Il percorso offertoriale

 

La preghiera universale costituisce un tramite tra la liturgia della parola ed i riti di offertorio. La comunità ecclesiale innalza al Padre preghiere e suppliche per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che sono oppressi da varie necessità, per la comunità riunita e per la salvezza del mondo intero. I battezzati, adunati in assemblea, rivolgono le loro richieste a Dio e si uniscono alla sua volontà salvifica, mentre da soli non saprebbero nemmeno cosa sia opportuno domandare. La preghiera dei fedeli diviene espressione del sacerdozio comune di tutti i battezzati ed è l’attestazione della comunione in Cristo. Non si tratta di una somma di intenzioni individuali, ma del grande respiro del corpo ecclesiale, che accoglie il mondo e lo presenta al Padre per mezzo di Cristo. Una preghiera per e con gli altri, che supera le differenze, per divenire esperienza comunionale nella fede e nella carità (che significa amore, secondo 1 Corinzi 13) e tiene conto delle esigenze ed emergenze del quotidiano. La preghiera dei fedeli, quindi, attualizza la Parola che risuona, ma è espressione della carità dei fedeli, del loro amore verso la Chiesa, verso chi soffre, verso gli altri. Offerta di invocazione che sale al Padre. Per questo motivo la preghiera diventa preludio ai riti di offertorio, in cui la carità di ciascuno diventa dono per i poveri ed offerta al Padre. Offerta della preghiera, offerta del pane e del vino, offerta dei doni per gli indigenti: tre gesti di offerta per un’unica carità.

I riti di offertorio sono caratterizzati da continua mobilità. Tre movimenti processionali: processione delle offerte all’altare, deposizione delle offerte sull’altare e incensazione dell’altare e delle offerte. Accanto a questi, l’offerta del pane e del vino con il gesto di presentazione e la formula del sacerdote, Benedetto sei tu Signore, Dio dell’universo…. Le parole ricalcano lo stile della berakot ebraica, con una parte di memoria e lode, in cui si riconosce che Dio è il sovrano assoluto e che il pane ed il vino sono doni della sua benevolenza. Si menziona anche la mediazione cosmica (frutto della terra per il pane, della vite per il vino) e l’operatività della società umana: frutto del lavoro dell’uomo. Il testo della preghiera si conclude con una dimensione offertoriale, racchiusa nella forza del verbo presentare. Le preghiere di offerta sono uguali in tutto, ad eccezione delle due parole pane e vino. Spesso qualcuno le pronuncia una sola volta, ma la tradizione del ripetere le due formule, così simili, trova ragione nella tradizione ebraica, in cui le due preghiere hanno avuto origine ed ispirazione.

Durante questi riti, prima di offrire il vino, il sacerdote aggiunge nel calice un po’ d’acqua. Una molteplicità di valori simbolici scaturiti da un gesto della normale prassi di vita, in cui nessuno beve il vino, di gradazione alta, senza stemperarlo con acqua. Nel capitolo 17 di Apocalisse, si legge che le acque simboleggiano popoli, moltitudini, genti e lingue. Attraverso un parallelismo, si può interpretare questo passaggio con le parole che Cipriano di Cartagine scrive a Cecilio: come il vino si assimila all’acqua, così Gesù assumendo la nostra natura umana nella sua natura divina ha preso su di sé i nostri peccati. Per questo, se uno offre solo vino significherebbe il sangue del Cristo, privo del suo popolo, mentre se offrisse solo acqua indicherebbe il popolo privo del suo Cristo. C’è anche un riferimento al fatto che dal costato del redentore crocifisso uscì sangue ed acqua, simbolicamente rammentati dall’unione di vino ed acqua nel calice. L’acqua, tuttavia, ha anche un altro significato particolare, lascia intuire un’onda della rigenerazione unita al sangue di Cristo. La salvezza, infatti viene dall’acqua battesimale e dal sangue sparso per la nostra redenzione: unendoli nel calice si esprime simbolicamente che la Chiesa nasce dal costato del Cristo e genera nuovi figli nell’acqua del battesimo e si manifesta visibilmente l’unione tra Cristo e la Chiesa. L’offerta del pane e del vino, infine, è simbolo di comunione, perché la farina si ottiene da tanti chicchi di grano e il vino da molti acini d’uva, uniti insieme in maniera indivisibile, come l’Eucarestia unisce la Chiesa.

La processione offertoriale ha un significato teologico ricchissimo. È un momento di mobilità rituale in cui i fedeli offrono sull’altare il lavoro delle loro mani. Infatti, ciascun dono viene da Dio, ma è stato elaborato attraverso il sapiente impegno della comunità, fino a raggiungere la forma di pane e vino. È molto bello vedere il gesto caritativo dell’assemblea radunata, che offre doni per i più poveri, si tratti di denaro o di altre forme di donazione. Talvolta nel contesto celebrativo capita di sperimentare l’offerta di “cose”, eternamente povere di valore processionale originario. Non ha senso offrire all’altare oggetti di varia natura, dal pallone di calcio ai sandali usati, dai testi del catechismo alla chitarra. La fantasia talvolta diventa gusto di bassa levatura. La processione offertoriale non è passerella di esposizione delle attività comunitarie, né luogo per sottolineare questo o quell’avvenimento. La liturgia non entra nella vita secondo queste presunte modalità, ma piuttosto esce dalla vita, perché perde significato e valore e si riduce a trasporto di oggetti. Le monizioni che accompagnano la processione offertoriale interrompono il processo rituale delle parole dell’offerta (unica possibilità esplicativa del segno di pane e vino) e tolgono spazio ad un canto processionale che guida l’assemblea ad unirsi in preghiera, senza impegnare la dimensione uditiva della comprensione dei segni. Se un segno ha bisogno di essere spiegato, la sua pregnanza simbolica è molto debole. Mai si porterà in processione il testo della Scrittura o dei Vangeli. Se Dio parla all’uomo attraverso gli autori sacri ed all’uomo dona la sua Parola, significherebbe formulare il controsenso della restituzione di un regalo prezioso. Il luogo della processione della Parola è l’ingresso solenne nell’aula liturgica, al momento dei riti di introduzione e l’esposizione solenne sull’ambone, al momento della proclamazione del Vangelo. Disattendere le indicazioni di questo delicato processo rituale, significherebbe attribuirsi una competenza ed una capacità pastorale e liturgica che trascende e supera la Chiesa stessa, depositaria della tradizione rituale ed interprete delle modalità celebrative.

