Il Rito Carmelitano. Origini, evoluzione successiva e caratteristiche, motivi della sua abolizione.

 

Introduzione

Una “voce” di dizionario non può pretendere di proporsi come trattazione esaustiva di un argomento così vasto. Il contributo di questo lavoro, pertanto, è una sintetica presentazione degli strumenti attraverso i quali è possibile approfondire la conoscenza della liturgia carmelitana. Si tratta, dunque, di un compendio dei risultati raggiunti fino ad oggi, quasi uno status quaestionis che orienti il lettore nella ricerca.[1]

Lo studio della liturgia carmelitana si sviluppa soprattutto nel corso del ‘900 e si avvale di numerosi contributi che hanno tentato di far chiarezza sull’essenza del rito, sulle sue origini e sui rapporti con l’oriente e l’occidente cristiano. È possibile distinguere gli autori secondo due scuole di pensiero ben delineate, che tuttavia non coesistono nel tempo e quindi non entrano in dialogo tra loro, ma invece costituiscono due stadi della ricerca dai confini molto chiari. La prima fase dello studio del rito tenta di delineare le origini storiche della liturgia carmelitana e gli adattamenti che questa subisce nel corso dei secoli. La riflessione si concentra sul santorale, sull’eucologia, sulla gestualità, e sui precipua carmelitani ritus peculiaria. Lo scopo sembra dunque quello di offrire dati storici, teologici e rituali, perché l’Ordine possa continuare ad attingere dal rito la ricchezza in esso custodita. La liturgia è infatti ritenuta un’espressione del carisma e della spiritualità ed esprime un forte legame con i luoghi d’origine.[2]

Negli anni successivi al Concilio Vaticano II prende vita nell’Ordine una tendenza nuova, che riflette in modo critico sugli elementi della liturgia carmelitana, confuta alcune tesi storicamente poco fondate e guarda al rito con occhi più critici. I dati che emergono da questa nuova riflessione determinano la scelta di rinunciare alla liturgia carmelitana.

 

Gli studi sulla liturgia carmelitana fino al Concilio Vaticano II.

Il ‘900 può essere considerato il secolo decisivo per la liturgia carmelitana e l’influsso probabile del movimento liturgico, che percorre tutta la Chiesa, penetra anche nell’Ordine. I primi lustri del XX secolo, infatti, sono caratterizzati da una riscoperta della ricchezza teologica dell’eucologia e dei gesti del rito proprio, mentre si riflette sulle origini e si studiano gli influssi orientali. I Carmelitani si dedicano allo studio del rito proprio e raccolgono una serie di dati che consentono una maggior comprensione delle origini e della teologia della liturgia carmelitana.[3]

Il primo contributo che tenta un’analisi scientifica della liturgia carmelitana è di B. Zimmermann.[4] L’autore stesso, concludendo il suo articolo,[5] scrive: “Le rite de l’ordre des carmes n’ayant jamais étè l’objet d’une investigation spéciale…[6]. Quel contributo costituisce il tentativo più antico e lo zoccolo duro di tutta la ricerca successiva sul rito carmelitano. Nel corso della trattazione, infatti, l’autore dimostra l’origine gerosolimitana del rito e cataloga gli adattamenti che i primi eremiti hanno dovuto apportare, per poter celebrare una liturgia che era stata strutturata per i numerosi membri di un capitolo patriarcale.[7] Viene preso in esame il testo della Regola,[8] in cui si trovano tracce degli usi liturgici dei primi eremiti sul monte Carmelo e si attribuisce l’espressione Ecclesiae approbatam consuetudinem all’uso proprio dei luoghi in cui i primi carmelitani vivevano, ossia la Terra santa. In questo modo è possibile stabilire che i carmelitani hanno assunto il rito in uso a Gerusalemme, e lo hanno adattato alle loro esigenze.[9] L’articolo di Zimmermann si conclude con un excursus sulle riforme che il rito ha subito nel corso dei secoli. Le questioni che l’autore prende in considerazione riguardano soprattutto gli adattamenti e le continue modifiche del santorale; vengono inoltre prese in esame le edizioni del Messali e dei Breviari, tenendo conto delle differenze tra le varie epoche. L’ultima riforma di cui si fa menzione risale al 4 agosto 1584, data in cui la S. Sede approva il Messale ed il Breviario per tutto l’Ordine, con l’obbligo di non modificare, sopprimere o aggiungere. …La liturgie aussi corrigée était entièrement digne de l’éloge pontifical; avec un bon goût qu’on ne saurait assez admirer, on avait gardé tous les traits particuliers de l’ancien rite et préservé en son intégrité un monument important et vénérable de la piété chrétienne du moyen âge.[10]

