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Madre Ida è Madre Ida

Le mani scarne, le dita affusolate; sotto la pelle solo le vene e le chiare sagome della ossa.
 

 

Nonostante la tarda età, quelle mani riuscivano ancora a dominare la tastiera dell'armonium della Matrice e, a volte, era proprio quest'ultimo a mostrare i segni dei suoi tanti anni.
Madre Ida è la musica, il canto, la gioia, l'allegria, è la vita vissuta per gli altri, il regalo di un sorriso sempre e comunque, è la capacità di commuoversi per le cose semplici

Madre Ida è la poesia delle parole di conforto nel momento del bisogno, è l'umiltà di una giacca di lana grigia logorata dal tempo e mai voluta sostituire: per non sprecare nulla di ciò che poteva essere donato a chi ne aveva più bisogno!
Nata a Valbreghentino (Corno) 84 anni fa, dal 1973 ha prestato la sua opera tra le comunità parrocchiali di Marettimo, prima, e Favignana, poi, vivendo intensamente la sua missione. 
La nostra gente è la sua gente! Il nostro mare, il nostro sole, la nostra aria, sono stati e sono parte di Lei! Non sforziamoci nel ricercare un aggettivo che possa definire Madre Ida. Non esiste!... 
Madre Ida è Madre Ida!  Noi che la conosciamo, di volta in volta, la identifichiamo con la bontà, la generosità, la sobrietà, la fantasia, la cordialità, la disponibilità, con la stravaganza di chi risolve i crucci della vita con un'alzata di spalle..."tanto ci pensa Lui"!
Mi fermo a rileggere quanto ho fin qui scritto. I brani sono un po' al presente ed un po' al passato (pessimo esercizio di italiano). 
Ma Madre Ida, che ci ha lasciati qualche settimana fa senza salutare nessuno, assieme a Madre Maria Beninato benemerita assistente dell'Oratorio alla quale va la nostra riconoscente preghiera... Madre Ida che ha bisogno di curarsi... Madre Ida che ha nel cuore e nella mente la nostra Isola e la sua gente, Madre Ida fa parte ormai del nostro passato o è ancora nel nostro presente?
"...da questo Mi riconoscerai: dal bene che avrai fatto ad uno di questi miei fratelli più piccoli"! 

 

Lucio Antinoro 

  

UN MUSICAL PER TUTTI

Tutto cominciò a febbraio di quest'anno, quando Madre Imelda mi invitò a mettere su un piccolo gruppo teatrale per dare vita ad un "musical". 
A chi mi avesse chiesto in quel momento di chiudere gli occhi e di immaginare quale sarebbe stato il futuro di quella "compagnia teatrale", sicuramente avrei risposto che non vedevo niente di particolare se non soltanto un gruppetto parrocchiale che cantava canzoni religiose. 
Ma più il tempo passava, più il "musical" prendeva corpo, il gruppo cresceva e il loro entusiasmo mi invogliava ha fare sempre più e sempre meglio. Nasceva così quel "musical" che tutti i Favignanesi conoscono con il titolo di "Forza venite gente". 
Il 17 maggio arriva il fatidico giorno della prima rappresentazione: lì nella raccolta atmosfera del cortile di S.Anna, tutto era pronto: palco, luci, sedie. 
Era il giorno che tutti aspettavamo e nel quale avremmo fatto vedere ai favignanesi quello che i loro figlioli erano riusciti a realizzare in poco più di due mesi. 
Mai avrei potuto pensare ad un tale successo e, alla fine di quel musical così artigianale e così pieno di imperfezioni, frastornato dai forti e continui applausi, ho pianto, sì ho pianto, e non mi vergogno a dirlo, per la grande gioia e la grande emozione che stavo provando. 
Solo qualche giorno dopo mi sono reso conto che ci trovavamo in una realtà più grande di noi. 
Partiva da lì la nostra grande avventura, cominciava la serie di appuntamenti che ci ha visti, già una settimana dopo, nell'atrio delle Scuole Elementari a riproporre il nostro "musical". 
Il 27 luglio ancora a Favignana, ci ritroviamo, noi piccoli attori, al centro della Piazza Madrice sopra un enorme palco come delle star. 

