La preghiera eucaristica. Il prefazio

 

Il tracciato di questi temi liturgici è giunto ad un punto nodale, apice di tutto il percorso. La preghiera eucaristica, infatti, per la sua natura ed il suo ruolo occupa una posizione di rilievo nel contesto degli studi liturgici. La brevità di queste pagine costringe a limitare l’esposizione e fornire solo alcune linee orientative, per una comprensione più celebrativa e pastorale che scientifica. L’intento espositivo costringe a sezionare, come in un laboratorio, le varie componenti della preghiera, anche se il lettore è consapevole che l’operazione di smembramento delle parti ha una funzione puramente analitica. Ogni elemento, infatti, è strettamente connesso con il corpus nel quale ha vita e come ogni tessera di un mosaico può essere studiata in sé, tuttavia è solo il mosaico che suscita ammirazione e permette all’occhio di mettere a fuoco l’immagine. La preghiera eucaristica, secondo la struttura più comune e generalmente accolta dagli studiosi, può essere paragonata ad un mosaico composto da tessere di varia dimensione (le parti della preghiera eucaristica sono diverse tra loro), che una scuola di mosaicisti (non un singolo autore) nel corso dei secoli ha adattato o modificato, solitamente senza alterare l’immagine generale, ma dando rilievo a questo o quel particolare. Per comodità espositiva, si farà riferimento a dodici tessere, quante sono le parti che è possibile individuare e distinguere nella preghiera eucaristica.

La prima tessera è il dialogo invitatoriale, composto da tre successive scansioni, ognuna delle quali si compone di un invito del presidente, rivolto all’assemblea e della relativa risposta. Si tratta, secondo alcuni studiosi, di una qualche categoria di introduzione al prefazio stesso. Il Signore sia con voi è formula non sono augurale, ma anche affermativa, perché le lingue semitiche, come anche il greco ed il latino, non contemplano un uso obbligatorio del verbo essere (si pensi alla formulazione latina dominus vobiscum), quindi non solo sia, ma anche è. In questo senso, la formula esprime una constatazione: il Signore è con la sua Chiesa, agisce in essa, la accompagna. L’assemblea risponde E con il tuo Spirito. Il termine spirito interpretato sia come soggiacenza semitica di ah (spirito, anima), sia come espressione di nefeš (anima, spirito), indica sempre la persona. Si può quindi leggere questa prima forma dialogica in chiave di invocazione benedicente. Il sacerdote benedice l’assemblea e la comunità risponde con una medesima formula di benedizione, in cui si fa riferimento alla dimensione profonda della persona che presiede l’Eucarestia. La risposta dell’assemblea, a livello esplicativo significa anche con te. Il linguaggio liturgico, tuttavia, non ama simili semplicità espressive, che rischierebbero di essere quasi banali.

Il sintagma In alto i nostri cuori va interpretato come una direzione-tensione del cuore. L’esortazione del sacerdote indica una disposizione, concentrazione e direzione di tutta la persona e dell’assemblea verso il divino, in particolare durante la preghiera. Quasi una esortazione a volgere lo sguardo verso l’alto, abbandonando le preoccupazioni e le ansie della vita. La risposta dell’assemblea Sono rivolti al Signore è attestazione di un modus celebrativo: tutti i fedeli riconoscono il loro impegno a concentrare l’attenzione al Signore ed al mistero che si sta celebrando. La celebrazione è memoriale di tutto ciò che il Signore ha fatto per noi e questo è il senso dell’ultima espressione Rendiamo grazie al Signore nostro Dio. La comunità radunata rende grazie, prima che si compia di nuovo il memoriale del dono che il Cristo ha fatto a tutti noi. Egli infatti accettò la morte per la salvezza di ciascuno, per la nostra redenzione. L’assemblea da il suo assenso e si unisce al sacerdote che innalza il ringraziamento al Padre, con le parole E’ cosa buona e giusta, immediatamente riprese dal sacerdote all’inizio del prefazio. Infatti il testo riprende introducendo la prima parte del prefazio, solitamente detta protocollo iniziale, con le parole E’ veramente cosa buona e giusta…, chiara eco della riposta appena pronunciata dai fedeli. Dopo questo dialogo introduttivo, che precede ogni prefazio, il Messale prevede circa un centinaio di formulari variabili, a seconda del tempo liturgico, delle celebrazioni dei santi o della libera scelta del sacerdote.

Il protocollo iniziale, cioè la prima parte del prefazio, è solitamente il luogo liturgico del rendimento di grazie, che trova la sua origine nel greco eukaristein e nella radice ebraica ydh, che significa confessare. Il tema del rendere grazie è l’elemento ricorrente di tutta l’Eucarestia, nel senso etimologico di rendimento di grazie e può essere ricondotto a Ef 5,20 («Sempre e per ogni cosa rendete grazie a Dio e Padre, nel nome del Signor nostro Gesù Cristo») e Col 3,17 («Ogni cosa che voi facciate in parole o in opere, tutto sia nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui»). In modo particolare nel testo del prefazio l’assemblea confessa, cioè riconosce la grandezza e la forza di Dio, in contrapposizione con la debolezza umana ed il peccato. L’esperienza del confessare e rendere grazie non è frutto di scelta dell’uomo o di una sua iniziativa, ma piuttosto nasce dall’aver trovato grazia presso Dio, in Cristo. Noi non siamo autori del nostro ringraziamento, piuttosto è Dio che lo produce in noi.

