VI INCONTRO DI PREGHIERA

"Padre nostro": dacci oggi

il nostro pane quotidiano

Rinnoviamo all’inizio di questa sera la domanda con la quale avevamo iniziato gli incontri di preghiera: Signore insegnaci a pregare.

Ripetiamo questa richiesta al Signore perché ci interessa troppo: siamo convinti che la preghiera è una realtà seria, dalla quale dipende la pienezza della nostra vita, l’autenticità del nostro rapporto con Dio, il saperlo riconoscere come un centro personale di amore e di amicizia. Da essa dipende anche il nostro modo corretto di affrontare la vita e il rapporto con gli altri: la capacità di vedere la nostra vita come una vocazione e di considerare gli altri come doni del Signore per camminare insieme verso la realizzazione del suo progetto di vita.

Ripetiamo allora al Signore la richiesta d'insegnarci a pregare, a pregare bene, perché la nostra preghiera non sia un fuggire dal mondo, ma il modo giusto di entrare e di stare nel mondo: non sia il rifiuto delle responsabilità, ma stare davanti a Dio e sentirci responsabili davanti a lui di tutta la nostra vita e i nostri impegni: non sia, quindi, rinunzia all'impegno, ma richiesta di forza per donarsi più integralmente e pienamente.

Chiediamo, quindi, che la nostra preghiera assomigli alla preghiera di Gesù, che egli faccia entrare nei nostri cuori il suo stesso atteggiamento, dandoci una energia di Spirito Santo, di amore, di fiducia, perché la nostra vita esca rinnovata dalla preghiera.

LETTURE BIBLICHE: Es 16,2-15; Lc 11,5-13

Abbiamo imparato che pregare significa, prima di tutto, mettersi davanti a Dio con la fiducia e la docilità dei figli. La prima parola che ci viene sulla bocca è l'invocazione "Padre": essa esprime la realtà nuova che Gesù ha messo dentro la nostra vita attraverso il dono del suo Spirito.

Gesù ci ha insegnato, poi, a chiedere: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà.

Abbiamo tentato di capire, negli incontri precedenti, che queste richieste

esprimono lo stesso desiderio: in esse chiediamo che Dio diventi davvero il nostro Dio, che Egli manifesti il suo amore, la sua potenza, la sua santità; che venga a regnare sulla nostra vita, che compia in noi il suo progetto di salvezza. Preghiamo quindi perché Dio diventi il Dio dell'uomo, il Dio della nostra vita.

Nel Padre nostro ci sono poi altre quattro domande, nelle quali cambia il pronome personale: il "tu" è sostituito dal "noi": dacci il nostro pane, rimetti a noi i nostri debiti, non ci indurre in tentazione, ma strappaci dal male. Si potrebbe pensare, allora, che l'attenzione si sposti da Dio alla nostra vita, ma in realtà l'ottica rimane la stessa per tutta la durata della preghiera. Nella prima parte del Padre nostro, noi chiediamo che Dio sia davvero Lui il Dio della nostra vita. Nella seconda, chiediamo che la nostra vita possa realizzarsi pienamente secondo la sua vocazione e quindi, naturalmente, secondo la volontà di Dio.

Il progetto di Dio sull'uomo è che l'uomo gli assomigli: siamo fatti a immagine e somiglianza di Dio, che ha messo nelle nostre mani il mondo, dandoci un potere reale sulla creazione, perché la gestiamo con la nostra libertà, con la nostra intelligenza, con la nostra volontà, in modo che esso - il mondo - venga riportato a Dio.

L'uomo ha questa vocazione e questo impegno: riportare il mondo a Dio attraverso la sua vita, il suo lavoro, il suo studio, i suoi progetti. Ma non è possibile per l'uomo realizzare tutto ciò autonomamente, conquistando la propria somiglianza con Dio. Il compimento della propria vita rimane un dono da accogliere nella riconoscenza. Allora. preghiamo: "Padre, dacci il nostro pane quotidiano", ossia: dacci tutto quello di cui abbiamo bisogno per realizzare la nostra vocazione.

Quando preghiamo così, riconosciamo di essere dei bisognosi; in qualche modo, dei mendicanti che chiedono a Dio la vita, la propria realizzazione, riconoscendola più grande di noi stessi, delle nostre capacità e risorse. La nostra vocazione è grande quanto Dio stesso: siamo stati creati, infatti, a immagine e somiglianza di Dio e per questo abbiamo bisogno che Dio diventi dono per noi, che Dio ci si comunichi. Quanto a noi, dobbiamo scoprire il nostro cuore e lo facciamo esattamente nella preghiera.

Dunque: Padre, dacci oggi il nostro pane quotidiano. Gli esegeti hanno discusso e discutono ancora sul significato della parola "pane". Si riferisce, forse, al pane della tavola e, quindi, alle cose concrete di cui l'uomo ha bisogno per vivere? Si riferisce, invece, al pane dell'Eucaristia, ossia a quel pane che è Gesù Cristo o si riferisce, infine, al pane della vita eterna, a quello che Dio ha messo in serbo per l'uomo e che gli darà al termine della sua vita, nel banchetto dell'eternità'?

A quale di queste dimensioni la preghiera del Padre nostro fa riferimento?

Credo che si possa dire tranquillamente: a tutte, a cominciare dal pane concreto, che per Gesù è una cosa importante. Egli non ha, infatti, una visione astratta, disincarnata, dell'uomo. Per Platone. ad esempio, era una schiavitù per l'uomo essere costretto a preoccuparsi del cibo. Siccome l'essenza dell'uomo è la sua anima, il cibo vero, degno dell'uomo, sarebbe solo la conoscenza, la filosofia. La Bibbia, però, e con tutta la Bibbia Gesù Cristo, considerano l'uomo concreto, quello che è fatto di sangue e di carne, e la sua fame di pane costituisce un elemento importante della sua vita.

