Sfogliando i faldoni dell'archivio ufficiale
per trovare informazioni che riguardassero gli organismi chiamati, nel
passato, a dirigere la nostra parrocchia, ci siamo accorti di come,
ciò che ai nostri occhi sembra una grande innovazione o una moderna
conquista - come il C.P.P. o la lettura del bilancio mensile in chiesa
- spesso non è altro che l'ombra dei traguardi un tempo raggiunti,
in questo caso in merito all'organizzazione della parrocchia e alla
partecipazione della comunità alla decisioni più importanti.
Fin dalla metà del XIX secolo, e quindi con tutta probabilità
dal momento stesso della sua fondazione, la nostra parrocchia è
stata infatti "governata" da un ristretto gruppo di parrocchiani
che prendeva il curioso nome di Fabbriceria. I fabbricieri erano scelti
dal parroco per la loro spiccata moralità, la loro fede e la
loro osservanza, oltre che per le loro provate capacità intellettuali,
organizzative e di responsabilità.
Ma diversamente da quanto accade oggi per il C.P.P., la fabbriceria
era un organismo, forse paragonabile ad un moderno Consiglio di Amministrazione,
legalmente riconosciuto dallo Stato, con pieni poteri decisionali ed
esecutivi per tutto quanto concerneva la conduzione economica e civile
della parrocchia, ed il parroco, seppur ne facesse parte di diritto
e molto di frequente ne fosse il presidente, non aveva alcun diritto
di veto sulle decisioni prese a maggioranza.
A testimoniare l'elevata importanza raggiunta da questo piccolo gruppo
di persone è sicuramente l'alto grado di burocratizzazione con
cui i fabbricieri venivano nominati.
In un primo tempo infatti, fino agli anni '20, il parroco era tenuto
a scegliere una coppia di candidati per ciascun posto vacante e a comunicarli,
unitamente ai criteri seguiti in tale selezione, al Regio Subeconomo
del Circondario di Monza (una delle figure pubbliche dello Stato monarchico
presenti in quel periodo), il quale avrebbe autonomamente deciso a chi
affidare tale incarico per cinque anni. Dal regolamento per la commissione
parrocchiale risalente al 1937 si apprende invece che, i fabbricieri,
il cui numero poteva variare da un minimo di tre ad un massimo di sette,
venivano nominati dall'Arcivescovo, sempre su proposta del parroco,
duravano in carica tre anni ed erano rieleggibili. Poteva essere eletto
solo chi risiedeva in parrocchia e non era legato da vincoli di parentela
con altri fabbricieri, il parroco o con i dipendenti amministrati (per
esempio i sacrestani). Prima di assumere l'amministrazione gli eletti
erano tenuti a prestare giuramento nelle mani dell'Arcivescovo, ricevendo
in consegna i beni mobili ed immobili di spettanza della chiesa debitamente
inventariati, dei quali sarebbero stati responsabili per il periodo
della loro permanenza in carica.
All'interno di ogni commissione veniva nominato un tesoriere il quale
avrebbe dovuto preoccuparsi di riscuotere le rendite, annotare entrate
e uscite sul libro cassa, curare l'archivio, tenere i registri contabili,
provvedere ai pagamenti, presentare il rendiconto annuale delle entrate
e delle uscite, documentando il tutto con ricevute e giustificativi.
Tale rendiconto doveva essere trasmesso all'Ufficio Amministrativo della
Curia, una volta approvato e firmato da tutti i membri della commissione.
Al parroco spettavano invece la rappresentanza giuridica della commissione,
il compimento di atti conservativi dei diritti relativi ai beni della
chiesa, la compilazione del bilancio preventivo e l'esecuzione delle
deliberazioni.
Si vede bene quindi quanti fossero i controlli con cui gli organismi
centrali, dello Stato prima e della Curia poi, monitorassero l'operato
delle singole fabbricerie, che ad ogni conclusione di mandato erano
inoltre sottoposte a severe visite di ispezione.
Ma fra tanti documenti ingialliti dal tempo resta comunque difficile
non sorridere leggendo un verbale del lontanissimo 1869:
"si accorda al sagrestano un aumento del salario per l'anno 1869
in italiane lire venti e non oltre, dichiarando che la fabbriceria non
prende nessun impegno per il successivo anno 1870 e salvo a deliberare
nell'ultimo quadrimestre del corrente anno se convenga o meno procedere
ad una riduzione di salario, ritenendo l'attuale più che esuberante
a far fronte ai bisogni di un sagrestano addetto ad una povera parrocchia."
Pare proprio che i tempi non siano cambiati.
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