Carità e Sofferenza - La
pastorale delle persone con difficoltà fisiche e psichiche nella
parrocchia
a cura di fra Mihai Augustin Folner O.carm.
Premessa
La persona disabile è un valore, una
risorsa e una ricchezza per la comunità, che è chiamata ad aprirsi e farsi
carico di questi soggetti.
La malattia, con i limiti che impone e
con i rimedi cui obbliga, è un’esperienza sgradevole, molte volte
sconcertante. Disturba o diminuisce la capacità di rendimento, obbliga a
adattarsi in circostanze impreviste, a ridurre e sacrificare impegni e
programmi, a chiedere l’aiuto altrui. Questa è la realtà sconcertante
della malattia che ingloba la vita del malato.
I. Assistenza ai sofferenti nelle parrocchie;
Il valore della Carità
Essere testimoni della vocazione di ogni persona
alla comunione personale con Dio, cooperare a risvegliare in ognuna che
soffre la nostalgia di volersi soggetto di amore, accompagnare nel non
dissociare l’amore per Dio e per un’umanità sana ed amica, diventa urgenza
primaria di ogni ministero della chiesa e in particolare di quello che
concerne la malattia e la salute.
La carità non appartiene al genere delle
verità teoretiche, qualifica le operazioni personali relazionali. Si
impara a conoscere la carità amando, e la conoscenza cresce e si
perfeziona quando ci si impegna in fedeltà nel realizzare la comunione
interumana e con Dio.
La carità alimenta atteggiamenti e
aspirazioni particolari nei confronti delle persone che vivono in
situazioni che, come la malattia, rischiano di far entrare in crisi tutta
la vita di relazione. Per il suo dinamismo di sorgente, è cattolica,
comunionale e vivifica la volontà di riconciliare, di radunare in unità,
di cercare la pecora smarrita, di volere che Dio sia tutto in tutti.
La carità è il mistero di Dio e il
Vangelo della carità solo nella Parusia svelerà la ricchezza della sua
verità, del mistero dell’amore di Dio diffuso nei nostri cuori.
La parrocchia
La chiesa si iscrive oggi come sempre
nelle coordinate della vita dell’uomo che determinano significati,
iniziative e comportamenti. Ogni chiesa particolare cerca di attuare la
missione salvifica di Cristo attraverso varie forme e nelle diverse aree
in cui si svolge la vita umana e quella della salute. Una delle forme
privilegiate dell’azione pastorale della chiesa è data dalla parrocchia.
La parrocchia, anche nelle attuali
condizioni socio-civili, continua ad essere la forma principale della
missione della chiesa nella vita della gente. Essa è realtà storica e
positiva, che non chiama in causa la fede, ma individua un determinante
e importante assetto ecclesiastico.
La pastorale sanitaria
La Nota pastorale della CEI, La
pastorale della salute nella chiesa italiana, offre una definizione
della pastorale della sanità e illustra gli ambiti della presenza e
azione della chiesa in questo particolare settore della vita dell’uomo.
I vescovi italiani nella loro Nota descrivono la
pastorale della sanità “variamente intesa e realizzata dalla comunità
cristiana lungo i secoli, in sintonia con l’evoluzione della cultura e
della medicina e lo sviluppo della riflessione teologica sulla prassi
ecclesiale. Essa può essere descritta come la presenza e l’azione della
chiesa per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e
a quanti ne prendono cura.
Prima di tutto la comunità cristiana
deve prendere coscienza della unione stretta che c’è tra l’annuncio di
Cristo, il dono della sua grazia, la cura dei malati, l’impegno di
guarirli e l’attenzione alla salute e alla vita umana. Occorrer tenere
bene uniti tutti questi aspetti del messaggio evangelico. “Ogni distacco o
incoerenza fra parola, sacramento e testimonianza impoverisce e rischia di
deturpare il volto dell’amore di Cristo” (Evangelizzazione e
testimonianza della carità n. 28).
Se le nostre comunità cristiane
riusciranno a superare la facile frammentazione o separazione di questi
aspetti della pastorale globale ed essenziale, allora anche il mondo
sanitario ne beneficerà.
