VII INCONTRO DI PREGHIERA
"Padre nostro": rimetti a noi
i nostri debiti come noi li
rimettiamo ai nostri debitori
"Quando pregate dite: Padre, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" Mt 6,12).
Questa sera vogliamo imparare a pregare con queste parole che il Signore ci ha insegnato, riconoscendo i debiti immensi che abbiamo nei confronti di Dio e rallegrandoci per la misericordia infinita con cui il Signore ci accoglie: vogliamo anche trovare nel Signore la forza di accoglierci gli uni gli altri, superando antipatie, contrapposizioni, distanze. E ciò che chiediamo a Lui come frutto della preghiera di questa sera.
Signore, che comandi di perdonarci prima di venire al tuo altare, abbi pietà di noi.
Cristo, che sulla croce hai invocato il perdono per i peccatori, abbi pietà di noi.
Signore, che affidi alla tua Chiesa il ministero della riconciliazione, abbi pietà di noi.
LETTURE BIBLICHE: Sir. 27,30-28,7; Mt. 18,21-35.
Per capire il senso della preghiera "Padre. rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori", bisogna anzitutto riuscire a misurare il debito grande che noi abbiamo nei confronti di Dio. Può servire richiamare alcuni testi della Bibbia, come ad esempio Dt 6: "Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutte le forze" (Dt 6,4-5). È chiaro che davanti a una simile richiesta ci sentiamo debitori verso Dio, O, ancora, leggiamo nel Vangelo: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40). e "Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me" (Mt 25,45), Tutte le volte, quindi, che non siamo andati incontro alle necessità di un nostro fratello, abbiamo rifiutato il nostro amore e il nostro servizio a Cristo stesso.
Oppure pensate al brano del vangelo di Marco (12,41ss): una vedova getta nel tesoro due spiccioli, e Gesù commenta: questa donna ha donato tutto quello che aveva per vivere. Questo è il modello della vita religiosa, nella quale si è disposti a rischiare la propria vita per il Signore. Davanti a questo esempio ci sentiamo infinitamente piccoli, in debito perché non siamo capaci di donare così generosamente al Signore.
Ma cerchiamo di allargare la nostra riflessione per misurare ancor meglio l'ampiezza del nostro debito. Si può dire che siamo debitori a Dio del mondo. Dio ha creato il mondo e lo ha messo nelle nostre mani perché noi lo trasformiamo secondo una logica di giustizia, di amore, di verità e di bellezza. Questo è il progetto di Dio ed è quello che l'uomo tenta di fare quando, col lavoro, trasforma il mondo e lo rende più umano, più adatto per la vita. Ma succede, a volte, che nelle nostre mani il mondo diventa strumento di guerra e di odio, di arricchimento sfrenato,di accaparramento delle cose o di un consumo inutile e superfluo. In questi casi siamo responsabili, davanti a Dio, del mondo: siamo debitori a Dio di un mondo che non usiamo nel modo corretto per accrescere la gioia e la vita degli uomini, ma che pieghiamo a strumento di violenza e di rapina.
Siamo debitori a Dio anche di noi stessi, perchè non ci siamo fatti da noi. San Paolo ricorda che siamo stati comprati a caro prezzo (cfr 1 Cor 6,20: 7,23) e perciò apparteniamo al Signore. Dio non vuole esercitare su di noi un diritto di possesso ma, ugualmente, vuole da noi qualcosa: vuole, soprattutto, che la nostra vita diventi ricca di verità e di amore. Dice S. Paolo, infatti: "In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità" (Ef 1,4). Dio vuole, quindi, che tu cresca nella capacità di amore e di dono, vincendo ogni tentazione di rassegnazione e di egoismo.
Si può dire che Dio spera nell'uomo. Ha infatti sperato e scommesso su di noi e sulla nostra capacità di orientare al bene la nostra vita quando ci ha creati liberi. Ogni egoismo, pigrizia, chiusura vuol dire rinunciare a diventare quello che potremmo essere di bene per gli altri e di gloria per Dio. Di questo noi siamo debitori, perché chi di noi può dire davvero di avere trasformato tutta la sua vita in amore? Di avere dato un'anima ad ogni suo comportamento, ad ogni sua scelta? Chi di noi può dire che le sue mani, i suoi occhi, il suo cuore, le sue parole, il suo volto sono diventati trasparenti all'amore di Dio, segno e strumento di fraternità e di comunione? Siamo debitori a Dio di una cattiva gestione di noi stessi.
