Nel 1914 l'Europa, a un passo dalla
guerra che fu detta "grande" (chissà poi perché),
stava cambiando pagina; nella comunità della parrocchia di Santa
Maria Nascente e San Carlo nasceva, proprio di fronte la chiesa, il
protagonista di questo scritto: Tarcisio Ferrario. Da allora pagine
ne sono state voltate molte e lui le ha vissute da un punto d'osservazione
veramente particolare: la sagrestia, dal momento che è stato
il sagrestano di tutti noi per oltre un sessantennio.
Cominciò a 11 anni aiutando il padre nel mestiere di famiglia:
il sagrestano, appunto; da solo a 14 anni, con l'aiuto della madre talvolta,
solamente la guerra (questa la chiamarono "seconda mondiale")
e un periodo di servizio a Milano, dal 1952 al 1958 a San Bernardino,
lo tennero lontano dal suo paese, dalla sua sagrestia. Potrebbe sembrare
che sappia poco di come il mondo sia andato, per via delle sue giornate
trascorse tra casa e chiesa, a pochi passi di distanza, ma a modo suo
egli ha visto ogni cosa.
Così ci racconta di processioni affollate eppure composte (magari
grazie anche a qualche spintone che don Arturo Salvioni dava ai distratti
e ai chiacchieranti), colorate di stendardi e dalle file con i Confratelli,
le Consorelle (uomini e donne "della Scuola", dice lui), le
Figlie di Maria, i ragazzi dei Tarcisiani e dei Sanluigini; venivano
da Brugherio e dai paesi vicini per vedere quelle feste di fede, ricorda
Tarcisio, con una luce che gli brilla negli occhi. La chiesa stracolma
per le funzioni festive, le prediche dal pulpito decorato, che purtroppo
non c'è più, come pure le statue di santi sistemate nelle
nicchie: Francesco, Agnese, Luigi e Antonio, che solo ci rimane. L'orologio
con il meccanismo a pesi, da ricaricare a mano, le campane, che a suonarle
qualche volta si rompeva la corda e si cadeva distesi sul pavimento.
I tempi annuali della liturgia Tarcisio li conosceva alla perfezione,
così come i paramenti e le vesti adatte per ogni solennità
(perché anche l'abito fa la festa).
Pazienza se poi ci s'alzava prima dell'alba per svegliare i parrocchiani
al Venerdì Santo con il frastuono d'uno strumento tanto strano
da non avere neanche un nome (le campane non si poteva), oppure se ci
si sfondavano le tasche dalla monete da 10 centesimi: l'offerta per
il posto a sedere ("la sedia", lui la chiama); sono gli inconvenienti
della vita da sagrestano, simile più che a un mestiere ai ritmi
quotidiani e dolcemente scanditi dell'esistenza dei monaci.
E' il 21 di maggio del 1994 quando, davanti al Cardinal Martini, il
nostro Tarcisio è costituito Cavaliere dell'Ordine di San Silvestro
Papa: un momento di grande gioia per tutta la parrocchia, la quale lo
saluta, ma solo come sagrestano, quando si ritira al giusto e meritato
riposo, nel marzo del 1997.
Un testimone semplice della storia della nostra comunità, una
vocazione che nemmeno ora, a quasi ottantotto anni d'età, s'è
spenta.
[ Precedente ] [
Indice ] [ Successiva
]