Introdotti a celebrare il mistero.

I riti di introduzione alla Celebrazione Eucaristica.

  

In occasione del congresso eucaristico di Verona, la rivista ha deciso di approfondire il tema della celebrazione Eucarestia, perché questo sacramento occupa un ruolo preminente nella vita della Chiesa.

Nel corso dell’anno liturgico, partecipando alla Messa, più volte si ascolta il racconto evangelico di ciò che Gesù compì nell’ultima cena, affidando ai suoi discepoli il comando di ripetere i gesti e le parole che egli stesso stava pronunziando (Mt 26,26-29; Mc 14,22-25; Lc 22,14-20). La comunità apostolica ha obbedito all’insegnamento del Maestro e da allora, ininterrottamente, la Chiesa ha celebrato l’Eucarestia, rimanendo fedele a ciò che aveva ricevuto, e modificando nella struttura, nel linguaggio e nella gestualità solo quegli aspetti che potessero favorire la partecipazione dei fedeli e la maggiore comunione con il mistero. Nel corso dei secoli, la Tradizione della Chiesa ha custodito molti elementi della celebrazione che, ad una lettura superficiale, possono apparire inutili anacronismi o ritualità antiquate, lontane dalla vita quotidiana e dal linguaggio moderno. Si tratta invece di parole e segni che, pur appartenendo ad un ambito specifico, quello del celebrare, trasmettono la ricchezza di ciò che si compie e permettono al credente di entrare in comunione con Dio. Tuttavia, partecipando all’Eucarestia, può capitare di non comprendere a pieno il senso dei gesti o delle parole e le motivazioni per cui la Chiesa celebra secondo questa forma e non ne sperimenta altre, magari elaborate con l’aiuto di esperti della comunicazione. I bambini, in modo particolare, si rivolgono agli adulti per avere spiegazioni e con i loro perché li riducono facilmente al silenzio. Queste poche pagine, distribuite nel corso dell’anno, vogliono aiutare il credente a compiere una esperienza del celebrare, che nasce da una fede profonda, ma è sostenuta anche dalla comprensione del valore e del senso dei gesti che si compiono. In questo modo si eviterà il rischio di una preghiera formale, faticosa e distaccata, a vantaggio di una partecipazione piena, consapevole ed attiva. Il lettore, dunque, si armi di un piccolo messale, per individuare lo svolgimento del rito e distinguere le sue parti e non si scoraggi, perché questo discorso ha delle caratteristiche tutte speciali.

Arduo, perché il tema dell’Eucarestia può risultare complesso.

Breve, come lo spazio a disposizione.

Concreto, perché l’obiettivo non è l’esposizione teologica, ma la formazione degli operatori pastorali e dei credenti, tramite uno strumento di lavoro che orienti e stimoli ad approfondire la ricerca.

Duttile, perché si rivelerà utile per colui che cerca un sostegno per la vita spirituale, si sente di sapere troppo poco sull’Eucarestia, o vuole approfondire la sua fede.

Energizzante, perché lo scopo ultimo di queste pagine è irrobustire i credenti e spingerli ad una maggiore consapevolezza della prassi celebrativa, da cui scaturisce la testimonianza della fede.

Faticoso, perché accostarsi al mistero del Dio-uomo, chiede una fatica continua.

La celebrazione eucaristica ha una struttura particolare: i riti sono articolati tra loro in maniera da costituire una grande unità, senza perdere autonomia e caratteristiche specifiche. Per mettere in risalto la composizione della forma celebrativa, voglio introdurre un paragone, magistralmente illustrato da C. Valenziano nel suo libro sull’Eucarestia, intitolato L’anello della sposa. La celebrazione eucaristica si può paragonare ad un anello formato da tre cerchi di metallo prezioso, strettamente saldati a formare un solo anulus, che sostiene due gemme d’unico sigillo. I tre cerchi rappresentano i riti di introduzione (la prima parte della celebrazione, dal canto d’ingresso, eseguito dall’assemblea che accoglie il sacerdote, fino alla preghiera sacerdotale di colletta), i riti di offertorio ed i riti di comunione (dalla preghiera del Padre nostro, fino al canto finale). Le due gemme che costituiscono un unico sigillo sono immagine della liturgia della parola e della liturgia eucaristica. Elementi diversi per natura, per origine, per funzione (se di funzione si può parlare nell’ambito celebrativo), che costituiscono un unico anello, quello che il Cristo sposo ha fuso e forgiato durante la sua crocifissione, lo stesso che il Cristo, sposo risuscitato, ha messo al dito della sua Chiesa sposa, per indicarne la dignità, il medesimo con cui il Salvatore ha sigillato la Chiesa sposa, per indicarne il possesso.

