VIII INCONTRO DI PREGHIERA

"Padre nostro": non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male

Siamo giunti all’ultima meditazione sul Padre Nostro, la preghiera che Gesù ci ha insegnato e che deve essere la regola di ogni preghiera cristiana. Sappiamo per esperienza quanto il cammino della vita cristiana sia difficile e per esperienza dolorosa sappiamo anche quanto siamo fragili e di conseguenza, quanto bisogno abbiamo di un’oasi in cui riposare e riprendere forza per la lotta.

Per il cristiano questo luogo di riparo è l’amore del Padre, dove la sua misericordia e la sua potenza ci ricoprono, come prega il Salmo 90:

Tu che abiti al riparo dell’Altissimo

E dimori all’ombra dell’Onnipotente,

dì al Signore, "Mio rifugio e mia fortezza,

mio Dio in cui confido" (Salmo 90,1-2).

La preghiera di questa sera vuole farci prendere coscienza del bisogno che abbiamo della protezione del Signore e della fiducia infinita che possiamo mettere in Lui. Chiediamo, quindi, al Signore di insegnarci a pregare con quelle parole: Padre, non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.

LETTURE BIBLICHE: Ef. 6,10-18; Lc. 22,35-46

Può sembrare strano che la preghiera che il Signore ci ha insegnato termini con una domanda preoccupata e ansiosa, che sottolinea il senso della tentazione, della lotta, delle difficoltà che accompagnano il cammino della fede. Ci può aiutare a comprendere questo atteggiamento il brano del vangelo di Luca. Vi si legge che Gesù, sul Monte degli ulivi, in preda all'angoscia, pregava "più intensamente" (Lc 22,44). L'espressione indica che Gesù tende tutte le sue forze nella preghiera, che in questo momento diventa faticosa, dolorosa. E’ una preghiera legata all'angoscia (il termine greco "agonia" indica insieme la lotta e l'angoscia interiore).

Gesù, quindi, in preda all'agonia, pregava più intensamente. Perché? Perché davanti alla paura della morte egli deve continuare a credere nell'amore del Padre, anche quando sembra che Dio sia indifferente e non lo liberi dalle sue sofferenze: deve credere nella salvezza e nella vicinanza del Padre anche quando si trova davanti alla morte, che, dal punto di vista umano, è esperienza di un fallimento senza possibilità di ricupero.

Ecco la lotta, nella quale Gesù ha bisogno di essere confortato. Dice Luca: "Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo" (Lc 22,43). Probabilmente, Luca allude a un episodio famoso dell'Antico Testamento, quando anche al profeta Elia, grande combattente della fede, che si trovava in un momento di profonda crisi esistenziale, fu dato dal Signore il conforto di un angelo perché avesse la forza di compiere il suo pellegrinaggio di quaranta giorni fino al monte Sinai (cfr 1 Re 19,lss). Come Elia, anche Gesù ha bisogno del conforto e del sostegno da parte del Padre e, continua l'evangelista, sudava sangue come un combattente ferito.

È questa l'immagine di Gesù da contemplare, notando anche, però, come essa sia introdotta e conclusa dall'invito alla nostra preghiera. Leggiamo infatti: "Giunto sul luogo, disse loro: "Pregate, per non entrare in tentazione" (Lc 22,40), esortazione che viene ripetuta al termine del brano: "Alzatevi e pregate per non entrare in tentazione" (Lc 22,46). È l'invito a percorrere anche noi, come Gesù, il nostro itinerario di lotta.

Cos'è, però, quella tentazione da cui chiediamo di essere liberati, dicendo: "Padre, non ci indurre in tentazione"? Non si tratta di una delle tante prove in cui la nostra fragilità viene rivelata, ma della tentazione che chiama in causa la nostra fedeltà radicale a Dio: è la prova sulla scelta decisiva della nostra vita, quando c'è il pericolo che la fede stessa nell'amore di Dio venga meno: quando il male, l'ingiustizia, la sofferenza presenti nel mondo ci fanno dubitare che l'amore sia illusione, che Cristo stesso sia stato un illuso, che non esista un verità per cui valga la pena offrire se stessi. È questa la tentazione: dell'indifferenza, dello scetticismo, dell'incredulità assoluta. E’ la tentazione suscitata dalla croce.

Mettiamoci per un attimo nei panni dei discepoli al momento della lotta del Getsemani e in tutto il cammino della sofferenza e della passione del Signore: hanno seguito Gesù, un profeta potente in opere e in parole: si trovano adesso davanti un Gesù prigioniero, umiliato e crocifisso. Come continuare a credere che lui sia il Salvatore, che il mondo sia nelle sue mani quando, invece, in realtà è lui che si trova nelle mani dei nemici? Per questo dobbiamo pregare: "Padre, non ci indurre in tentazione".

