II° INCONTRO DI PREGHIERA

"Padre nostro":

Il Padre ti invita a camminare

con i fratelli

 

San Giovanni nella sua prima lettera scrive: "Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente.!" (1 Gv 3,1).

Vogliamo accogliere lo stupore incancellabile della filiazione adottiva. Non siamo figli di nessuno, ma siamo conosciuti, amati e cercati da Dio. La nostra vita si può muovere su uno sfondo di fiducia e di rendimento di grazie al Signore.

Nello stesso tempo, però, se abbiamo un Padre, riconosciamo anche di avere una moltitudine di fratelli: coloro che vivono accanto a noi nella famiglia o nel lavoro e che devono essere vicino a noi anche nella preghiera. È questo, infatti, il progetto di Dio.

San Paolo dice che Egli ci ha chiamati "ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli" (Rm 8,29). Primogenito in una moltitudine di fratelli chiamati a vivere insieme tra loro e con lui.

In questo secondo momento vogliamo prendere coscienza di questa dimensione della nostra vita di fede, perché la preghiera sia più ricca e più vera, e corrisponda davvero alla vocazione e al dono ricevuto dal Signore

Letture Bibliche: Atti 1,12-14; Marco 1,32-39

Il Signore ci ha insegnato che la prima condizione di una preghiera autentica è metterci davanti a Dio in atteggiamento filiale, ossia con fiducia, abbandono gioioso, docilità verso Dio che riconosciamo come Padre. Insegnandoci a pregare, il Signore ha aggiunto alla parola "Padre" l'aggettivo "nostro": tutte le volte che pensiamo al volto di Dio vedendolo come un volto paterno siamo condotti immediatamente a riconoscere gli altri come nostri fratelli.

C'è un unico Figlio di Dio, Gesù Cristo. Se noi possiamo chiamarci figli di Dio è solo perché siamo innestati in Gesù Cristo, formando con lui un corpo solo (cfr Gal 3,26-28). Per questo non possiamo mai dire solo "Padre mio", ma sempre "Padre nostro". Egli è, per lo meno, Padre di me con Gesù Cristo, in Gesù Cristo: ed anche, perciò, Padre di me e di tutti coloro che sono una cosa sola in Gesù Cristo.

San Paolo scriveva ai Corinzi: "voi siete corpo di Cristo" (1 Cor 12,27). Quelle alcune persone che formavano la comunità di Corinto erano per lui il Corpo di Cristo, e cioè la presenza di Cristo in quel luogo concreto che era Corinto. Tutti loro costituivano un'unità, un corpo solo. La preghiera cristiana richiede la consapevolezza di andare a Dio con tutti i nostri fratelli e le letture ascoltate vogliono aiutarci in questo.

Il brano degli Atti degli Apostoli si colloca fra l'Ascensione e la Pentecoste, fra il distacco di Gesù e il dono dello Spirito. Prima di lasciarli, Gesù ha promesso ai suoi discepoli: "Avrete forza dallo Spirito santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra" (At 1,8), annunciando con queste parole un'avventura universale: i discepoli dovranno diventare in tutto il mondo testimoni dell'amore che hanno sperimentato non solo con le parole, ma portandolo anche nel profondo del proprio cuore.

Per questo motivo è stato loro promesso lo Spirito santo, che essi attendono pregando. Proprio perché sicuramente lo Spirito santo verrà, bisogna attenderlo nella preghiera. Quando preghiamo, infatti, rinnoviamo il nostro desiderio e, così, allarghiamo il cuore, disponendolo a ricevere il dono di Dio. È importante che lo Spirito non trovi cuori meschini, rattrappiti, chiusi in se stessi, ma aperti, desiderosi di accoglierlo.

Racconta dunque Luca che la preghiera viene fatta da tutti i discepoli riuniti in una casa: dagli undici, da Maria, da alcune donne, dai fratelli di Gesù. "Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera" (At 1,14), erano, cioè, costanti nella preghiera, che veniva vissuta non individualisticamente, ma insieme.

Credo che in questa scena possiamo specchiarci, perché ciò che accade ogni volta che ci riuniamo nella preghiera, non è molto diverso da quanto accadeva nel Cenacolo: siamo in molti davanti al Signore, ciascuno con il suo volto e il suo nome, ossia ciascuno con la sua vita, il suo passato, la sua vicenda umana. Ognuno è davanti al Signore così, senza nascondere nulla e mantenendo la propria individualità. Ciascuno di noi è prezioso proprio perché ha un'identità, una vocazione. Dicendo "Padre nostro" ciascuno di noi mette in quell'aggettivo una sua ricchezza, cioè i colori del suo animo, della sua preghiera, della sua esperienza.

Succede lo stesso tutte le volte che celebriamo l'Eucaristia, quando mescoliamo la nostra voce a quella degli altri. Tutti sono davanti al Signore nello stesso atteggiamento di figli, riconoscendosi come fratelli. Avviene così quanto abbiamo pregato nel salmo: "Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme" (Sal 133,1). Vi sono usate due immagini per esprimere la gioia dello stare insieme: "È come olio profumato sul capo" (v. 2). E’ l'olio della gioia, dell'esultanza che rende luminoso il volto e robusto il corpo. "È come rugiada dell'Ermon, che scende sui monti di Sion" (v.3), immagine, questa, di vita e di fecondità, perché solo là, dove la gente è insieme per costruire la fraternità, il Signore "dona la benedizione", cioè la ricchezza della vita.

