V INCONTRO DI PREGHIERA

 

"Padre nostro":

Sia fatta la tua volontà

come in cielo così in terra

 

La preghiera diventa seria quando comincia a coinvolgere la nostra vita e la cambia. Fino a quando rimane un pensiero una commozione un desiderio o una nostalgia si può temere che la preghiera sia solo una pratica di autoconvincimento che cioè parliamo a noi stessi invece che a Dio. Quando invece cambia realmente qualcosa in noi e nelle nostre azioni allora vuol dire che un altro entra nella nostra vita imprimendole una direzione nuova.

Pregare vuol dire proprio passare da un progetto mio di vita a quello di Dio arrivare ad abbracciare un progetto cioè dove Dio è rilevante e la sua volontà accolta gioiosamente. Ecco perché il Signore ci ha insegnato a pregare: "Padre sia fatta la tua volontà" ossia: Padre compi in noi la tua volontà realizza nella nostra vita il tuo progetto di salvezza.

E quanto chiediamo al Signore d’insegnarci questa sera. C’insegni a pregare e a desiderare che si compia veramente in noi la volontà del Padre.

Preghiamo allora: Padre buono e santo che in Cristo ci hai scelti e amati prima della creazione del mondo illuminaci con il tuo Spirito perché accogliendo il mistero della tua volontà pregustiamo la gioia che ci attende come figli del Regno.

 

LETTURE BIBLICHE: Ef. 1,3-10; Mc. 32-42

 

Il vangelo ricorda che Gesù pregava regolarmente ritirandosi in luoghi deserti e ricorda anche alcune sue preghiere particolarmente intense espresse nei momenti più importanti della sua vita. Gesù prega al momento del Battesimo, poi durante i quaranta giorni di digiuno nel deserto, all'inizio del suo ministero, quando deve scegliere la via dell'obbedienza al progetto del Padre, a preferenza di tutte le altre possibilità che Satana gli propone: il successo, il potere o l'affermazione di sé. Per fare questa scelta, Gesù prega, come farà prima di scegliere i dodici Apostoli, prima, cioè, di dare inizio al nuovo popolo di Dio. Prega ancora al momento della Trasfigurazione, quando la sua vita incomincia a dirigersi verso la croce e deve accettare il peso e la fatica della sofferenza, durante l'ultima Cena, quando sta per lasciare i suoi discepoli i suoi amici con i quali ha condiviso il ministero: prega infine nell'orto del Getsemani, quando vede la passione avvicinarsi.

Nel vangelo, infatti, leggiamo: Egli disse ai suoi discepoli:

"Sedetevi qui, mentre io prego". Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia (Mc 14,32-33).

Paura e angoscia sono la sua reazione umana di fronte alla morte, ed è bello e significativo che Gesù non nasconda i suoi sentimenti, non li comprima, ma li trasformi in preghiera.

Gesù disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte". Sono le parole del Salmo 42 queste usate da Gesù per esprimere la paura e l'angoscia che prova:

Perché ti rattristi, anima mia.

perché su di me gemi?

Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,

lui salvezza del mio volto e mio Dio (Sal 42,6).

Poi, andato un po’ innanzi, si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell'ora. L'imperfetto della voce verbale,

pregava, indica un'azione che viene ripetuta più volte con perseveranza. Gesù, non solo ha pregato, ma ha ripetuto la sua preghiera, come se avesse bisogno di essere protetto e avvolto dal suo rapporto con il Padre. Ha mantenuto la preghiera per molto tempo e il vangelo ce ne dice il contenuto fondamentale, che resta insegnamento per noi.

Incomincia: "Abba, Padre", esprimendo, cioè, una fiducia illimitata in Dio e, nello stesso tempo, sottomettendo la sua vita, senza riserve, alla sovranità di Dio. Che Dio sia Padre, vuol dire ambedue queste cose: che di lui ci si può fidare e che a lui bisogna sottomettere la propria vita, non per paura come fa uno schiavo, ma per amore, come fa un figlio.

Sappiamo bene che questo è anche l’atteggiamento di fondo della preghiera cristiana, che comincia sempre così: "Abbà, Padre", ad indicare soprattutto il nostro atteggiamento spirituale filiale nei confronti di Dio.

Continua, poi, Gesù: "Tutto è possibile a te". Anche questo è un presupposto di ogni preghiera. Se posso pregare con sincerità è perché sono convinto che il mondo, la storia e la mia vita stessa sono nelle mani di Dio e che possono essere da lui guidati dal momento che sono da lui perfettamente conosciuti. Riconosco, dunque, l'onnipotenza di Dio, ossia che tutto è sotto il suo sguardo e il suo potere.

"Allontana da me questo calice: Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu". L'invocazione al Padre di allontanare da lui questa sofferenza profonda è un desiderio umano che viene provato da Gesù

e non viene censurato. I desideri umani infatti, non vanno nascosti, sottovalutati o censurati nella preghiera, ma vanno espressi. Cosa infatti posso offrire al Signore se non ho desideri personali? A cosa serve pregare se non ho qualcosa che deve cambiare nei miei progetti?

La preghiera vuole proprio giungere a farci dire: "allontana da me questo calice, però non quello che io voglio, ma ciò che vuoi tu". È come se dicessimo al Signore: Signore, io so che tu mi conosci meglio di quanto non riesca a conoscermi io. So che mi ami più di quanto non riesca a stimarmi e amarmi io stesso e so che sei in grado più di me di guidarmi verso la vita, la gioia e verso la perfezione della mia esistenza. Per questo desidero la tua volontà più che la mia e inserisco la mia volontà nella tua.

