San Felice S. Felice e S. Maria Madre della Chiesa
Torrione Alto (Salerno)  
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S.Felice in Diocesi

Time Out Parrocchia
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Convegno Pastorale Diocesano 2011
Dal Vangelo alla vita, dalla vita al Vangelo

Le riflessioni in parrocchia sulla traccia per il cammino pastorale hanno visto l'impegno della nostra comunità insieme ai responsabili, spalancando un orizzonte di luce per un cammino in comunione che spesso è mortificato nel vivere il nostro essere Chiesa.
Per un rinnovamento della catechesi il punto forte è stato rendersi conto che la società cambia e il rapporto con la Chiesa ha una triplice posizione: un gruppo che vive l'essere Chiesa; un gruppo che è all'uscio e, forse, attende di entrare; e, infine, un gruppo vasto che è lontano.

Il cammino di rinnovamento implica l'esigenza di proporsi Chiesa dinamica, solidale e non acqua stagnante, tenendo sempre aperta la dimensione accoglienza dell'altro, del lontano e di chi viaggia su strade diverse. Si è posto in evidenza di non mortificare mai la fantasia di Dio nel dialogo con tutti, per contrastare le posizioni idolatriche del nostro tempo.

Oggi, più che mai, capire il sudore del cuore e della fronte per testimoniare il Cristo Risorto. Dare input alla catechesi e alla predicazione.
E' tempo, pur conoscendo le grandi difficoltà, di tradurre nel quotidiano la fede e proporre nuove e più incisive forme di intervento pastorale senza buttare via il passato. Spesso la nostra fede ha solo sapore di folclore e l'uomo preferisce il giardino del mondo, lasciando in cielo Dio.

Quindi per noi, popolo di Dio, scrivere maggiore impegno nell'Ascolto della Parola, per costruire la casa sulla roccia e per vivere la carità e i Sacramenti. Porre in attenzione, ripartendo dallo Spirito Santo, l'esperienza di essere assidui all'insegnamento, alla Koinonia come Condivisione e alla fractio panis. La preghiera deve animare la vita personale e comunitaria, cercando di essere lievito.

Per cancellare il buio bisogna scegliere un tempo in cui Dio ci parla, per portare pagine di speranza e non mettere da parte l'esperienza delle profondità con un generico attivismo.
Pertanto è urgente prendere coscienza di proporre con coraggio la Parola e la catechesi, che non sia saltuaria, e rilanciare i centri di ascolto nei vari quartieri.

Tutto quanto sopra per sentirsi comunione nell'Eucaristia, centro di ogni nostra azione pastorale; senza moltipicarla. Dare molta attenzione a quanti all'uscio e lontani, per permettere loro di entrare in casa. Lasciare il facile comodo e dare accoglienza e disponibilità. Portare con umiltà la nostalgia di Cristo nei vari ambienti: famiglia, scuola, politica, sport. Portare attenzione ai fratelli ammalati e scendere dal piedistallo che abbiamo costruito per noi. Infine, rispetto e comunione tra parroci, sacerdoti e momenti associativi donando spazio alla corresponsabilità dei laici.


Flash dal Convegno Pastorale Diocesano 2009
L'identità del presbitero diocesano davanti alle sfide del tempo


Testimone del Vangelo nella Chiesa e nel mondo
di mons. Vittorio Peri

Promotore della nuova evangelizzazione:
Spiritualità di missione con alcuni necessari
passaggi per una evangelizzazione nuova:

 dalla pastorale di conservazione a quella missionaria
 dalla collaborazione alla corresponsabilità
 da un metodo prevalentemente 'fonico' a quello esperenziale
 dal diffuso analfabetismo religioso alla dimensione culturale
 dall'individualismo all'educazione alla legalità
 dall'affanno organizzativo alla fraternità
 dal ritualismo alla calebrazione