La cura della sofferenza non può essere
vista soltanto come liberazione dalla malattia e dal dolore fisico e
morale, che non sempre è possibile, anche con le più sofisticate tecniche
e con le terapie più avanzate. La comunità cristiana deve portasi accanto
ai malati con lo stile di Gesù, il quale se con i suoi miracoli si
presenta alle folle come “curatore del corpo”, è sempre guaritore di
anime. Le guarigioni sono già, in parte, una vittoria del Regno.
La comunità cristiana deve aiutare il
fratello infermo, o che comunque soffre, a liberarsi da tutto ciò che
impedisce alla sua sofferenza di diventare forza di redenzione
per sé e per gli altri (Salvifici doloris, n. 19) per questo è
inviata da Gesù a curare le malattie e ad annunciare il Vangelo.
Nell’ambito della pastorale sanitaria
ha un posto non secondario, insieme con l’evangelizzazione,
l’amministrazione dei sacramenti e il servizio di carità, la stessa
umanizzazione dell’assistenza, dei servizi e delle istruzioni sanitarie,
perché pur essa ha una “valenza evangelizzatrice e caritativa”.
Sinteticamente si potrebbe delineare così la
pastorale sanitaria della parrocchia oggi:
- annunciare il Vangelo della salvezza,
favorendo una crescita nella fede;
- educare alla preghiera come richiesta
fiduciosa di aiuto e di sostegno nel momento della sofferenza;
- illuminare con la Parola di Dio i problemi del
mondo della sanità nel campo della ricerca scientifica e della tecnica, al
fine di salvaguardare la dignità della persona umana;
- aiutare a scoprire il senso del dolore
sul piano personale e sociale;
- contribuire alla umanizzazione dei servizi
socio-sanitari e dei rapporti interpersonali tra malati e operatori
sanitari;
- favorire la formazione degli operatori sanitari ad
un senso di professionalità basato sulla competenza e sulla dedizione alla
persona sofferente;
- svolgere opera di educazione sanitaria e morale
nella prospettiva del valore della vita da rispettare in ogni momento
dell’esistenza;
- facilitare relazioni più fattive e integrate fra
comunità cristiane e strutture socio-sanitarie;
- educare alla promozione e alla tutela
dei più deboli.
II. Le attenzioni più urgenti:
Evangelizzazione del dolore
Nella parrocchia vanno approfonditi e
allargati i temi della catechesi nel cammino formativo dei fedeli. La
fede, come l’istruzione di una persona, non si improvvisa nel momento in
cui è toccata dalla sofferenza, ma cresce e si sviluppa nella propria
comunità durante tutta la vita. i capitoli della catechesi sul senso della
vita, sul dolore, sulla morte, sulla salute, sull’educazione sanitaria
ecc. devono essere spiegati ai bambini, ai ragazzi, ai giovani, ai
fidanzati e agli adulti. Con la parola e con i gesti concreti bisogna far
comprendere la preziosità del sofferente che, inserito nel mistero di
Cristo e animato dall’amore, porta frutto a vantaggio di tutta la chiesa;
come pure bisogna valorizzare nella medesima linea la preghiera dei malati
e l’offerta delle loro sofferenze e presentare gli ammalati come
“parrocchiani a pieno titolo” e come “soggetti di pastorale”.
Educazione alla salute
Deve diventare un capitolo importante
della cultura cristiana, anche se si tratta di una prospettiva che nelle
sue realizzazioni concrete è ancora di là da venire; però vi si deve
egualmente dedicare grande attenzione.
Educare alla tutela della salute, intesa
come dono e come responsabilità, contrastando coraggiosamente l’idolatria
della salute come unico valore supremo, è un lavoro che si può svolgere
proprio nell’ambito della comunità coinvolgendo la famiglia, la scuola,
gli ambiti educativi degli oratori, delle associazioni ecclesiali e dei
movimenti giovanili.
È un compito formativo di notevole
interessamento, che deve entrare in una programmazione pastorale adeguata
al momento storico.
Il valore della vita
Nella costante tradizione cristiana il
riconoscimento del valore della vita umana è stato affermato e
salvaguardato dal quinto comandamento che, nella proibizione di uccidere,
suona appunto come indicazione di esigenza radicale di rispetto alla vita.
