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Parrocchia san Pio V e s. Maria di Calvairate
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14 aprile 2007

Davide.it


Martedì
La tomba di san Pietro

Nel 64 dopo Cristo Roma fu colpita da un disastroso incendio. Non era la prima volta che Roma era colpita da un incendio. Bisogna anzi dire che erano frequenti, sia per l’uso quotidiano delle lampade ad olio, sia per la stretta vicinanza degli edifici che formavano un dedalo di vicoli, sia per l’abbondante uso del legno per costruirli. Ma questo incendio fu di proporzioni enormi. Si sparse la voce che era stato lo stesso Nerone a provocarlo: qualcuno diceva di aver visto i suoi domestici appiccare il fuoco. Ma Nerone riversò la colpa sui cristiani, dicendo che erano loro gli incendiari, e che per questo grave delitto andavano puniti. E così avvenne. Per molti mesi si scatenò una vera caccia ai cristiani. Le conseguenze furono drammatiche. Molti cristiani furono arrestati e condannati a morte. Molte esecuzioni, a quel tempo, avvenivano proprio nei circhi, come nel circo privato di Nerone, ma non nel Colosseo, come solitamente si pensa, perché ancora non esisteva. Erano esecuzioni cruente.


il circo di Gaio o di Nerone

Durante le persecuzioni di Nerone si calcola che molte decine di cristiani furono uccisi nel suo circo privato che 2000 anni fa era stato edificato proprio in corrispondenza dell’area dove oggi sorge la Basilica (in proposito vedi scheda-link sulla Basilica di S. Pietro) o crocifissi nelle immediate vicinanze. Fu proprio nel corso di questi eccidi che ebbe luogo la crocifissione dell’Apostolo Pietro: a testa in giù, come lui stesso avrebbe chiesto, non ritenendosi degno di subire lo stesso supplizio di Gesù. Erano passati oltre 30 anni dalla morte del Cristo e secondo certi calcoli Pietro a quell’epoca doveva avere tra i 60 e i 70 anni: il martirio della croce pose fine anche alla sua vita. 

Di solito i corpi dei suppliziati erano restituiti alle famiglie. E forse le spoglie di Pietro furono recuperate da un piccolo gruppo di cristiani che con il favore della notte lo seppellì, probabilmente non lontano dal luogo del suo martirio. La tomba a quei tempi era molto semplice. Una fossa nella nuda terra accoglie i resti mortali dell’Apostolo. Dopo averla ricoperta forse, la sepoltura, in un prima sistemazione, viene contrassegnata da grandi tegole sistemate come il tetto di una capanna. Un modo probabilmente per riconoscere un punto che, nei millenni, diventerà sacro per l’intera comunità cristiana. Scavi archeologici sembrano confermare questa ipotesi. Poco distante dal circo di Nerone passava infatti una via consolare, la via Cornelia che portava in Etruria. E le necropoli si trovavano lungo le vie consolari. 



L’Apostolo Pietro dunque venne probabilmente sepolto nella necropoli della via Cornelia. S. Pietro quindi è stato sepolto qui? Secondo la tradizione infatti i costruttori della Basilica collocarono l’altare in quel punto proprio perché si sarebbe così venuto a trovare esattamente sopra la tomba di San Pietro: un piccolo monumento che è il cuore dell’intera basilica di San Pietro. In base alla ricostruzione fatta dagli archeologi, ecco come doveva apparire. Doveva essere una piccola edicola, molto semplice, con due colonnine, una lastra di marmo e una nicchia scavata nel muro intonacato di rosso cui era appoggiata. A livello della terra, un’altra lastra, come il chiusino di una tomba. Ma era la tomba di San Pietro? In realtà, San Pietro venne probabilmente sepolto nella terra nuda tra il 64 e il 67 d.C. Questa edicola, invece, sarebbe stata eretta sopra la tomba molto più tardi, nel 160 d.C. circa, cioè addirittura quasi 100 anni dopo, in rimembranza del suo sacrificio. E’ possibile che la memoria precisa del sito abbia potuto essere tramandata da una generazione all’altra per un tempo così lungo? C’è un fattore importante che si tende spesso a dimenticare: la forza della tradizione orale, assai diffusa in passato, che in casi come questi poteva essere molto efficace. Gli scavi dunque hanno riportato alla luce una serie di ritrovamenti che mostrano un lunga continuità nella venerazione di questo luogo situato proprio sotto l’altare della Basilica. Una sequenza di altari, monumenti ed edicole che coprono quasi 2000 anni di storia.