Gli Apostoli non avrebbero potuto ricevere lo Spirito santo ciascuno per proprio conto, perché è lo Spirito della comunione e dell'amore e deve necessariamente essere accolto insieme. Parimenti noi non possiamo ricevere il dono della vita del Signore separati gli uni dagli altri, perché essa è vita di comunione e di fraternità.

Per questo ci poniamo davanti al Signore a pregare: Ti preghiamo, Signore, facci sentire la gioia di essere insieme, davanti a Te.

Fa' che la preghiera comune consacri, come olio profumato, le nostre vite che talvolta sono insipide.

Fa' che la preghiera sia come rugiada che porta freschezza e fecondità nei nostri cuori quando sono aridi.

Donaci, Signore, la benedizione del tuo Spirito e del tuo amore.

Il Vangelo ci presenta la preghiera di Gesù nella solitudine. Ci sono solo lui e il Padre, in un'intimità completa, nella gioia della comunione. Apparentemente non ci sono, ora, gli altri fratelli, che pure erano con Gesù poco prima: "Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demoni (Mc 1,32-33). Non respinge nessun malato: tutti vengono accolti da Gesù senza nessuna esclusione. San Marco mette in evidenza la presenza di tutta la città davanti a Gesù, che opera a favore dei malati. Scena veramente stupenda, che suscita entusiasmo e anche desiderio di imitazione, perché è bello spendere la propria vita per sollevare le sofferenze degli altri, per trasmettere un po' di gioia.

Non è forse questa la vocazione cristiana? Dice Isaia: "Sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?" (Is 58,6-7). Non è proprio questo amore efficace, concreto, che si esprime in gesti, la vocazione cristiana? Certamente sì.

Eppure, Gesù non sta soltanto in mezzo alla folla e non spende lì tutto il suo tempo. "Al mattino si alzò quando era ancora buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava" (Mc 1,35). Perché allontanarsi dagli altri? È una diserzione, un rifiuto degli altri?

No. È, piuttosto, la condizione perché Gesù possa stare in modo autentico in mezzo agli altri. La vita dell'uomo è fatta di ritmi, e cioè di azioni diverse che si sostengono a vicenda: vi è il ritmo del sonno e della veglia, quello del riposo e del lavoro. Così è anche per la vita cristiana: c'è il momento dello stare davanti al Signore nella preghiera e quello dello stare in mezzo agli altri nella carità. Ebbene, sembra che questa presenza con gli altri possa realizzarsi nel modo giusto soltanto se si è stati davanti a Dio nella preghiera.

Gesù ha potuto sanare, curare, amare e perdonare, perché Dio era con lui. Dice S. Luca: "E passato facendo del bene e sanando tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui" (At 10,38). Quando Gesù ritorna alla preghiera, riallaccia il rapporto con il Padre, ritrova la gioia della comunione con lui, ricupera il desiderio e la forza di essere in mezzo agli uomini con un'energia grande di amore e di perdono.

Come esce Gesù da quella preghiera? "Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce e, trovatolo, gli dissero: "Tutti ti cercano!". Egli disse loro: "Andiamo altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto". E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni" (Mc 1,36-38). Simone parla a Gesù del successo che egli ha riscosso e lo esorta a ritornare tra la folla, per godere del successo. È proprio lì che la preghiera di Gesù si rivela vincente.

La vanità, il desiderio di successo, tenderebbe a ripiegarci indietro per sfruttare il successo ottenuto: l'amore spinge Gesù avanti, incontro ad altri uomini, per dilatare il suo amore e il suo servizio. La preghiera ci rimanda in mezzo alla gente, ma con un cuore libero dall'egoismo, dalla volontà di apparire, dal successo.

Una delle critiche che viene spesso fatta alla preghiera è di essere un'alienazione, un sottrarsi alla responsabilità della vita, un rifugiarsi in un luogo tranquillo e privo di tensioni. Certo, a noi è possibile rovinare anche le cose più belle: può accadere che la nostra preghiera abbia talora questo aspetto di alienazione, ma la preghiera autentica non è questo. Essa è nella vita, nelle attività, nelle persone come un respiro che ci permette di vivere, di amare e di servire. Ci fa andare in mezzo alla gente, tra le attività, ma con un animo libero.

Poniamoci dunque davanti al brano del vangelo che abbiamo ascoltato e facciamo nostra la preghiera del Signore: Padre nostro, insegnaci a pregare, a comprendere che quando incontriamo Te non dimentichiamo gli altri, ma troviamo in Te la forza di andare verso gli altri senza paure e senza egoismi nascosti, senza ricercare il nostro interesse. Donaci di comprendere che tu sei davvero nostro Padre, perché possiamo ricordarci sempre che gli altri sono davvero nostri fratelli.

A questo punto abbiamo il momento del silenzio che deve essere riempito dalla nostra preghiera personale. Tocca a noi lodare e supplicare il Signore.

Possiamo lodare Dio perché ci è Padre, perché ci ha donato dei fratelli: bisognerebbe ringraziarlo per le persone concrete che abbiamo intorno, per le persone della nostra famiglia o della nostra comunità parrocchiale. Sono quel sostegno e quel segno che il Signore ci ha donato e pregare vuol dire anche rendere grazie per loro.

Supplichiamo anche il Signore perché ci dia un cuore di figli suoi e di fratelli nei confronti degli altri: perché sciolga le nostre paure, vinca la nostra tendenza a dividere gli uomini in amici e nemici, e ci aiuti a saper vedere in ciascuno il volto di Gesù e, quindi, un volto fraterno.

Che il Signore ci faccia vivere in comunione con gli altri senza egoismi?

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