La comunità cristiana proclamerà sempre con forza il
suo “no” alla morte artificialmente procurata per sé e per gli altri.
La formazione del personale
Il futuro del mondo sanitario nei suoi
aspetti umani ed etici poggia in larga misura sul personale, che stenta a
vivere in globalità la propria professione. Oggi più che mai si richiede
la presenza sempre più numerosa di operatori sanitari capaci di
fronteggiare l crescente numero dei bisogni ma soprattutto pronti a
infondere una profonda sensibilità umana.
Spetta alla comunità cristiana educare i
giovani alla testimonianza coraggiosa della dedizione, invitandoli anche
alla scelta professionale sanitaria.
Il compito più urgente e talvolta anche
più difficile è proprio quello di sostenerli. Si tratta di aiutarli a
motivare con sempre maggior convinzione la loro scelta in prospettiva
vocazionale e di inserirli nella pastorale della parrocchia.
Inoltre occorre creare con loro
iniziative sul territorio, così che tanti problemi di ordine etico-morale
siano discussi e diventino occasione per rilanciare una programmazione che
tenga conto di tanti temi inerenti al mondo della sanità.
Il volontariato
La comunità cristiana deve essere di
grande aiuto alle associazioni di volontariato, soprattutto nel chiarire
la verità delle motivazioni. La motivazione è il motore della vita: quando
è superficiale, debole o interessata, l’impegno viene meno dinanzi alle
difficoltà. Quando invece è solida, si superano tutti gli ostacoli.
L’attenzione a questo importante fenomeno può aprire anche alla sua azione
orizzonti nuovi.
La presenza nelle strutture sanitarie
Si tratta di una grande possibilità,
perché la struttura sanitaria si fa più capillare, più vicina, più
presente nel territorio. Proprio per questo non dovrebbe essere
impossibile alla comunità cristiana esprimere persone convinte, che
accettino la fatica dura, anche se appassionata, di farsi, sia come
cristiani che come cittadini, corresponsabili nella programmazione e nella
gestione del servizio sanitario.
I livelli di partecipazione sono ampi:
vanno dalla programmazione, alla gestione, al controllo, alla critica,
alla denuncia di storture o di omissioni.
Una “qualche” struttura
È bene che sul territorio si crei da
parte della parrocchia una “qualche” struttura o strumento che favorisca
il collegamento tra l’azione svolta in ospedale, casa di cura, ricovero
per anziani, ambulatorio ecc. e l’impegno della stessa comunità cristiana.
Tale struttura può ridursi, in certe
situazioni, anche alla semplice presenza del cappellano o di un operatore
sanitario nei consigli parrocchiali o zonali, oppure può consistere in una
segreteria o in qualche commissione. Ogni realtà locale, a seconda delle
particolari circostanze, deve studiare quale tipo di struttura dar sorgere
per attuare una programmazione pastorale che consideri anche l’aspetto
della sanità.
Solo con un minimo di struttura sarà
possibile studiare un progetto di iniziative che veramente coinvolgano la
parrocchia sui problemi sanitari.
FAVORIRE la comprensione che ogni persona in
situazione di handicap è anch'essa un dono significativo alla comunità e
nelle comunità deve essere aiutata a diventare protagonista del proprio
cammino di fede.
Sostenere lo sviluppo della cultura del handicap inteso non soltanto come
abbattimento delle barriere architettoniche ma soprattutto di quelle
mentali.
Facilitare con ogni mezzo possibile e con le persone disponibili un'attiva
partecipazione di tutti i membri della comunità alla liturgia della
parrocchia, manifestando sensibilità specifica proprio per le persone con
limiti fisici e mentali.
Dare
importanza e tempo per la preparazione e formazione personale: il
catechista non deve diventare uno specialista delle varie disabilità ma è
necessario che egli conosca il soggetto, le sue problematiche, i linguaggi
per comunicare e gli strumenti necessari per accogliere l'annuncio di
fede.