Un studio contemporaneo al precedente è apparso a puntate su Analecta. Si tratta del contributo di G. Wessels,[11] che colloca la sua ricerca nell’ambito degli Excerpta Historiae Ordinis e si dedica principalmente all’analisi dell’antico rito.[12] Egli prende in esame soprattutto le rubriche ed i testi eucologici.[13] La prima parte del lavoro è intitolata Historia Ritus synoptica, mentre la sezione più amplia è dedicata a presentare il codice di Barletta, che costituirebbe il Directorium Liturgicum Ecclesiae S. Sepulchri Hierosolymitanae e risalirebbe agli anni 1229-1244. La terza parte, poi è consacrata allo studio dell’Ordinale di Siberto, la quarta al Ritus Ordinis nostro post. P. Sibertum e la quinta al Ritus Ordinis post annum 1584. Un’appendice sul Caeremoniale saeculi XIII completa lo studio. Si tratta di un lavoro molto articolato, che offre una serie di spunti molto interessanti per la conoscenza del rituale e dell’eucologia.

A. Forcadell[14] in uno studio degli anni 50, riprende i dati dello Zimmermann e giunge alle medesime conclusioni,[15] pur apportando alla ricerca nuovi elementi. La liturgia gerosolimitana non è una liturgia pura, ma è possibile identificare al suo interno alcuni elementi che provengono dalla Chiesa parigina.[16] Le notizie relative agli usi liturgici dei primi carmelitani sono molto frammentarie. Forcadell cita un primo Ordinale, la cui composizione è fatta risalire al 1263.[17] P. Patricio a S. Ioseph, che ha curato l’edizione del volume, ritiene però che questo ordinale “fere ad litteram desumptum est quoad Caeremonias ex Caeremoniali Ordinis Praedicatorum et in pluribus etiam Liturgiam eiusdem Ordinis recepit.”[18]

Il secondo Ordinale, molto più conosciuto, è attribuito a Siberto di Beka[19] e fu approvato nel capitolo Generale di Londra del 1312. Questo testo costituisce una ricchezza per lo studio del rito carmelitano, perché raccoglie tutte le rubriche e descrive lo svolgimento dei riti. Zimmermann e Forcadell riportano nei loro studi i riti principali ed alcune rubriche dell’Ordinale, offrendo gli strumenti per una conoscenza sommaria della liturgia propria. Il dato più rilevante, che sembra emergere dall’Ordinale è il legame con il luogo di origine del rito: la Terra Santa. Scrive, infatti, Forcadell: “Sepulchrum de quo surrexit Dominus influxum magnum in hunc ritum exercuit.”[20] Ci sono anche altri dati di particolare rilievo, che vale la pena tenere in considerazione. Scrive il Forcadell: “Verum Sibertus de Beka cum vidisset praedictum Ordinale nimis conformatum fuisse ad ritum Ordinis Praedicatorum contra statuta Ordinalis S. Sepulchri, se obligatum sensit ad illud reformandum. … Liturgia igitur quae in hoc Ordinali describitur media non imperito statuitur inter Dominicanam et Carthusianam. Caerimoniae missae a Mag. Siberto ordinatae plus minusve eaedem sunt quae in liturgiis romano-gallicis illius temporis reperiuntur.[21]