Il 29 luglio è la volta di Marettimo, mentre il 20 ottobre il "musical" viene rappresentato all'interno delle grosse mura di cemento della Casa di Reclusione di Favignana e noi siamo lì, alla presenza di 94 detenuti, del Direttore Generale delle carceri e di una folta schiera di agenti di polizia penitenziaria. Ricordare quel giorno mi fa venire "la pelle d'oca" e mentre sto scrivendo riesco a provare le stesse indescrivibili emozioni che ho provato quel giorno. 
 

 

All'inizio mi chiedevo cosa ci facevo io lì, cosa avrei potuto dare a quei poveri sfortunati, ma poi mi sono dovuto ricredere. Più andava avanti lo spettacolo, più il loro entusiasmo cresceva fino a sfociare nell'ultima canzone, il "Laudato sii", quando tutti si sono alzati dalle loro sedie e hanno cominciato a battere ritmicamente le mani e a cantare il ritornello insieme a noi.  Sono passato tra di loro, ho stretto loro la mano, ma quella stretta era diversa dalle altre, mi faceva raggelare il sangue nelle vene, riusciva a sussurrarmi tante frasi pur essendo solo un gesto ma che, sono sicuro, mi diceva anche grazie.  "Grazie" lo dico io a voi, cari amici, perché noi siamo riusciti a darvi solo un'ora e mezzo di puro divertimento, voi invece ci avete dato una "lezione di vita".  Quando siamo usciti fuori da quel luogo, ci siamo guardati con gli occhi lucidi e ci siamo ripromessi che saremmo tornati con una nuova rappresentazione e, la promessa è stata mantenuta.

 

Salvo Di Stefano

Un compito in classe da 10 e lode

ESSERI UMANI: TUTTI UGUALI,
TUTTI PERSONE
 

La vita, dall'ovulo fecondato fino all'ultimo respiro di un vegliardo, è sacra e, come tale, va protetta e custodita gelosamente. 
Tutte le forme di vita, dall'embrione al neonato, dal sieropositivo al portatore di handicap, possiedono una propria dignità. 
Razzismo è qualsiasi comportamento atto a ledere questa dignità. 
Chi pone i propri interessi al di sopra di tutta l'umanità è razzista. Ma chi è senza colpa? La vita di ognuno presenta episodi, più o meno confessabili, che denotano il nostro razzismo, tanto peggiore quanto più è giustificato da falsi pretesti. 
Spesso basiamo le nostre valutazioni su una immagine sbagliata del razzismo. Siamo pronti a condannare episodi di intolleranza accaduti chissà ove, unendo la nostra repulsione al verdetto di massa. Il razzismo, però, è anche un moto dell'animo molto più vicino a noi. Perché, allora, invece di condannare quelle persone lontane, non biasimiamo noi stessi, riconoscendoci colpevoli e restituendo la dignità all'offeso? 
Non considero il razzismo componente di una società moderna, anzi lo sento come un ritorno al passato, all'epoca della schiavitù, dell'eliminazione di bambini handicappati o di figli non desiderati. 

Una società evoluta, spiritualizzata e tollerante è quella che tutela la dignità di qualsiasi persona, e si sforza di migliorare la condizione dei diseredati, facendo leva sulle qualità positive di ognuno.
A realizzare questo tipo di società siamo chiamati e per questo dobbiamo lottare non solo contro l'indifferenza degli altri, ma prima di tutto contro il nostro egoismo. La lotta contro il razzismo non deve essere una condanna contro gli indifferenti, bensì una ricerca nel nostro io per scoprire le nostre debolezze e correggerle. Deve essere un esame del nostro comportamento per convincerci che tutti hanno diritto ad essere considerati uomini con dei doveri, ma soprattutto con dei diritti. Solo riconoscendo tutti quanti l'importanza di questa verità: "tutti uguali, tutti persone", potrà verificarsi un salto di qualità nella vita di ognuno. 
Rendersi conto che l'embrione è uomo a tutti gli effetti, con gli stessi miei diritti; guardare un anziano cadente come chi ha speso la vita per me ed ora cerca solo un po' di tranquillità; vedere nel sieropositivo e nell'handicappato dei fratelli che sono meno fortunati di me e hanno bisogno di amore più che di pietà è raggiungere e realizzare una società giusta. 
Se si intuissero queste cose, la vita avrebbe una dimensione diversa, più umana. 
Non dobbiamo però aspettare che inizino gli altri: il cambiamento deve cominciare da noi. 

 

A. - III Superiore