Quando infatti diciamo: Padre, sia fatta la tua volontà, chiediamo al Signore di realizzare in noi la sua volontà, che è la nostra salvezza, la nostra vita, gioia, speranza: a volte forse dura e difficile, ma mai triste, avvilente o umiliante. La gloria di Dio sta nella nostra vita, nella nostra realizzazione dell'esistenza. La storia è il compimento di un progetto di salvezza di Dio, non un insieme caotico di eventi casuali. Nel suo cammino, allora, la preghiera percorre come un arco: parte dai miei desideri e dalla mia volontà per giungere ad abbracciare i desideri e la volontà di Dio: a volere la volontà di Dio e non solo a rassegnarsi ad essa.

"Padre, sia fatta la tua volontà" non è espressione di una rassegnazione, ma di un desiderio, di una fame e di una sete, perché ho capito che la volontà di Dio è la vera sorgente della gioia e io la ricerco con la stessa intensità con cui ricerco la mia stessa gioia.

Partire dai miei desideri per arrivare a compiere la volontà di Dio è un cammino che richiede un certo tempo e possiamo ritenere che anche Gesù non abbia pronunciato queste parole di getto, ma le abbia costruite piano piano con la perseveranza nella preghiera, attraverso cui egli ha abbracciato sempre più intensamente e profondamente la volontà del Padre. Può darsi che per noi questo stesso cammino richieda più tempo, ma l'itinerario è necessariamente lo stesso.

Il libro di Giobbe è costruito nello stesso modo: c'è un uomo che a un certo punto della sua vita si scontra con delle disgrazie, delle sofferenze, delle umiliazioni e maledice la vita, lamentandosi con Dio, contestandolo. Grazie a una lunga preghiera, però, giunge a mettersi davanti a Dio nell'atteggiamento giusto: accogliere la volontà di Dio per la sua vita. Dirà infatti al Signore: Comprendo che tu puoi tutto e che nessuna cosa è impossibile per te. Ho esposto dunque senza discernimento cose troppo superiori a me, che non comprendo. Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono. Perciò mi ricredo e ne provo pentimento sopra polvere e cenere (Gb 42,2ss).

Giobbe è arrivato a tacere davanti a Dio e ad accettare la sua volontà, ma solo dopo quaranta capitoli di libro, ossia dopo una lunga sofferenza e angoscia e disperazione e paura. Nonostante ciò, il suo cammino rimane simile al cammino di Gesù, anche se più lento e faticoso: parte dal proprio desiderio e arriva alla volontà di Dio.

La preghiera, quando è seria, cambia e dirige i nostri desideri, perché si integrino nel progetto di salvezza di Dio. Ciò vuol dire che nella preghiera qualcosa cambia in me e anche in Dio. L'affermazione è azzardata, ma ha qualcosa di profondamente vero. Cambia qualcosa in me, perché all'inizio ho solo i miei desideri e i miei progetti, ma alla fine ho insieme i miei desideri e il progetto di Dio.

Cambia qualcosa anche in Dio perché all'inizio della mia preghiera egli ha solo un progetto, che è di salvezza del genere umano e della mia vita. Alla fine della preghiera Dio ha nel suo progetto anche la mia collaborazione di figlio. Nella preghiera io guadagno la presenza di Dio nella mia vita: Dio guadagna la mia presenza nel suo progetto.

E vero che Dio non ha bisogno, in senso assoluto, della mia presenza e della mia collaborazione, dal momento che non ha bisogno neanche di un progetto di salvezza: questo è per il mio bene e non per il suo. E però, quando il progetto di salvezza si realizza, Dio rivela la sua bontà, la sua misericordia e la sua gloria.

È quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura, dove S. Paolo esprime il progetto di salvezza di Dio: egli vuole che noi diventiamo santi e immacolati, suoi figli adottivi in Gesù Cristo, che impariamo a conoscere il mistero della sua volontà e, infine, che la nostra vita venga ricapitolata in Cristo, ossia che tutta la nostra vita, i nostri pensieri e desideri somiglino a Gesù Cristo e siano a lui sottomessi:

che noi abbiamo Cristo come nostro capo e riferimento essenziale della nostra vita. E proprio questo che chiediamo al Signore con umiltà, ripetendo semplicemente: Padre, sia fatta la tua volontà.

L'importante è dare a questa invocazione il senso che dicevamo. senza intenderla come una rassegnazione. Dire, cioè, al Signore:

Padre, io desidero e voglio che la tua volontà sia fatta e non genericamente, ma in concreto nella mia vita. Che questa mia vita, Padre, entri nel tuo progetto di salvezza. E’ questa una preghiera molto semplice, che possiamo ripetere come faceva il Signore: Padre, sia fatta la tua volontà.

Un secondo modo molto semplice di pregare è prendere il brano della lettera di S. Paolo agli Efesini e trasformarlo in preghiera. L'inizio dell'inno di S. Paolo - "Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo" - può essere mutato in: Benedetto sei tu, Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, e continuare a pregare con le stesse parole di S. Paolo, rivolgendoci però a Dio con il tu, segno del nostro atteggiamento filiale e del nostro desiderio di restituire al Signore la parola che lui ci ha donato attraverso S. Paolo.

Possiamo, inoltre, pregare seguendo lo schema che il Signore ci ha insegnato: Abbà, Padre, e richiamare quanto abbiamo cercato di capire della paternità di Dio. "Tutto è possibile a te" vuol dire riconoscere questa potenza di Dio anche nei confronti della nostra vita. Dire poi i nostri desideri. "Allontana da me questo calice", per arrivare, però, a dire: "Non però quello che io voglio, ma quello che vuoi tu". Dire quindi al Signore: "Signore, cosa vuoi che io faccia?", come Paolo al momento della sua conversione (cfr At 9.5), chiedendogli che ci dia di amare la sua volontà e di desiderarla con tutto il nostro cuore.

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