Forcadell, poiché è successivo rispetto allo Zimmermann, presenta nel suo studio alcuni elementi delle riforme più recenti e fornisce un elenco delle modifiche apportate al santorale. Nel § 5, inoltre, descrive le riforme apportate al calendario, ai breviari ed ai messali nel corso del secolo XX.[22] La seconda parte di questo studio, poi, è interamente dedicata ai Praecipua carmelitani ritus peculiaria, ossia alla esposizione ed al commento degli elementi specifici della liturgia dell’Ordine. Si tratta di uno studio sistematico del Messale, del Breviario e del santorale, mentre vengono presi in esame alcuni dati dell’eucologia, della musicologia e dei riti.[23] Le conclusioni a cui l’autore giunge sono degne di nota, perché costituiscono la sintesi del pensiero del suo tempo in merito al rito proprio dell’Ordine. Il Forcadell, infatti è convinto di aver dimostrato che “…pleno iure loqui possimus de ritu Carmelitano distincto a quocumque alio sive Romano, sive Gallicano, etsi eisdem utique derivato….[24] Le sue conclusioni sono degne di nota: “Ritum Carmelitarum A. O. unicum esse, qui odierno tempore vestigia adhuc servat perantiquae et venerabilis liturgiae Dominici Sepulcri Hierosolymitanae ecclesiae, in cuius finibus dictorum Fratrum Religio sumpsit exordium.[25]

 

La Liturgia Carmelitana nel periodo post-conciliare

Con l’avvento del Concilio Vaticano II cambia nella Chiesa il modo di concepire la liturgia ed una delle preoccupazioni principali diviene l’actuosa partecipatio del popolo dei battezzati. A proposito dei vari riti presenti nella Chiesa, i Padri hanno scritto nella Costituzione Liturgica Sacrosanctum Concilium: “Sanctam nempe Matrem Ecclesiam omnes ritus legitime agnitos aequo iure atque honore habere, eosque in posterum servari et omnimode foveri velle, atque optat ut, ubi opus sit, caute ex integro ad mentem sanae traditionis recognoscantur et novo vigore, pro hodiernis adiunctis et necessitatibus donetur.”[26]

In concomitanza con la riflessione conciliare e post conciliare sulle questioni liturgiche, anche l’Ordine ha iniziato un cammino di discernimento sulla vita liturgica e sul Rito proprio. I documenti ufficiali, specialmente le lettere del Priore Generale,[27] manifestano l’intenzione di riscoprire le ricchezze contenute nel patrimonio celebrativo, ma rivelano una impellente necessità di riforme ed adattamenti.[28]

Durante il Capitolo Generale del 1965 lo storico Gioacchino Smet intervenne in difesa del rito carmelitano.[29] La sua ricerca e la sua riflessione contribuirono ad un attento studio delle questioni e fecero emergere la necessità di procedere con grande cautela verso un’eventuale rinuncia, motivata da questioni pastorali o peggio, economiche. Il punto-forza della sua riflessione sembra reggersi su due pilastri. Il rito carmelitano, proprio perché si distingue dal romano ha una pregnanza sua propria ed in questo senso può aiutare i fedeli a comprendere la ricchezza che caratterizza la preghiera cristiana. La Chiesa, durante il Concilio, ha garantito l’esistenza dei riti legittimamente riconosciuti, perché li ha ritenuti mezzi idonei ad esprimere la vita liturgica di una comunità particolare.

Il Capitolo Generale del 1968 delibera che il rito carmelitano venga riformato. È possibile, tuttavia, accogliere il rito della Chiesa locale, lì dove le necessità pastorali lo suggeriscano.[30]

Il discorso del priore Generale al momento dell’apertura del Capitolo Generale del 1971 costituisce un ottimo punto di osservazione dei fatti. Il consiglio generale ha riscontrato molte difficoltà nell’istituire una commissione per gli studi liturgici, infatti, nella stessa Curia Generale “nullus habetur rei liturgicae peritus”. Spetta, dunque, al capitolo generale decidere in merito all’uso del rito ed alla riforma del Calendario. Il Capitolo, tuttavia, non giunge a nessuna decisione, lasciando la questione quasi immutata.[31]

Nel 1972 il Consiglio Generale ritenne opportuno rinunciare al rito carmelitano. La lettura del decreto e delle motivazioni addotte dal Consiglio offrono una interpretazione chiara della realtà liturgica all’interno del Carmelo. Il rito carmelitano, nello stato in cui si trovava in quel momento, differiva dal romano in poche cerimonie, pertanto non era opportuno preferirlo al romano o tentarne una riforma.[32] I temi che dominano la riflessione sono principalmente due: il valore specifico della liturgia Carmelitana ed il senso di celebrare secondo un rito proprio, in un contesto ecclesiale dominato dalla liturgia Romana. L’unica scelta, pertanto, sembrava quella di sopprimere il rito.[33]