Ancora più paradossalmente, si può dire che siamo debitori a Dio di Dio stesso. Secondo il messaggio biblico, Dio ha voluto essere ed è il nostro Dio, egli non si vergogna di chiamarsi il Dio di Abramo e ciascuno di noi può dire che Dio è "per noi". È la scelta di Dio, del suo amore, di un'umiltà di amore: Dio sta accanto a te chiedendo una risposta al suo amore e al dono che ti fa della sua stessa vita: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me" (Ap 3,20). Se non apro la porta, rendo frustrato l'amore di Dio, impedendogli di realizzare il suo progetto e facendo fallire, per ciò che dipende da me, la comunione e la alleanza di Dio con noi.
Come dicevo prima, Dio ha rischiato scegliendo di entrare in un rapporto con noi, perché ormai la nostra risposta coinvolge anche lui. Siccome Dio ci ama, si rende, sotto certi aspetti, fragile nelle nostre mani. Ripensate a tutte le immagini con cui la Bibbia presenta il rapporto di Dio con l'uomo: Dio è padre, ma proprio per questo può essere disobbedito e ripudiato dai figli, che possono non riconoscerlo più. E la Bibbia ci dimostra che così è capitato in quei brani nei quali Dio si lamenta come un padre non riconosciuto ed accolto (cfr Is 1,2-4). Dio è amico e, in quanto tale, può essere abbandonato: Dio è sposo, ma proprio perciò può essere tradito. Dio è quindi nelle nostre mani e il suo progetto dipende dalla nostra positività nell'amore.
Siamo dunque debitori a Dio del mondo, di noi stessi, di lui stesso. Per questo il brano del Vangelo ascoltato parla di un debito infinito, che non riusciremmo mai a pagare con tutta la nostra buona volontà.
Se il debito è questo, dice il Vangelo, noi viviamo del perdono di Dio, ne abbiamo bisogno come dell'aria che respiriamo. Ovviamente, bisogna intendere il perdono nel senso corretto: è la capacità di ricreare un rapporto spezzato, creandolo dal nulla: è la forza di un amore che è più grande di ogni vendetta e risentimento, è la forza con cui Dio dice: Ecco. io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,5).
Di questo amore di Dio noi abbiamo bisogno in ogni istante della nostra vita e per questo Gesù ci ha insegnato a pregare ogni giorno: Padre, perdona a noi i nostri debiti come noi li perdoniamo ai nostri debitori. Ogni giorno dobbiamo pregare così, perché ogni giorno rinasce il nostro debito, la nostra meschinità e la nostra insufficienza, ma ogni giorno il Signore rinnova la sua misericordia e il suo perdono.
Unito a ciò, secondo il Vangelo, deve esserci il nostro amore per gli altri.
Se imparassimo a calcolare davvero il debito che abbiamo verso Dio e riuscissimo, quindi, a gustare con un infinito stupore la gioia di essere perdonati da Dio, il nostro cuore sarebbe così ricco di gioia e di riconoscenza che non ci costerebbe molto perdonare a un nostro fratello. Può darsi che qualcuno abbia un debito con noi, ma, in ogni caso, quello che abbiamo nei confronti di Dio è ben maggiore. Se gustiamo la gioia del perdono, non facciamo fatica a trasmettere il perdono gratuitamente e liberamente, superando l'istinto della vendetta, la volontà di affermarci.
Con questo, siamo giunti al punto più elevato dell'esperienza dell'uomo. C'è nel mondo un ordine della natura dove le cose procedono secondo leggi inflessibili, perché la natura non perdona, nemmeno se io ho sbagliato senza volerlo. Al di sopra della natura c'è l'ordine della libertà, della giustizia, dove ciascuno liberamente deve essere in grado di entrare in rapporto con gli altri in una condizione di parità, di riconoscimento di diritti e di doveri. Al di sopra ancora di questo c'è l'ordine dell'amore, che è proprio di Dio.