La Chiesa è sempre in attesa, perché dall’istante dell’Ascensione, attende con le lampade accese il ritorno del suo Signore. I ceri accesi, che hanno un posto nell’area celebrativa (sull’altare durante la celebrazione o nelle processioni d’ingresso e al Vangelo) sono il segno dell’attesa vigilante, fiamma che illumina la notte, della festa, fiamma che riscalda e dà gioia al cuore. Ecco perché i fedeli, che costituiscono la Chiesa, popolo di battezzati, si radunano nell’aula liturgica prima dell’inizio della celebrazione, in silenzio: sono in attesa, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il loro Salvatore. E mentre attendono il tempo della salvezza celebrano, in vista del compimento dell’unica universale liturgia, che si compie nel Cielo. Il popolo radunato è un popolo che accoglie l’invito del Cristo a riunirsi, non si costituisce assemblea per volontà propria, ma in risposta ad una vocazione. Il canto è il primo gesto del popolo, che accoglie il sacerdote, segno del Cristo sommo sacerdote. Il presbitero entra compiendo un movimento dalla porta d’ingresso all’altare, perché Cristo stesso è porta (“Io sono la porta delle pecore” Gv 10,7) ed altare (come si evince dal Rito di consacrazione dell’altare). Mentre si compie la processione, risuona in tutta l’assemblea un inno di invito alla lode (come il salmo 94,1: Venite esultiamo nel Signore, cantiamo a Dio nostro Salvatore); un’esortazione a celebrare il Signore (Sal 117,1; 99,4-5; 106,1). La processione si ferma all’altare-Cristo, il sacerdote lo saluta con il bacio e saluta l’assemblea con la parola biblica: Dominus vobiscum. Salutare è augurare salvezza: il saluto all’altare santo è augurio di salvezza all’assemblea. E l’assemblea ricambia l’augurio, pregando che il Signore accompagni lo spirito del sacerdote che augura. Si crea una comunione augurale presbitero-assemblea, che acquista senso alla luce di Mt 28,20: io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo.

La formula cristologica del Kyrie eleison si comprende riflettendo sul significato del verbo eleéo, che esprime la compassione, la sympatheia, la reciproca comunanza nel provare le influenze piacevoli e spiacevoli, sgradite e gradite. Il verbo greco è carico della reciprocità materna, della com-passione viscerale. La richiesta di implorazione, quindi, esprime la misericordia che la Chiesa si attende di ricevere dal Cristo Signore, perché è abituata da sempre ad invocarla ed ottenerla per ciascuno dei suoi figli.

La dossologia solenne e festiva del Gloria, presenta riferimenti alla gioia, alla lode, al rendimento di grazie, alla professione della fede implorante. Il testo è ricchissimo di riferimenti biblici al nuovo ed antico Testamento, ma vi si legge il processo di una profonda elaborazione celebrativa, che ha limato e fuso insieme gli elementi.

I riti di introduzione si concludono con un’orazione, definita colletta. Oggi il suo antico significato di colligere (raccogliere insieme, unire enumerando, trattenere insieme) è quasi scomparso. Non conclude più in unità le preghiere che i singoli battezzati elevano al Padre nel segreto del loro cuore. Se ancora si vuol parlare di colletta, la si può riferire all’occasione di unirsi insieme agli altri, al prendere coscienza che la comunità, per essere tale, deve convogliare tutti i cuori verso il cielo. I testi di questa preghiera di solito sono un’ottima sintesi per comprendere il tema della celebrazione e diventano chiave interpretativa della liturgia della Parola e di tutta l’eucologia.

Si conclude la prima parte. Forse con dubbi più grandi di quando si iniziò. Se così fosse, sarà cosa buona, perché poche righe non possono esaurire l’ineffabile, ciò che non si riesce ad afferrare nemmeno dopo migliaia di pagine, distribuite in molti tomi. Si accontenti il lettore di ciò che ha compreso e se proprio non fosse soddisfatto, e lo spero, si accosti a testi più completi di questo, sapendo che era il mio intento dell’origine, spingere ad uno studio più accurato del Sacramento della Cena del Signore.

Giuseppe Midili

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Ultimo aggiornamento: 04-12-06