Gesù ha dato da mangiare agli affamati, ha curato i malati, si è preso cura anche della carne dell'uomo, dei suoi bisogni materiali. D'altra parte, necessità materiali ed esigenze spirituali non sono affatto separabili. Provate a mettervi nei panni dei primi discepoli, che hanno abbandonato tutto: la famiglia, il lavoro, per seguire Gesù, per consacrarsi al regno di Dio. Continuano, però ad avere bisogno di mangiare, di bere, di coprirsi, perché rimangono persone umane con tutte le insufficienze e i bisogni concreti della persona umana. Come potranno andare avanti dopo aver abbandonato tutto? come procurarsi il necessario per vivere.

L'unica risorsa che rimane loro è la preghiera. Ci penserà Dio, il Padre, a custodire la loro vita perché possano continuare fino in fondo il cammino intrapreso, senza venir meno per la via. Chi rischia così decisamente la sua vita capisce subito la necessità e la forza di questa preghiera.

Ora, noi non siamo nella condizione dei discepoli che hanno abbandonato tutto, ma la preghiera mantiene una sua validità: Padre, dacci oggi il nostro pane quotidiano. Ossia: Padre, tu ci chiedi nella nostra vita di amare, di spalancare il nostro cuore agli altri, di donare con generosità, di rinunciare a tante sicurezze, di vivere la nostra vita non nella ricerca ansiosa del possesso, ma nella gioia liberante del dono. Ma, o Padre, noi siamo dei poveri e dei bisognosi. Abbiamo bisogno anche di metterci a tavola tutti i giorni, abbiamo bisogno di un po' di soldi, di un po' di sicurezza. Vogliamo affidare a te, o Padre, la protezione e la difesa della nostra vita.

Davanti al Signore mi assumo il rischio del dono: invece di accumulare tutto, mi dico disposto a donare qualche cosa di me: un po’ del mio tempo e un po' delle mie risorse. Per potere fare questo, ho bisogno di essere al sicuro di avere la garanzia che non mi verrà a mancare il necessario. Allora, Padre, ti presento la mia preghiera con fiducia: Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Non farci mancare ciò di cui abbiamo bisogno, perché possiamo continuare a donare con gratuità e gioia.

In fondo, questa preghiera diventa una scuola di libertà interiore, quella libertà che ci permette di non preoccuparci troppo del domani, del possesso. Certo il Signore non vuole che noi abbandoniamo ogni impegno, ogni lavoro: la preghiera non deve diventare una delega a Dio delle nostre responsabilità. Possiamo, però, lavorare senza troppo affanno, senza avere troppa paura. Nel momento in cui cominciamo la giornata di lavoro, di studio, ci affidiamo al Signore, alla sua bontà provvidente: e la sera quando avremo goduto del frutto della fatica, potremo ringraziare il Signore per la sua premura paterna. Così tutta la vita, tutto quello che sperimentiamo e possediamo, viene coinvolto nel rapporto con il Signore.

Dice il salmo 104: Tutti da te aspettano che tu dia loro il cibo in tempo opportuno. Tu lo provvedi, essi lo raccolgono, tu apri la mano, si saziano di beni (Sal 104,27-28). Non è necessario che Dio faccia dei miracoli perché tu possa renderti conto che il mondo viene da Dio e ringraziare per il pane che mangi quotidianamente. Basta la provvidenza di Dio, basta quell'ordine secondo cui Dio ha creato il mondo e nel quale tu inserisci il tuo lavoro. In questo modo, tutta la grande realtà dell'avere, del possesso, viene purificata e rinnovata, perché viene collocata nella prospettiva del dono di Dio e del nostro dono verso gli altri.

Quello che abbiamo lo riceviamo dal Signore e lo riceviamo non per tenerlo per noi, ma per comunicarlo. Possiamo farlo proprio per la fiducia che abbiamo nell'amore paterno di Dio, che non farà mancare quanto ci e necessario giorno per giorno. Allora, la preghiera: Padre, dacci oggi il nostro pane quotidiano, ci fa ricordare la nostra condizione profonda di necessità: siamo essenzialmente dei bisognosi. Ci fa anche ritrovare, però, l'atteggiamento fondamentale della fiducia: abbiamo un Dio che è nostro Padre e a lui possiamo affidare il nostro futuro. Da questa preghiera possiamo uscire con la capacità di impegnarci nel lavoro, ma senza affannarci: con un tantino di fiducia e di libertà.

Nel tempo che abbiamo di adorazione e di silenzio, credo che possiamo semplicemente riprendere il Padre Nostro nelle sue dimensioni fondamentali. Un modo semplice di pregare è ripetere anche solo quella parola: Padre. Se la si ripete non solo con le labbra, ma con l'animo dei figli, è già preghiera. Possiamo aggiungere: Padre, dacci oggi il nostro pane quotidiano, e possiamo specificare nella parola pane tutte le cose che ci stanno a cuore: il pane della tavola, la serenità, l'amicizia, la speranza, la realizzazione della nostra vita; in breve, tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Si può anche riprendere il testo del salmo 33 che abbiamo pregato o le letture ascoltate e trasformarle in una preghiera personale. Basta, in fondo, dare a Dio del Tu. Ciò che viene dopo è del tutto libero: è lasciato a quello che lo Spirito suggerisce e a quello che il nostro cuore è capace di dire al Signore con fiducia e con libertà.

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