Finché Gesù era con i discepoli, essi potevano rimanere tranquilli, erano in qualche modo protetti, ma ora che egli passa attraverso la passione e la croce vi sarà per loro il momento della prova. Ecco perché dice: "Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così una bisaccia: chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una" (Lc 22.36). È il momento della lotta, in cui è necessario essere preparati a impegnarsi e combattere: Gesù sta per essere trattato come un malfattore, come dice la Scrittura (cfr Lc 22,37).

C'è da lottare, ma contro chi? La risposta ce la dà san Paolo nella prima lettura ascoltata: "La nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (Ef 6,12).

Concetto certamente strano nella formulazione, ma profondamente vero nel contenuto. Possiamo dare un volto a queste 'potenze' che Paolo definisce più forti dell'uomo? Potremmo definirle anzitutto come realtà che si contrappongono al volto dell'uomo. Il volto umano è sempre il segno di una persona, di un centro di amore, di un progetto unificato, mentre qui siamo di fronte a forze che devastano il volto dell'uomo, disgregandolo e mutandolo in una maschera priva di anima, di amore, di speranza. Queste sono le potenze contro cui dobbiamo combattere e possiamo cercare di definirle in qualche modo.

Viene immediatamente alla memoria la potenza del denaro. Dal momento che tutti abbiamo bisogno di qualcosa per vivere, l'avere è una dimensione indispensabile della condizione umana e nasce il rischio ch'essa diventi dominante nella vita. I crimini che il denaro può far compiere all'uomo sono orribili: schiavo dei soldi, l'uomo non si arresta davanti a nessuna sofferenza, non esclude nessun misfatto. Non si mette allora più la propria fiducia in Dio e nel suo amore, ma nel possesso, che diventa così un idolo. A lui viene sacrificata la vita e la dignità dell'uomo. Gli esempi a riguardo sarebbero numerosi e dolorosi.

Ancora: tutti noi abbiamo bisogno di qualche momento di felicità, di un'esperienza di autorealizzazione, ma anche qui, in fondo, c'è in agguato

una tentazione: quella di nuocere alla vita degli altri per realizzare me

stesso. Anche l'autorealizzazione può diventare un idolo se viene cercata "a qualsiasi prezzo". Quando si fanno scelte di questo tipo, c'è alla radice un rifiuto della fede e della speranza, perché pretendiamo di controllare la nostra realizzazione e di non affidarla, in ultima analisi, a Dio.

Ancora: la superficialità, il relativismo, lo scetticismo sono potenze contro le quali combattere. Non si tratta di tentazioni periferiche, di scelte compiute per un attimo di piacere; in questi casi la tentazione è di abbandonare la fede rinunciando all'amore. È questa la tentazione alla quale fa riferimento Gesù quando dice: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà fede sulla terra?" (Lc 18,8). a significare che la fede non è un equilibrio stabile, ma un possesso incerto che richiede una lotta. O ancora, riferendosi agli ultimi tempi: "Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà" (Mt 24,12). Conosciamo bene per esperienza il rischio che si raffreddi il nostro amore a causa di esperienze negative vissute. È allora chiaro il senso dell'invocazione: Padre, non ci indurre in tentazione. Vuol dire che in presenza di situazioni simili il cristiano può rispondere solo con la preghiera fiduciosa. Non chiediamo al Signore di non avere delle prove, ma, in esse, di essere sostenuti da Lui, di non trovarci soli e incapaci di resistere a situazioni che ci schiaccerebbero.

Abbiamo bisogno di quella sicurezza e fiducia che ci viene da Dio. Non è certamente Lui a tentarci: la tentazione nasce da Satana e dalla nostra concupiscenza, come dice Giacomo (cfr Gc 1,14). L'esclamazione "Padre, non ci indurre in tentazione" vuol dire che noi sappiamo e riconosciamo che Dio è più forte di ogni potenza di male e di ogni nostra fragilità e che affidarci a lui vuol dire ritrovare anche in mezzo alla lotta la fiducia, la speranza di prevalere. Così, quando diciamo: "Padre, strappaci dal male". intendiamo non solo una delle tante sofferenze della vita quotidiana, ma il male radicale che è l'egoismo: ciò che si oppone alla verità di Dio con la menzogna dell'egoismo o del privilegio: è il grande peccato dell'apostasia, cioè dell'abbandonare la fede, che può davvero distruggere tutto.

In questa situazione, siamo dei combattenti chiamati a lottare con una grande fiducia. L'ultima domanda del Padre Nostro potrebbe sembrare una preghiera preoccupata e ansiosa. In realtà essa esprime la consapevolezza di una situazione difficile, ma è una preghiera fiduciosa.

"Padre, nelle tue mani affido il mio spirito" (Lc 23,46).

Padre, non ci indurre in tentazione, ma strappaci dal male.