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7  DOMANDE  A  UN  MISSIONARIO  PART – TIME

 

 

Il missionario part-time è il diacono Giuseppe, di Roma, che da sei anni va, un paio di mesi per volta, in una missione nella periferia di Lima.

 

1.   Come t’è venuta l’idea di andare in missione?

Non ci avevo mai pensato, neppur lontanamente, fino al giorno in cui un mio amico, Luigi, diacono anche lui, con sua moglie Isabella, ha lasciato qui a Roma i sette figli e uno stuolo di nipoti per andare a vivere nell’estrema periferia di Lima. La cosa mi colpì molto: “Diamine! Perché Luigi molla tutto e se ne va in missione?”. Mia moglie, Patrizia, mi disse: “Perché non andiamo a vedere?”. E così, un po’ per amicizia, un po’ per curiosità, mi trovai a spendere le mie ferie – a quel tempo lavoravo in banca – in Perù.

 

2.   E che realtà hai trovato?

Tanta povertà: case di pali e pannelli di legno, con la sabbia per pavimento e un telo di plastica per soffitto. E ti rendi conto quanto sia difficile trovare un lavoro e quanto magro il salario (un bracciante prende 20 soles, pari a 5 euro, per un giorno di lavoro). Avverti anche una povertà di relazioni, un debole senso della famiglia e tante giovani con figli abbandonate dai loro uomini. E fenomeni di devianza, con bande di ragazzi di strada e, diffusissima, la piaga dell’alcolismo. Eppure, in tutto questo, ti salta agli occhi un vivo senso religioso e una forte domanda di sacro.

 

3.   Sono quasi tutti cattolici, vero?

Non è come si crede: direi che su una radicatissima religiosità naturale hanno, per la maggior parte, solo una verniciatura di cristianesimo. Sanno di dover battezzare i figli, ma poi, nella nostra zona, vediamo che una metà dei ragazzi non hanno ricevuto il battesimo; sanno del matrimonio cristiano, ma solo una coppia su cinque lo ha celebrato. Questa situazione costituisce un terreno molto fertile per le cento confessioni evangeliche e le sette di tutti i tipi, impegnatissime a far proseliti là dove la Chiesa cattolica è meno presente.

 

4.   E voi missionari cosa fate?

Partiamo dalla loro forte religiosità naturale per orientarla in senso cristiano. Mi spiego racontando un episodio. Era il 16 luglio e mi portarono una statua della Madonna – la Virgen del Carmen – perché la benedicessi; quanto più aspergevo d’acqua benedetta l’immagine e la gente, tanto più me ne chiedevano: uomini con le palme delle mani protese, donne che mi porgevano i loro bambini e giù acqua benedetta. Per loro questo dell’acqua è un rito di riconciliazione e propiziazione; ecco, noi dobbiamo partire di qui per arrivare alla vera riconciliazione cristiana, all’acqua del costato di Gesù morto sulla croce, all’acqua del battesimo. Per questo il nostro impegno quotidiano è nell’annuncio del Vangelo: lo facciamo per le strade, di casa in casa, nei mercati e nella celebrazione della Parola e dei sacramenti.

 

5.   Tu parli di annuncio e di celebrazioni liturgiche; ma carità niente?

La cosa più urgente per chi ha fame è dargli da mangiare, per chi è ammalato la possibilità di curarsi. E, con il sostegno economico di tanti amici, abbiamo aperto un consultorio medico, avviato un asilo per bimbi poveri, distribuiamo aiuti alimentari alle ragazze madri, diamo coperte a chi patisce il freddo, … Tutto questo è necessario per fronteggiare le emergenze, ma non dimentichiamo che la cosa più importante è annunciare il Vangelo, perché la molla per promuovere la crescita di una persona è di liberare le sue energie interiori, dandogli la consapevolezza della propria dignità e sappiamo bene che la radice della dignità umana è nel rapporto con Dio. Carità è voler il bene dell’altro, un bene che va oltre l’immediatezza del dar da mangiare: dare speranza a chi è sfiduciato, consiglio a chi è nel dubbio, pace a chi vive nel risentimento, voglia di impegnarsi a chi ha già tirato i remi in barca, riconciliazione a chi è diviso, … e tutto questo è Gesù l’unico a poterlo compiere, se è con noi.

 

6.   Qualcuno ti avrà certo chiesto: che bisogno c’è d’andare in missione così lontano, quando c’è tanto da fare qui a Roma?

È vero che la missione del cristiano comincia appena esce di casa, anzi – a ben vedere – già in casa, con la propria famiglia. Ma devo riconoscere che per me la missione in Perù è un luogo privilegiato: la mattina, quando mi sveglio so che non ho altro da fare che aiutare gli altri: sono missionario a tempo pieno. Inoltre, nel rapporto con la gente, lì è tutto più semplice e diretto e, forse per la presenza di tanti poveri, si avverte un forte “profumo di Cristo”.

 

7.   Tu sei un diacono e certo hai molto da fare; ma se venisse un laico, un giovane?

Ogni anno riceviamo la visita di diversi giovani e adulti, da Roma o da altre città (quest’anno da Biella). Vengono per conoscere una realtà missionaria, per comprendere, per dare una mano e riescono a farlo con semplicità ed efficacia. Non occorre nemmeno che conoscano lo spagnolo: la gente non ha bisogno di parole per capire che tu sei lì per loro; e se poi hai una chitarra i ragazzi ti si raccolgono intorno e con un canto comincia qualcosa di nuovo. Per un giovane, venire a conoscere una missione, in Perù o dove crede, è un’esperienza forte, che gli apre gli occhi sul mondo e che poi non vorrà dimenticare.

Parrocchia S. Maria del Carmelo - Piazza B. Vergine del Carmelo, 10 - 00144 Roma - tel. 06.5294061 - fax. 0652244818

Ultimo aggiornamento: 04-10-07