Diventare il tramite con l'ambiente sociale locale e con le sue
"Istituzioni di servizio" (ASL, Servizi di Assistenza, Associazioni di
volontariato), non sostituendosi ai loro dovuti servizi sociali ma
sollecitando un loro servizio funzionale e collaborando con loro.
La pastorale nella chiesa, in
definitiva, è attuazione del ministero della carità: è la “sollecitudine e
la carità di Cristo verso gli infermi” (Ordo, n.42).
III. Coinvolgimento dei sofferenti (menomati)
nelle attività parrocchiali.
Le trasformazioni che caratterizzano il
nostro tempo, chiedono alle persone impegnate nella Pastorale Sanitaria
conversione di mente, cuore, opere per conformarsi alla carità di Dio
diffusa nei cuori dallo Spirito.
Come è possibile questo
- Vedere il disabile come “dono e risorsa”;
-
Far crescere in noi il concetto della diversità come ricchezza e
completezza per le nostre comunità nelle quali il disabile va accolto e
capito, senza il timore di mostrarsi inadeguati verso di lui.
Gli
ostacoli vanno considerati opportunità per migliorare le situazioni e
condividere un cammino di crescita cristiana.
Fatti propri questi punti, diventa possibile progettare anche di fronte a
limiti fisici e psichici un itinerario catechistico con l'apporto di
tutti.
Per
attuare questo progetto, entrano in gioco l'ascolto attivo e l'attenzione
all'altro, la comprensione e la tolleranza verso la persona portatrice di
handicap.
L'intera comunità è portata a farsi carico di tale comprensione ma non la
comunità dei normali che lascia per spirito di commiserazione un posticino
anche all'altro ma quella di chi sente l'integrazione e la pari dignità
come un dovere.
Comunicare, interagire, trasmettere il messaggio di speranza: se è pur
vero che questo è il primo compito dei catechisti, spetta alla comunità
non lasciarli soli in tale compito.
Perché l'obiettivo che li muove ha un grandissimo valore: aiutare chi è in
difficoltà a percepire Dio nella loro vita come la Persona che più di
tutti la ritiene veramente preziosa.
Accogliere le persone con handicap offrendo
coinvolgimento e amicizia nella vita della comunità. Senza una preventiva
conoscenza della situazione, si può essere portati a pensare che il loro
stato non ci tocchi, non è compito nostro. Questo distacco psicologico
favorisce la logica della delega che carica su alcuni specialisti un
compito comunitario appartenente a tutti i cristiani.
Rivolgere la dovuta attenzione alla famiglia della persona con handicap.
Essa non va lasciata sola col proprio problema ma aiutata ad assumere un
atteggiamento sereno nei confronti del limite. Questo è possibile se essa
scopre solidarietà, se vede disponibilità, se trova possibilità di
condivisione nell'affrontare i disagi relativi alla vita dei figli
disadattati.
-
Valorizzare i carismi delle persone in difficoltà, soprattutto quelle con
problemi di handicap. Per questo tipo di intervento concreto va superata
prima di tutto l'ottica che ha l'efficienza come parametro base in favore
della consapevolezza che è sufficiente chiedere a ciascuno quello di cui è
capace.
È
necessario stimolare questa creatività dei singoli: nella comunità si
possono affidare tanti piccoli servizi anche ai "disabili", secondo quello
che ciascuno di essi può e sa fare.
-Superare la mentalità assistenzialistica ed efficientistica, sostituendo
l'agire per con l'agire con.
Le
conseguenze dell'atteggiamento assistenzialistico portano a far credere di
stare a posto con la propria coscienza, solo perché di tanto in tanto si
offrono beni e tempo. È necessario, invece, non partire dalla propria
normalità efficiente, ma dalla possibilità che altri debbano poter
esprimere il proprio valore.
Offrire la possibilità alle persone con handicap di accedere normalmente
ai sacramenti. In questa prospettiva è necessario convertirsi da quella
mentalità conseguente ad una catechesi che diventa solo conoscenza della
verità. Per le situazioni di handicap psichico grave, si deve fare
riferimento alla consapevolezza e alla fede della comunità.
Qui
il problema non coinvolge solo il singolo catechista, ma pastori ed
educatori, cioè tutta la comunità con le sue istituzioni (compreso il
Consiglio pastorale).