La nostra geografia diocesana e non solo
del prof. Pino Acocella

Il Mezzogiorno, pur presentando alcuni profili socio-cultutrali ed economici comuni, mostra una varietà di situazioni che ha indotto i più a parlare di tanti Mezzogiorni presenti contestualmente nell' area meridionale. Il territorio della Diocesi salernitana presenta una pluralità di vocazioni territoriali che riproducono la realtà del Sud nel suo complesso: zona costiera e zona interna, pianura e montagna, economia agricola ed economia industriale, tessuto urbano e frammentazione di medi e piccoli comuni, contiguita con aree metropolitane verso Nord e lontananza dai grandi centri verso le province limitrofe ad Oriente e a Sud

La nostra Diocesi, come altre realtà del Mezzogiorno, soffre di una carenza strutturale della vita civile e sociale che si manifesta nella mancanza visibile di dinamismo nella vita economica con crisi permanente dell'occupazione, scarsi orizzonti della pratica politica, interessata più che altro alla creazione e alla conservazione del consenso, forti divaricazioni nella vita sociale, funzione subalterna esercitata dalle realtà amministrative locali.

La condizione della Chiesa meridionale - del suo clero ma anche del suo laicato - non è separabile dalla più generale comprensione della questione meridionale, perché della storia del Mezzogiorno la Chiesa è parte essenziale. Nella sua storia si cela una doppia, tragica valenza, che la fa - in negativo ed in positivo - un grande agente di condizionamento delle categorie sociali meridionali e, al tempo stesso, inevitabilmente partecipe di mentalità e di costumi profani, come ha mostrato la testimonianza di un prete meridionale quale Luigi Sturzo.

Se la salvezza non viene e non può venire dall'impegno sociale e civile, né alcuna opzione politica può costituire una discriminante all'intemo della comunità ecclesiale, occorre però al tempo stesso sottolineare come la professione di fede non possa essere ridotta a fatto meramente e sterilmente privato e individualistico, o esteriormente rituale, ma comunque deve divenire motore fecondo della storia, manifestazione di solidarietà per gli uomini, vittoria sull'indifferenza colpevole per la sorte del prossimo, testimonianza della carità.




Sottovoce ci diciamo...
Non occorrono molti bagagli per mettersi in viaggio nella vita, basta amare.
Fuori, in fondo alla strada, si alzava il sole...
Ed allora intuire che tutto va dall'amore all'amore con Colui che è AMORE.
Cerchiamo di non rendere la Parola muta e il canto senza musica.
Don Luigi



Pentecoste, festa difficile
Riecheggiando Don Tonino Bello

Sì, la Pentecoste è una festa difficile.
Ma non perché lo Spirito Santo è un illustre sconosciuto, anche per molti battezzati e cresimati. E' difficile perché provoca l'uomo a liberarsi dai suoi complessi...

Il complesso dell' 'ostrica': siamo troppo attaccati allo scoglio, alle nostre sicurezze, alle lusinghe gratificanti del passato. Ci piace la tana, ci attira l'intimità del nido, ci terrorizza l'idea di rompere gli ormeggi, di spiegare le vele, di avventurarci in mare aperto; se non la palude, ci piace lo stagno. Di qui la predilezione per la ripetitività, l'atrofia per l'avventura, il calo della fantasia. Lo Spirito Santo, invece, ci chiama alla novità, ci invita al cambio, ci stimola a ricrearci.

C'è poi il complesso dell' 'una tantum'. E' difficile per noi rimanere sulla corda, camminare sui cornicioni, sottoporci alla conversione permanente. Amiamo pagare una volta per tutte, preferiamo correre soltanto per un tratto di strada; ma poi, appena trovata una piazzola libera, ci stabilizziamo nel ristagno delle nostre abitudini, dei nostri comodi. E diventiamo borghesi.