Nel periodo immediatamente successivo alcuni espressero disapprovazione per questa scelta, ma non erano in grado di addurre motivi diversi dalla pura nostalgia e dall’affetto che avevano coltivato nei confronti del rito Carmelitano. Nella mente dei più si era radicata la convinzione che il rito era un complesso sistema cultuale di cui pochissimi capivano ormai il senso. La ricchezza cultuale infatti non era più oggetto di riflessione o di studio, ma il rito si conosceva e si “apprendeva” ex visu, senza alcun riferimento diretto al Caeremoniale ed ai testi liturgici.[34] L’evidente somiglianza con il rito romano, inoltre, aveva convinto i religiosi che la liturgia carmelitana era troppo povera perché fosse il caso di mantenere la sua autonomia. Per questo motivo molti videro nella decisione del Consiglio Generale la ratifica di una situazione ormai insostenibile.

 

Conclusioni.

Il nostro rito carmelitano appare forse come una giara, che è stata scurita dal tempo, ma nel corso dei secoli è stata riempita di preziosi gioielli. Nel secolo XX, non conoscendo, o peggio, temendo ciò che la giara custodiva, nessuno ha più voluto guardarne il contenuto, ma i più si sono limitati a contemplarne l’esterno, la creta, e non hanno trovato nulla di interessante. Lo studioso di oggi che avesse il coraggio di investigarne il contenuto, forse al suo interno non ritroverebbe ancora quei preziosi monili che da secoli vi si trovano custoditi? Forse le incrostazioni del tempo avrebbero svalutato l’arte dell’orafo che ha lavorato il prezioso metallo ed ha incastonato le pietre?

Gli ornamenti preziosi non sono adatti ad ogni occasione, ma questo non è un motivo sufficiente perché vengano gettati in un angolo. Allo studioso, dunque, è affidato l’incarico di riscoprire ed inventariare le ricchezze della Liturgia Carmelitana, perché la Chiesa di oggi conosca tutto il suo patrimonio, anche solo da un punto di vista storico.

 

 

Bibliografia.

Boyce J., Praising God in Carmel. Studies in Carmelite Liturgy, Washington D. C. 1999.

Caruana E., The influence of the Roman Rite on the Carmelite Breviary after the Council of Trent, in Carmelus 31 (………), 65-131.

Forcadell A., Ritus Carmelitarum antiquae observantiae, Typis Poliglottis Vaticanis 1950.

Kallenberg P., Fontes liturgicae Carmelitanae. Investigatio in decreta, codices et proprium sanctorum, Romae 1962.

Patricio a S. Ioseph (ed.), Antiquum Ordinis Carmelitarum Ordinale saec. XIII, Tamines 1912.

Possanzini S., La riforma liturgica nell’Ordine Carmelitano, in Analecta 51 (2000), 57-62.

Wessels G., Excerpta Historiae Ordinis. Ritus Ordinis B. V. Mariae de Monte Carmelo, Analecta I (1909-1910), e II (1911-1913).

Zimmermann B., Carmes (Liturgie de l’Ordre des), DACL II,2, Paris 1910, col 2166-2175.

horizontal rule

[1] Gli studi ed i contributi citati costituiscono una bibliografia orientativa, non esaustiva.

[2] Può essere interessante a questo proposito rileggere quanto scriveva il priore Generale O. Carm. nel periodo conciliare: Ulterius nos magni aestimare vitam liturgicam ostendimus conservantes per spatium septingentorum annorum ritum proprium, e Terra Sancta acceptum, ubi mysteria paschalia primum celebrata sunt ab ipso Domino nostro. Festum Resurrectionis eiusque thema laetum semper locum habuerunt eminentem in nostra liturgia. Attamen, quantumvis praecellentem locum anteactis septem saeculis liturgiae tribuerimus, tempus iam advenit iterum examinandi ac recognoscendi nostram vitam liturgicam eamque donandi « novo vigore, pro hodiernis adiunctis et necessitatibus». Verbo, intrare nos oportet in spiritum Constitutionis de Liturgia, qui est mens Ecclesiae. Hoc ante omnia sìgnificat nos debere esse instrinctos ad intellegendam aestimandamque sacram liturgiam, antequam efficere possimus quaslibet sapientes adaptationes aut revisiones. Litterae rev.mi Patris Generalis, Romae, die 8 septembris 1964, in Analecta 24 (1964), 82.