Si
deve pensare ad una programmazione rispettosa del cammino possibile e
personalizzato di ciascuno, favorendo l'integrazione nei gruppi di
catechesi, superando ostacoli fisici, adottando accorgimenti di
comunicazione con contenuti graduali.
È
evidente la necessità di una formazione-sensibilizzazione degli
educatori-catechisti affinché possano:
-
Assicurare, prima di ogni intervento di inserimento, un clima fatto di
vita comunitaria, di attenzione, capace di far sperimentare l'Amore e la
Presenza di Dio come Padre, di Gesù come amico, dello Spirito Santo come
forza vitale: bisogna essere convinti che la trasmissione della fede
avviene più per osmosi comunitaria che per conoscenze dottrinali.
Combattere con iniziative culturali appropriate una certa mentalità
statica ancora attuale nelle comunità seconda la quale la presenza di una
persona con handicap limita la vita di gruppo catechistico. Essa deve
diventare invece segno di crescita comunitaria nella fede e di
testimonianza dell'amore.
IV. Celebrare con i disabili.
Lo “spirito della liturgia” riguardante
il rapporto comunità-persona non è mera invenzione fantastica, ma è ben
vedere, nasce e si basa strutturalmente da fondamenti antropologici e
teologici.
Tutti i battezzati sono passivi (nella
liturgia) perché è lo Spirito che ricevono che li rende re, sacerdoti e
profeti, e attivi perché lo Spirito li abilita ad agire e nella vita e
nella vita liturgica, epifania del culto spirituale. Tutti i fedeli, con
la dovuta predisposizione e la dovuta preparazione, ricevono e celebrano i
sacramenti.
Come interpretare tutti i fedeli?
Fra costoro possiamo annoverare anche i disabili sia
quelli di disabilità motoria, sia quelli di disabilità sensoriale
logo-uditiva e visiva e in particolare quelli di disabilità cerebrale
congenita e psico-intellettiva?
La risposta è duplice.
► La prima riguarda propriamente il disabile
in sé, fluisce organicamente dalle riflessioni ora fatte e trova nella
prospettiva sia antropologica che teologica dell’”esperienza come
superamento” il suo senso. Se consideriamo il disabile, la sua presenza
“in ecclesia”, la costatazione che ne scaturisce è severa per tutti noi
credenti.
La chiesa nelle sue strutture pastorali si mostra
ancora impreparata, le famiglie delle persone disabili non sanno muoversi,
non sanno chiedere, se non vengono aiutati. A volte sono le famiglie degli
altri ragazzi a rifiutare la presenza di ragazzi disabili, perché
disturberebbero la cerimonia (…) nelle assemblee domenicali eucaristiche
non si tiene conto della presenza delle persone disabili, queste compaiono
solo in circostanze speciali, come la visita del papa o del vescovo.
Invece la partecipazione dei disabili alla liturgia
deve permettere agli stessi di essere, di apparire nella loro specificità
e personalità, di fare un’esperienza totale, umana e spirituale, di cui,
anche per i disabili mentali, non ne possiamo misurare la portata in
riferimento alla loro personalità. L’esperienza per loro e per le comunità
in cui essi sono inseriti è come non mai un anti-discorso.
L’esperienza liturgica come superamento
risponde profondamente all’istanza antropologica e a quella teologica,
dove la disabilità diventa possibile altra di presenza e in quanto tale è
riconosciuta: il non vedente vede oltre, il disabile motorio sperimenta un
altro incedere, il mentale un altro modo di relazionarsi. È questo che dà
senso profondo all’esistere perché il disabile è amato in sé e per sé.
► il secondo aspetto, la seconda risposta
circa il diritto-dovere anche dei fedeli disabili a ricevere i sacramenti,
lo troviamo nello spirito della stessa liturgia. Esso è basato
essenzialmente sulla relazione-comunicazione tra Dio e il suo popolo:
nuova ed eterna alleanza, per Cristo in Spirito Santo, e sulla
relazione-comunicazione all’interno del popolo santo, che nel rispetto
dell’identità personale dei fedeli, essi stessi diventano, liturgicamente
parlando, nella relazione comunionale dell’ecclesia.
