conforto e piccoli regali che sono stati offerti ai ragazzi, al momento del loro rientro in patria, in ricordo dell'esperienza fatta;
  3. offerta di residui 250 € quale contributo della nostra parrocchia al progetto dell'Associazione Yra denominato “Una serra per crescere”.

Questi ragazzi, infatti, che in maggioranza sono orfani o abbandonati dalle famiglie che non hanno di che curarli, vivono per lo più in un istituto che possiede intorno molti ettari di terreno, su quale essi stessi coltivano gli orti per il proprio sostentamento; ma tutto quel comprensorio si trova in zona contaminata.
Da qui l'idea del progetto “Una serra per crescere”, che si propone appunto di costruire nei giardini dell'orfanatrofio serre per poter coltivare “fuori suolo” e cioè su un substrato di terra fertile non contaminata fatta pervenire da lontano e da irrigare con acqua prelevata in profondità, in modo da interrompere la contaminazione della catena alimentare che rappresenta tuttora un grave pericolo.

(VG)

Documenti della Confraternita

Documenti del Gruppo "Amici dei lebbrosi"

Documenti del Gruppo de "Il Melograno"

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Documenti del Gruppo dei Donatori di Sangue ed Organi

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