PETROS ENI - Petros enì

Siamo ancora qui in san Pietro, per accostarci e meditare sul nucleo di questa chiesa. E della Chiesa. Già dall'ingresso siamo attirati verso un punto cruciale: il baldacchino costruito da Bernini nel 1626, immenso (è alto quasi trenta metri) non chiude lo spazio, ma incornicia alcuni oggetti densi di significato: la cattedra di Pietro, portata in trionfo dalle statue dei dottori della Chiesa a sottolineare il ruolo di guida e di maestro che aveva il pontefice (nella foto vedi il sedile antico inserito di solito nella scultura barocca e quindi non visibile) e l'altare della confessione, sul quale ora ci soffermeremo.


 Secondo una tradizione antichissima sotto questo altare dovrebbe esserci la tomba di Pietro, vicina al luogo del suo martirio. Come racconta lo storico Tacito, Nerone, dopo un furioso incendio che distrusse buona parte della città ne fece ricadere la colpa sui cristiani scatenando contro di essi una feroce persecuzione.
Fu durante questa persecuzione che, nell'anno 64, Pietro subì il martirio per crocifissione proprio nel circo di Nerone che sorgeva sul colle Vaticano Il suo corpo fu sepolto in un cimitero vicino al luogo del martirio e sulla sua tomba, divenuta subito oggetto di venerazione, i cristiani innalzarono, nel II secolo, una edicola (il cosiddetto 'trofeo di Gaio' dal nome del presbitero che la ricorda con fierezza, insieme al trofeo di San Paolo lungo la via Ostiense, come segno della autorevolezza della chiesa di Roma ) .
Intorno al 1940 sono stati effettuati degli scavi archeologici attorno alla zona dell'altare, che hanno confermato la validità dei dati riportati dagli storici e dalla tradizione cristiana. Sotto il pavimento dell'attuale basilica è stata portata alla luce una necropoli in parte pagana dove, attorno ad un viale principale, si raccolgono tombe di famiglie illustri ed altre poverissime. Nella zona ovest della necropoli, proprio sotto l'attuale altare, nel campo chiamato 'P' dagli archeologi, fu rinvenuto un muro, chiamato 'muro rosso' perchè ricoperto da un intonaco di questo colore, che difendeva una povera tomba interrata. Sopra di essa ed addossata al muro rosso c'era una edicola a due piani, che gli studiosi riconobbero come il 'Trofeo di Gaio'
 Queste parti, insieme ad un muro ricoperto di graffiti chiamato 'muro G' erano stati inglobati all'interno della basilica costantiniana in un prezioso rivestimento marmoreo. I resti delle mura della basilica eretta al tempo di Costantino, esistenti accanto all'edicola, rendevano certi che si trovava al centro dell'abside della chiesa antica. Tutto insomma faceva pensare che si fosse in presenza della tomba dell'apostolo, tanto è vero che ogni successiva modifica di questa zona della chiesa ruotò attorno a questo centro vitale. Ad esempio, alla fine del VI secolo papa Gregorio Magno modificò l'assetto dell'area, rialzando il pavimento e costruendo l'altare intorno alla parte alta della sistemazione costantiniana, perchè il sacerdote potesse celebrare proprio sulla tomba dell'apostolo. Nel Medioevo Callisto II (1119-1124) sovrappose all'altare di Gregorio Magno un nuovo altare che lo includeva. Infine nel 1594, durante i lunghi lavori che portarono alla scomparsa della basilica costantiniana ed alla costruzione di quella odierna, Clemente VIII innalzò l'altare attuale, esattamente dove erano situati gli altari precedenti. Questa successione di costruzioni trova il suo culmine nel baldacchino bronzeo, che riprende fra l'altro, nel motivo delle colonne tortili, la decorazione del monumento di Costantino.
 La tomba sopra la quale si innalzava il trofeo di Gaio era però vuota, senza segni di riconoscimento, e questo lasciava aperto il dubbio che la tradizione non fosse del tutto degna di fede. Invece l'archeologia - seria! - e l'epigrafia fornirono le armi per dimostrare o almeno cercare la verità. Fondamentale fu la corretta interpretazione di un loculo rivestito all’interno di marmo, a nord della sepoltura primitiva, di epoca costantiniana (inizio del IV secolo) che l'Imperatore aveva fatto scavare all'interno di un muro già esistente (il cosiddetto muro "G"), dove si trovarono, avvolte in prezioso tessuto di porpora e d'oro, le ossa di un uomo di bassa statura (orientale?) di circa 70 anni affetto da artrite reumatoide (tipica malattia professionale dei pescatori) risalenti all’epoca di Cristo. La parete nord del Muro "G", era ricoperta di graffiti col nome di Cristo, di Maria e di Pietro, ma gli archeologi non vi fecero gran conto. Di enorme importanza fu invece il ritrovamento di un graffito di sette lettere greche (ricordiamo che il greco era allora la seconda lingua dell'impero), inciso sul "Muro rosso" nella zona di esso alla quale veniva ad appoggiarsi il lato Nord del muro "G". In tal modo il graffito veniva a trovarsi all'interno del Loculo, come risulta dal suo perfetto adattamento alla lacuna rimasta nell'intonaco del "Muro rosso".