La giustizia vuol dire riconoscere a ciascuno quello che gli spetta; amore vuol dire donare a qualcuno gratuitamente quello a cui non avrebbe uno stretto diritto. Questo è proprio l'ordine di Dio, mentre quello della giustizia è quello umano. L'ordine di Dio è dunque quello dell'amore, della gioia di trasmettere gioia, della gioia di arricchire gli altri, di comunicare quello che uno possiede, ed è qui che si colloca il perdono, che va al di là della semplice giustizia. Perdono vuol dire un dono ripetuto, moltiplicato, e la sua realtà ha le radici nell'amore di Dio, nella gratuità con cui Dio ci ama.
Potremmo ora allargare il discorso e riportarlo a tutti i luoghi concreti in cui possiamo praticare il perdono: i rapporti di amicizia, familiari, con le persone che ci sono vicine nella vita: riportarlo a tutte le concrete esperienze dove il perdono di cui noi parliamo è quello che io do per le offese fatte a me. Non mi riferisco al perdono per un crimine che non mi ha toccato direttamente: di questo si è parlato molto negli ultimi anni ed è questione delicata che riguarda l'ordine giuridico dello stato. Ma non è questo il problema, ora. Ora, invece, parliamo di un'offesa personale, che ha suscitato in me risentimento e rancore. Il perdono ciascuno lo può dare solo per le offese ricevute, non per quelle fatte ad altri.
Vi sono allora due dimensioni del perdono, quello che chiediamo a Dio e quello che c'impegnamo a dare agli altri, e credo che sia inutile chiederci quale sia il più importante, perché essi si sostengono a vicenda.
Anche se quello di Dio precede, si verifica una specie di doppio movimento in cui ogni gesto di perdono nostro richiama il perdono di Dio e ogni dono del perdono di Dio suscita anche il nostro gesto di generosità.
Chiediamo allora al Signore di aiutarci a prendere coscienza della nostra responsabilità verso di Lui, verso il mondo che ha messo nelle nostre mani, verso la vita che ci ha dato la possibilità di dirigere e di guidare per l'amore e la comunione con Lui. Preghiamolo di farci sentire la gioia del suo perdono, la consapevolezza che Egli ci vuole, ci accetta e ci conferma.
Ci doni, il Signore, lo stupore per il suo amore e il suo perdono e faccia scaturire nei nostri cuori una gioia sincera e ricca, che ci renda capaci di perdonare con libertà agli altri.
La preghiera ci deve aiutare a questo. Mettiamoci davanti al Signore cercando di riscoprire il nostro debito: è cosa fondamentale, perché se non ci si sente debitori di fronte a Dio non si può pregare: Padre, rimetti a noi i nostri debiti. Se invece cominciamo a pesare un tantino il nostro debito, allora quella preghiera diventa una necessità, di cui non possiamo fare a meno.
Dopo, dobbiamo misurare con stupore la grandezza della misericordia di Dio e per questo può servire il Salmo 102, salmo ricchissimo di stupore e riconoscenza per la misericordia di Dio.
Si tratta, poi, di verificare anche i casi di risentimento, di malanimo che abbiamo nei confronti degli altri e di mettere davanti al Signore la nostra fatica a perdonare, riconoscendo che non siamo così generosi, che il nostro cuore spesso è meschino e chiuso.
Riconoscendolo davanti al Signore, preghiamolo di spalancarci il cuore dandoci grande sincerità e generosità. Ciò è possibile leggendo il brano del Siracide o il Vangelo, trasformandolo in una preghiera personale.
Se, ad esempio, leggo nel Siracide: "Il rancore e l'ira sono un abominio, il peccatore li possiede" (Sir 27.,30), posso chiedere al Signore di aiutarmi a comprendere quanto il rancore e l'ira siano lontani da Lui e dal suo progetto; di aiutarmi a riconoscere nel mio cuore questi atteggiamenti e sentimenti, dandomi la forza di superarli con un cuore libero e puro.
È una preghiera molto semplice, ma sappiamo che pregare non vuol dire pensare molto, ma amare molto. Sono sufficienti anche delle parole infantili, ma esse devono scendere nel cuore per esprimere un desiderio, una speranza, un gioia che vuole diventare piena e grande davanti al Signore.