[3] A conferma di ciò, si prendano in esame gli studi citati di seguito.

[4] Il contributo trova posto nel Dictionnaire d’Archeologie Chretienne et de Liturgie (=DACL). Il mondo liturgico è interessato a questo tema.

[5] Cfr. B. Zimmermann, Carmes (Liturgie de l’Ordre des), DACL II,2, Paris 1910, col 2166-2175.

[6] B. Zimmermann, Carmes…, col 2175.

[7] B. Zimmermann, Carmes…, col 2167. Scrive inoltre A. Forcadell: “…cum essent numero pauci vitaeque eremiticae dediti, non poterant liturgiam Hierosolimitanam ex integro accipere neque eandem celebrare cum omni splendore. Cum simplificatione igitur eam admiserunt.” A. Forcadell, Ritus Carmelitarum antiquae observantiae, Typis Poliglottis Vaticanis 1950, 11. Gli articoli del Forcadell apparsi in vari numeri di Analecta, voll. IX-X ripercorrono l’esposizione dello studio appena citato, senza considerevoli modifiche.

[8] Hi qui horas canonicas cum clericis norunt, eas dicant secundum costitutionem sacrorum Patrum et Ecclesiae approbatam consuetudinem.

[9] I manoscritti liturgici in uso presso i carmelitani sono stati editi “de approbato usu dominici sepulchri sanctae Jerosolymitanae ecclesiae…” Ciò conferma quanto finora esposto. Cfr. B. Zimmermann, Carmes …col 2166.

[10] B. Zimmermann, Carmes…, col 2175.

[11] G. Wessels, Excerpta Historiae Ordinis. Ritus Ordinis B. V. Mariae de Monte Carmelo, Analecta I (1909-1910), e II (1911-1913).

[12] Nel sottotitolo si legge: Ritus Ordinis B. V. Mariae de Monte Carmelo.

[13] In questo senso, il lavoro completa l’analisi storica compiuta dallo Zimmermann.

[14] A. Forcadell, Ritus Carmelitarum antiquae observantiae, Typis Poliglottis Vaticanis 1950. La serie di articoli apparsi in Analecta hanno lo stesso contenuto.

[15] Lo studio del Forcadell segue in maniera fedele la struttura dello Zimmermann, e spesso le fonti citate, i dati riportati e le osservazioni sono le medesime.

[16] “Patet proinde e regionibus Europae occidentalis, potissimum ex Gallia … ortam esse liturgiam Hierosolymitanam Dominici Sepulchri, tempore crucigerorum pro recuperatione Terrae Sanctae militantium. Praeterea ex analogia quae habetur inter liturgiam ecclesiae Parisiensis … et nostram S. Sepulchri, nec non ex praesentia aliquorum sanctorum eiusdem ecclesiae Parisiorum in calendario ecclesiae Hierosolymitanae, iure inferre possumus non parvum influxum ecclesiam Parisiensem in praedictum ritum. … igitur Liturgia Hierosolymitana medioaevalis in genere designanda est ut romano-gallicana. … Sed praesertim Sepulchrum de quo surrexit Dominus influxum magnum in hunc ritum exercuit.” Cfr. A. Forcadell, Ritus…, 8-9.

[17] Ordinale Dublinense, Dublini, Bibl. Collegii Ss.mae Trinitatis, ms 194. è questo il testo che viene studiato Patricio a S. Ioseph (ed.), Antiquum Ordinis Carmelitarum Ordinale saec. XIII, Tamines 1912. Zimmermann non accenna all’edizione di questo Ordinale, perché fu posteriore al suo articolo.

[18] Citato in A. Forcadell, Ritus…, 12

[19] B. Zimmermann, Ordinaire de l’Ordre de Notre-Dame du Mont Carmel par Sibert de Beka (vers 1312), Paris 1910.