Perché è tanto importante?
La presenza delle ossa di Pietro a Roma non solo è importante, è addirittura fondamentale. Nel corso dei secoli a più riprese - spesso per questioni di potere temporale e dottrinale - fu messa in discussione l’autorevolezza del Vescovo di Roma. Questo vescovo infatti, a differenza degli altri vescovi nel mondo si è sempre arrogato il diritto di avere “l’ultima parola” in campo dottrinale e giurisdizionale nella Chiesa. Egli vantava questo “diritto petrino” sulla scorta della “traditio” mai interrotta; cioè che il suo personale ministero deriva direttamente da quello che Gesù diede a Pietro: “Disse loro Gesù: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»” [Mt 16,15ss]. Già, ma se Pietro non fosse mai arrivato a Roma? Se fosse tutto solo una leggenda? Se questo diritto se lo fosse arbitrariamente attribuito un vescovo pari degli altri? Chi sarebbe il vero erede di Pietro allora? A tutte queste domande bisogna dare una risposta altrimenti anche il sacerdozio di un qualunque prete cattolico da chi deriva da Gesù -> Pietro -> ... via via fino a lui, oppure da uno degli altri apostoli? Inoltre quando l’apostolo Paolo scrive alla comunità di Roma (lettera ai romani) si capisce benissimo che non è una comunità fondata da lui, ma da chi allora? da Pietro? E non basta! Paolo si è più volte rifatto all’unica dottrina valida: quella di Pietro (v. concilio di Gerusalemme) - dissentendo magari - ma sempre rimettendosi alla sua ultima decisione. Quindi qual è la chiesa di successione petrina?
Ecco che il ritrovamento delle ossa di Pietro esattamente lì (o quasi!!!!) dove si credeva che fossero, chiude ogni possibile diatriba: Pietro è qui. La comunità cristiana romana è l’unica erede della successione apostolica.
Ora questo non va inteso in senso di potere sulle altre chiese come per decidere chi comanda: il potere petrino derivando da quello di Gesù, è potere di essere come Gesù: in ginocchio a servire. Pietro, vescovo di Roma così come il suo successore odierno, così come tutti i preti ordinati nella Chiesa cattolica, sono tutti servi dei servi in Cristo, quindi al servizio del Vangelo e della Verità che esso ci consegna.
Siamo allora commossi e fieri che le ossa di Pietro riposino lì, ed ogni volta che andiamo Roma, scendiamo 2000 anni di gradini di storia e inginocchiamoci al primo servo dei servi e con lui diciamo a Gesù: “Signore tu sai tutto, tu sai che ti amo!”.