E c'è, infine, il complesso della 'serialità'. Benché si dica il contrario, noi oggi amiamo le cose costruite in serie, gli uomini fatti in serie, i gesti promossi in serie. Viviamo la tragedia dello standard, l'esasperazione dello schema, l'asfissia dell'etichetta. C'è un livellamento che fa paura. L'originalità insospettisce. L'estro provoca scetticismo. I colpi di genio intimoriscono. Chi non è inquadrato viene visto con diffidenza. Chi non si omogeneizza col sistema non merita credibilità.

Lo Spirito Santo, invece, ci chiama all'accettazione del pluralismo, al rispetto della molteplicità, al rifiuto degli integralismi, alla gioia di intravedere che lui unifica e compone le ricchezze dalla diversità.

La Pentecoste vi metta nel cuore una grande nostalgia del futuro.



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Abitare la parrocchia... è la sua ora.
(don Luigi)

Gli spazi umani non ti pongono più come "una comunità" aperta all'incontro e al dialogo e spesso neanche come punto di "partenza"... ma solo una "stazione di servizio" per un rapporto di occasione...

Tu sei...
- spazio, dove cresce la fede per essere atleti di Dio nella città degli uomini;
- angolo, dove trovare respiro, l'entusiasmo e lo stupore;
- cantiere di formazione e di gioia in un mondo "dolente e stupendo";
- luce nel viaggio sacramentale in rapporto alla vita che nasce, cresce, esplode nella gioia, si affatica nel lavoro, si misura nella sofferenza del vivere esistenziale;
- rettangolo di gioco per ricominciare nella speranza e nella pace;
- deserto, dove Lui ci parla al cuore.

Abitare la parrocchia per abitare le strade.
Dobbiamo quindi comprendere che i lontani, gli esterni e i cristiani della soglia per entrare in casa aspettano la proposta che sia esperenziale, aperta e libera.




Ho letto per voi:
'Il Papa va all'inferno' di Don Tonino Bello (1988)

Circolava negli anni Cinquanta.
E aveva un titolo suggestivo: I santi vanno all'inferno.
Il libro di Cesbron raccontava le prime esperienze dei preti operai che entravano nell'inferno delle fabbriche francesi. Io non so se Cesbron è ancora vivo. Ma se lo fosse, in questi giorni gli verrebbe senz'altro l'idea di scrivere un libro intitolato: Il Papa va all'inferno.
Nell'inferno del Centro America. Nei gironi delle guerriglie spietate. Nei cerchi delle ingiustizie e del sangue. Nelle bolge dove esplodono le violenze più emblematiche. Nel fuoco dove si consumano le sopraffazioni più disumane del mondo contemporaneo.
Mi vado chiedendo se per noi credenti l'esodo del Papa vuole rimanere il bel gesto di un leader o non debba, invece, essere interpretato come un profetico segno dei tempi.
Non c'è dubbio. Quel che il Papa sta compiendo è una freccia stradale per tutti. Prendiamo anche noi la strada dell'inferno. Scendiamo nel cuore sanguinante dei problemi. Sporchiamoci le mani. Collochiamoci sul crocevia per dove passano le contraddizioni della vita di ogni giorno.
Insegnaci, Signore, le tue vie!
Qui da noi, qual è il Nicaragua violento, qual è l'Honduras spietato che ci provoca a uscire dal Vaticano delle nostre sicurezze? A quale Costarica, a quale Belize, a quale Haiti, presenti nel nostro territorio, dobbiamo portare l'annunzio che Cristo è risorto? Su quale punto della carta topografica della nostra città segneremo un Salvador di croci o un Guatemala di disperazioni, bisognosi di quella Pasqua a cui ci stiamo preparando, forse, in modo troppo intimo e 'tra amici'?  Vi sto forse distogliendo dal raccoglimento della Quaresima, dopo che vi ho invitati alla preghiera e al silenzio?
Non credo. Anche perché tutti intuite che fedeltà e rischio, tempio e strada, contemplazione e lotta, non sono oggi termini contraddittori.
Ma modi diversi e ineludibili di vivere il proprio mistero di risorti.




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