D’altra parte la prassi di battezzare nella fede
della Chiesa i bambini, infanti, e di conferire il sacramento della
cresima al bambino che non ha raggiunto l’età della discrezione, in
pericolo di morte, secondo il diritto canonico, rilevano che la
celebrazione di questi sacramenti non dipende dalla conoscenza e dalla
preparazione.
La verità al malato
La comunicazione della verità al malato
è una questione complessa e controversa, nella quale si intrecciano
aspetti etici, deontologici, psicologici, pastorali e intorno alla quale è
sempre esistita e tuttora esiste una grande varietà di opinioni e di
comportamenti. È pericoloso attribuire valore generale alla propria
esperienza che, per forza di cose, è settoriale e limitata, così come è
sbagliato il ricorso meccanico a modelli di comportamento standardizzati e
uguali per tutti.
Fino a non molto tempo fa era
convinzione universalmente diffusa che un paziente grave avesse maggiori
probabilità di guarire o di sopportare una malattia se non fosse al
corrente della sua situazione clinica e che, in ogni caso, la
comunicazione di una prognosi infausta dovrebbe essere ritardata il più
possibile.
Oggi si nota una inversione di tendenza,
testimoniata fra l’altro dalle numerose Carte dei diritti del malato
e dai Codici deontologici, ma non basta certo un più facile
accesso dei malati alle informazioni che li riguardano per poter avere un
miglioramento automatico della qualità della comunicazione.
La morale cattolica non ignora che nei
casi concreti possano darsi delle situazioni conflittuali nelle quali dire
la verità potrebbe tradursi in un danno per il suo destinatario, ma
rifiuta l’idea cara a tanti medici antichi e moderni che dire una bugia ad
un malato sia un atto talora necessario e del tutto senza colpa, perché si
tratterebbe di una bugia o inganno pietoso o di una menzogna data per
necessità per evitare mali peggiori.
Ridurre tutta la questione della verità
al malato intorno al tema del diritto alla verità o al precetto di non
dire menzogne ci allontana dal cuore del problema: prima di decidere se
dire o non dire la verità al malato, prima di stabilire i modi, i tempi, i
destinatari di questa comunicazione, bisogna cercare di capire che senso
abbia la verità per il malato e che posto occupi la verità nel contesto
della relazione fra malato e medico, fra malato e coloro che lo circondano
e lo assistono e, più in generale, all’interno delle relazioni umane.
Conclusione
Nella comunanza dell’agire, nella
relazione tra tutti, sani e disabili, giusti e peccatori, uomini e donne,
bambini e anziani, ci è possibile dire il linguaggio che dica Dio, il Dio
della relazione trinitaria e dell’incarnazione. Il diritto e dovere di
ciascuno e di tutti diventa opera, esperienza divina. A ciascuno è reso
possibile sciogliere la lingua e/o il cuore e/o ciò che ci può sfuggire
perché s’incontri nell’illimitato del Creatore.
____________________
Bibliografia:
- Faggioni Maurizio,
Verità al malato, in Giuseppe Cinà, Efisio Locci, Varlo Rocchetta,
Luciano Sandrin (a cura di), Dizionario di Teologia Pastorale, Ed.
Camilliane, Torino 1997.
- Mongillo Dalmazio
Antonio, Carità, in Giuseppe Cinà, Efisio Locci, Varlo Rocchetta,
Luciano Sandrin (a cura di), Dizionario di Teologia Pastorale, Ed.
Camilliane, Torino 1997.
- Ponticello Italo,
Parrocchia e Pastorale Sanitario, in Giuseppe Cinà, Efisio Locci,
Varlo Rocchetta, Luciano Sandrin (a cura di), Dizionario di Teologia
Pastorale, Ed. Camilliane, Torino 1997.
- Silvano Maggiani,
La partecipazione liturgica: diritti e doveri di ogni battezzato, in
Rivista liturgica, 90 (2003) 1.
Parrocchia S. Maria del Carmelo - Piazza B.
Vergine del Carmelo, 10 - 00144 Roma - tel. 06.5294061 - fax. 0652244818