La parte centrale del prefazio è chiamata embolismo ed è caratterizzata da una dimensione trinitario-cristologica e storico-salvifica. Il genere di solito è narrativo e serve ad enunciare i motivi dell’azione di grazie. I prefazi, infatti, sono riferiti al Padre, per il Figlio e sviluppano tematiche laudative fortemente connesse con l’aspetto delle opere meravigliose che il Padre ha compiuto nel corso della storia della salvezza. Il fulcro dominante è sempre il percorso di interrelazione tra la grazia divina ed il peccato dell’uomo: solo facendo memoria del proprio trascorso, la comunità orante sarà capace di innalzare la supplica del presente. Il protocollo finale contiene un riferimento agli angeli, ai cherubini, ai serafini, o più generalmente alla Chiesa celeste, creando un legame tra la preghiera innalzata dalla comunità ecclesiale sulla terra e la lode eterna della liturgia del cielo. Il motivo di questo riferimento si può cogliere nella preghiera del santo, che possiede una dimensione angelologica, un riferimento alle schiere di cherubini e serafini.

Il testo del santo è di origine biblica ed i temi sviluppati si possono individuare nella Sacra Scrittura. Il testo di Is 6,2-3 descrive i serafini che stanno presso il trono di Dio e proclamano la sua santità. In Ez 3,12-13 si narra il fragore che si ode nel cielo ed il rumore delle ali degli esseri viventi e le parole pronunciate dagli esseri viventi. Il continuo riferimento alle creature celesti viene ripreso anche nelle parole della preghiera. Chi ancora ricordasse a memoria il testo latino del santus o volesse ritrovarlo nelle partiture di grandi musicisti, scoprirebbe che tra gli appellattivi divini figura la parola Sabaoth (Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus Sabaoth), che significa schiere e nel contesto liturgico si può interpretare come Dio delle schiere angeliche. La traduzione italiana Dio dell’universo forse non permette di cogliere questa dimensione. Infatti, nel momento in cui l’assemblea della terra intona il canto del sanctus fa appello alla comunità celeste (i santi con l’aureola e quelli senza, cioè i nostri defunti), perché conferisca forza alla sua lode.

Dopo il Santo, il sacerdote può scegliere tra più di dieci formulari, a seconda dei tempi liturgici o delle motivazioni pastorali. In questa sede non è possibile approfondire ciascun testo, ma invece è utile identificare alcuni elementi ricorrenti nelle preghiere. Per una migliore comprensione, sarebbe opportuno avere accanto un messale, anche in formato ridotto. Le componenti della preghiera possono essere sintetizzate in forma schematica. Ogni preghiera è rivolta al Padre e si apre con un motivo di azione di grazie e di lode, per tutto ciò che egli ha operato per noi; il riferimento è in modo particolare alla redenzione. Quindi il sacerdote invoca il Padre, perché renda efficaci nell’oggi le azioni del Figlio. Alle parole, il sacerdote unisce il gesto dell’imposizione delle mani sul pane e sul vino. La simultaneità del gesto di imposizione delle mani e della invocazione dello Spirito Santo sulle offerte, costituiscono l’epiclesi (dal greco epikaleo, invoco su, invocazione dello Spirito Santo) che inserita nell’ambito di un processo celebrativo, insieme con il racconto dei gesti e delle parole che Gesù ha compiuto nel cenacolo, compie l’azione sacramentale e trasforma le oblate in corpo e sangue del Salvatore. Per questo motivo l’epiclesi è definita come epiclesi di transustanziazione. La trasformazione del pane e del vino, dunque, non è gesto magico, che si compie in un istante preciso del cronometro, ma segno della volontà oblativa del Cristo, che si consegna nelle mani della Chiesa e si rende presente quando la comunità si raduna, presieduta da un sacerdote. L’Eucarestia non è una “narrazione mimata”, in cui il ministro ripete le parole e compie i gesti in maniera pedissequa. In essa si realizza, piuttosto, il memoriale (diverso da una semplice memoria) di ciò che Gesù ha compiuto mentre istituiva l’Eucarestia e davanti alla comunità radunata si attua la medesima realtà che si è compiuta davanti ai discepoli, non semplice ricostruzione storica, ma realtà. I fedeli, infatti, partecipano realmente alla cena pasquale che Gesù celebrò per i suoi discepoli (memoriale), non ad una sua rappresentazione storica o teatrale (memoria). Nel teatro, infatti, se si rappresenta una scena storica, gli spettatori sono consapevoli che non si tratta dell’evento reale. Nella celebrazione dell’Eucarestia, ciò che si compie sull’altare è realmente ciò che Gesù ha celebrato con i suoi discepoli ed i fedeli vi partecipano come veri commensali dell’ultima cena. La preghiera continua: la comunità ecclesiale per bocca del sacerdote chiede che l’Onnipotente santifichi il pane ed il vino, perché coloro che mangiano e bevono siano anch’essi santificati (la preghiera recita: diventino per noi il corpo ed il sangue).

L’unità di questa esposizione viene interrotta da esigenze tipografiche di impaginazione, per offrire al lettore il tempo di metabolizzare ed approfondire nella ricerca e nella fede il tema in esame.

 

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Ultimo aggiornamento: 04-12-06