[20] Alcuni elementi desunti dall’Ordinale possono migliorare la comprensione di questi fattori. “Adventum, solemnis processio peragebatur in sacellum Resurrectionis, ac per idem tempus missa de Resurrectione solemniter canebatur dominicis diebusnisi festivitas magna in eisdem occurreret aut dominica infra octavam Ascensionisdum missa propria dominicae minus solemniter primo mane canebatur. Insuper a dominica prima post octavam Pentecostes, evangelium de Resurrectione pro nona lectione in matutinis cum proprio responsorio recitabatur; et tandem, dominica ultima post octavam Pentescostes seu proxima ante Adventum, commemoratio solemnis fiebat de Resurrectione cum officio proprio et ritu maiori.” L’ultima osservazione è molto interessante: “Praeter memoratos ritus, Hierosolymis introductos ob sacras memorias locales, liturgia latina S,.. Sepulcri nullum mflyxum liturgiarum onentalium subiit. Nam, ut diximus, elementa omnia e regionibus occidentalibus a latinis importata fuerunt.” A. Forcadell, Ritus…, 9-10

[21] A. Forcadell, Ritus…, 13.15. Cfr anche Zimmermann, il quale scrive: “Les cérémonies de la messe décrites par l’Ordinal de 1312 correspondent étroitement à celles du rite gallo-romain.” B. Zimmermann, Carmes…, col 2171.

[22] A. Forcadell, Ritus…, 34-36.

[23] A. Forcadell, Ritus…, 36-51.

[24] A. Forcadell, Ritus…, 51-52.

[25] Ivi, 52.

[26] SC 4.

[27] Si veda come esempio quanto citato nella nota 2.

[28] Sarebbe possibile uno studio dei documenti sotto l’ottica liturgica, ma non è questa la sede. È sufficiente indicare che le fonti sono contenute nei volumi di Analecta. Un’analisi dettagliata della questione – corredata dalle opinioni dell’autore - si può trovare anche in S. Possanzini, La riforma liturgica nell’Ordine Carmelitano, in Analecta 51 (2000), 57-62.

[29] La lettura di questo intervento (cfr. Acta capituli Generalis Ordinis Fratrum B. M. V. de Monte Carmelo quod Romae anno Domini 1965 celebratum est, 120-130) rivela che la tendenza di quel periodo era per una revisione del rito, come era stato fatto per il rito romano. L’assise capitolare, infatti, ha accolto la proposta di revisione.

[30] Gli atti del Capitolo dedicano al rito due numeri: § 61. Intacto iure ad ritum proprium, acceptari potest ritus Ecclesiae localis, ubi necessitates pastorales id suadeant. § 62. Calendarium vero sit proprium, saltem pro festis principalioribus O. N.. Acta Capituli Generalis specialis ac extraordinarii, Romae 1968, in Analecta 28 (1968).

[31] Cfr. Acta Capituli Generalis. Allocutio Prioris Generalis, in Analecta 29 (1971), 17. È interessante conoscere l’opinione del P. Generale: “Ad me quod attinet, ratione habita pluriformitatis novae liturgiae, placet ut servetur ritus carmelitanus in Missa si hoc conferat ad promovendam vitalitatem spiritualem in nostris communitatibus et dummodo recognitio ritus fiat a personis vere peritis.” Ibidem.

[32]Iste ritus, ob innumeras immutationes quas per plura saecula passus est, pauculas ceremonias peculiares servaverat; nobis facendum est eum aut omnino aut magna ex parte eundem factum esse ac ritum romanum.” Analecta 30 (1972), 41. Anche Possanzini, nel suo ultimo studio sottolinea che “erano rimaste pochissime e tenui cerimonie” a distinguere il rito carmelitano dal Romano. (S. Possanzini, La riforma…, 59). Da una lettura di tutta la nota che accompagna il decreto di soppressone del rito Carmelitano (Analecta 30 (1972), 40-43, emerge che sono principalmente le motivazioni pastorali, che hanno spinto alla soppressione del rito (anche se queste vengono menzionate dopo quelle liturgiche e prima di quelle economiche).

[33] Il Possanzini, nel suo articolo sostiene che il rito carmelitano non è stato ammazzato nel 1972, ma era morto gradatamente per anemia ed il Consiglio generale ne ha firmato il certificato di morte. Il decreto del 1972 ha posto fine ad una situazione contraddittoria ed insostenibile. Cfr. S. Possanzini, La riforma…, 61-62.

[34] In questo modo il rito, qualunque rito, viene spogliato della sua teologia e scade a semplice groviglio di gesti eseguiti per puro comando.

 

Prima Pagina

 

Parrocchia S. Maria del Carmelo - Piazza B. Vergine del Carmelo, 10 - 00144 Roma - tel. 06.5294061 - fax. 0652244818

 

Ultimo aggiornamento: 04-12-06