L’uso dell’incenso mette in connessione i riti di offertorio con la liturgia della parola e sottolinea l’unità liturgico-celebrativa, già espressa nel n. 56 della Costituzione Sacrosanctum Concilium. L’evangeliario è incensato. Le offerte sono incensate insieme con l’altare (Cristo infatti fu vittima ed altare del suo stesso sacrificio), con il sacerdote (perché esercita il sacerdozio ministeriale) ed il popolo (che esercita il suo sacerdozio comune). Intorno al IX secolo a Roma l’incenso si lasciava ardere in bracieri, che si collocavano nei pressi dell’ambone al momento del Vangelo o dell’altare, al momento dell’offertorio. La prassi di utilizzare un turibolo mobile, come si è soliti fare adesso, nell’uso romano risale al secolo XII ed è più frequente al momento della proclamazione del Vangelo ed all’offertorio. L’ordinamento del Messale attuale prevede che l’uso dell’incenso sia facoltativo e quindi è possibile scegliere alcuni momenti celebrativi a cui dare maggior risalto. All’ingresso si potrebbe scegliere di incensare solo la croce, per sottolineare che è Cristo a convocarci per la celebrazione e la comunità si raduna intorno a lui e nel suo nome. Al momento della proclamazione del Vangelo, l’evangeliario viene incensato sull’ambone, il luogo che gli è proprio e lì rimane solennemente esposto fino al termine della celebrazione. All’offertorio, il pane ed il vino sono incensati insieme con l’altare: un itinerario circolare e rituale intorno all’altare-mensa, che esprime il salire della preghiera e dell’offerta che la comunità ha presentato. Anche il sacerdote e l’assemblea ricevono l’incenso, una dichiarazione simbolica dell’esercizio sacerdotale dei due soggetti, da intendersi secondo quanto espresso in Mulieris Dignitatem, specialmente al n. 27.

Il gesto di lavare le mani non è legato ad un motivo utilitario di pulizia. Un razionalismo spinto al culmine, forse, avrebbe soppresso questo gesto, ma il rito nasce nel contesto della Pasqua ebraica, quando il padre di famiglia va a prendere il pane per la benedizione e lo divide. Si tratta di un gesto di purificazione per lui e per tutti gli inviati, che lo imitano nel gesto di purificazione e si lavano le mani. Tutto il rito va interpretato in un contesto di preparazione dei doni.

La formula di transizione, in dialogo tra sacerdote ed assemblea, racchiude una teologia offertoriale. Pregate perché il mio e vostro sacrificio non è solo formula rituale, ma sottolineatura del fatto che ciascuno offre il medesimo sacrificio, secondo il sacerdozio battesimale o ministeriale che gli è stato conferito. Un modo diverso di esprimere lo stesso concetto dell’invito racchiuso nel verbo oremus, alla prima persona plurale, per includere tutti, compreso lo stesso sacerdote che lo pronuncia. La speranza che il sacrificio sia gradito a Dio Padre, accompagnato dal titolo onnipotente è riferimento alla funzione creatrice e sottolineatura che le offerte sono i doni divini, che noi prepariamo perché siano trasformate nei suoi santi doni. La preghiera, dunque, non è conclusione del rito offertoriale, ma accompagnamento verso la preghiera eucaristica.

La preghiera sulle offerte, che fa parte dell’eucologia propria di ciascuna celebrazione, costituisce la conclusione di tutto il movimento offertoriale. Il testo dell’orazione solitamente non lascia prevalere i riferimenti diretti al tempo liturgico o al tema celebrativo, ma piuttosto è imperiato sulla teologia dell’offertorio, sul senso dell’offrire e sulla spiritualità offertoriale. Allo stesso modo, il canto che accompagna l’offertorio si riferisce al gesto del presentare il pane ed il vino e diviene modalità che accompagna la processione e l’offerta dei doni. Questo processo rituale, dunque, non è solo tramite tra le due grandi liturgie, della parola e dell’eucarestia, ma racchiude una pregnanza ed un significato teologico, che si possono applicare all’offerta della propria vita.

In attesa di una riflessione sulla preghiera eucaristica, il lettore consulti un testo del messale attuale, anche nelle edizioni proposte per i fedeli, in modo da identificare i molteplici elementi che sono stati indicati. Nel corso della celebrazione, poi, tenti di migliorare la propria partecipazione coscientizzando la dimensione offertoriale del celebrare e tutti gli elementi che la compongono e ne sono connessi.

 

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Ultimo aggiornamento: 04-12-06