home page  |      step prevnext      | index  | current  |      page prev | next

SOLENNE COMMEMORAZIONE DEL 25° DI PRESENZA 
CANOSSIANA A FAVIGNANA

(Padre Modesto Giacon)

C'è un libro che ha fatto molto fortuna nel Medio Evo: l'ha avuto sotto gli occhi il nostro Dante quando pensava la Divina Commedia; l'aveva tra le carte di bordo Cristoforo Colombo, quando andava con le tre caravelle a scoprire l'America. E' stato letto, riletto, tradotto in molte lingue, anche nel dialetto veneto (e noi canossiani siamo nati a Venezia). Non sono a conoscenza se sia stato tradotto in siciliano.
Si chiama "Vita e navigatio Sancti Brentani". 
Vi sono dentro molte leggende sui monaci irlandesi del V e VI secolo, ma soprattutto v'è dentro uno spirito missionario fatto di ardore, di ingenuità e illimitata fiducia in Dio. Quegli irlandesi neanche sono battezzati, che già vogliono diventare monaci, che già chiedono di andare a conquistare anime a Cristo. E vanno. Alcuni si mettono in barca e appena al largo,lambiti da una corrente marina, gettano i remi e dicono: "Signore, adesso siamo in tua balia, portaci dove piace a Te". In mezzo al mare vedono spuntare una specie di scoglio; vi puntano la barca, rizzano l'altare, celebrano la Messa. Lo scoglio si rivela schiena di balena e si mette in viaggio. E ci sono tante altre belle storielle come questa. 
Perché vi racconto queste cose? Perché qualche tempo fa, quando Padre Damiano mi ha chiesto di scendere a Favignana per commemorare insieme il 25º di presenza pastorale dei Canossiani in questo piccolo arcipelago non ho potuto non ricordare il primo, avventuroso approdo nell'isola con il Vescovo Mons. Ricceri e i miei tre confratelli: Padre Guido, Padre Ferdinando e Fra Pietro. Qualcuno dei presenti lo ricorda senz'altro come me. 
Ma, come i monaci irlandesi, anche i nostri religiosi, affrontando peripezie e disagi, si misero subito al lavoro, con lena e generosità, soprattutto tra i ragazzi e i giovani. Non furono facili gli inizi. L'ambientazione per qualcuno fu addirittura drammatica. Le opere di Dio fioriscono e si sviluppano sempre tra difficoltà, inquietudini e tensioni. 
Non è mio compito rievocare la cronaca di un passato abbastanza recente - 25 anni non fanno storia - né ripresentare le persone che entrarono come protagoniste in sì breve arco di tempo, né richiamare le realizzazioni e i traguardi raggiunti con impegno e tenacia in questi cinque lustri. Essi sono conservati nella memoria di questa comunità, nella legittima soddisfazione di quanti hanno lavorato e faticato, nella certezza di una ricompensa non peritura da parte di Chi non lascia senza premio i suoi servi buoni e fedeli. 
Vorrei, invece, sottolineare lo spirito che spinse i canossiani ad accettare l'invito di Mons. Ricceri, 25 anni or sono, di assumersi la cura pastorale di Favignana e di Levanzo. Quello stesso spirito che li persuade ancor oggi a rimanere quaggiù. Come tutti ne siete fermamente persuasi, non li ha spinti la sete di guadagno, né la bramosia di gloria, né fantasia di piacere. Queste finalità le avrebbero potute realizzare in ambienti ben diversi! 
Ma unicamente fedeli allo spirito della loro Fondatrice, la marchesa Maddalena di Canossa, fattasi serva dei poveri, essi sono venuti per darsi all'apostolato e all'attività pastorale, privilegiando le categorie più umili, le fasce più giovani, le popolazioni più emarginate. 
E per svolgere simile missione, ad imitazione della loro Madre, essi si impegnano a difendere per sé stessi e per la loro comunità il primato insostituibile della preghiera. 
Persuasi profondamente dell'infallibile parola di Cristo - "verbo di Dio mai si cancella", canta il poeta - che "senza di Lui niente possono gli apostoli", si sforzano di dare il primo posto quotidianamente alla componente essenziale del loro apostolato, la grazia e la preghiera. L'orazione garantisce la loro unione con Dio, ad imitazione di Cristo, l'Apostolo del Padre, che prima di essere "l'uomo tutto per gli altri" è stato "l'uomo tutto per Dio". 
Con Lui dialogava notte intere sul monte, a Lui rivolgeva continuamente il suo sguardo fiducioso, per lui altra volontà non esisteva che quella del Padre. 
L'apostolo canossiano è attento prima di tutto a Dio: "Dio solo - diceva Maddalena di Canossa - ma solo, solo...". 
Quel Dio, però, che è vivo e presente anche nelle "icone" trasparenti e leggibili che sono i piccoli e i poveri: "Qualunque cosa farete ad uno di questi miei fratelli più piccoli, la fate a me", proclama il Signore. L'attenzione ai fanciulli, il servizio ai bisognosi è il campo privilegiato dell'apostolato canossiano. Che è, anzitutto, attività catechistica. La marchesa di Canossa con insistenza ripeteva: "Gesù non è amato perché non è conosciuto". Dappertutto i Canossiani si impegnano fortemente nell'insegnamento del catechismo. 
Il nostro fratello Padre Giovanni, di cui si sta lavorando per la causa di beatificazione, è stato chiamato da un suo allievo vescovo: "servo del catechismo". I Canossiani sono convinti che l'istruzione religiosa è indispensabile e fondamentale per la vita cristiana. 
Non si può amare chi non si conosce. Non c'è amor di Dio in chi non conosce Dio. 
Non è possibile affezionarsi a Cristo e servirlo se non lo si conosce. La vita cristiana - si chiama appunto così - perché ha a fondamento la conoscenza dell'esistenza, dell'insegnamento, dell'opera di Cristo. 
Non può esserci vita cristiana là dove, come oggi in tante parti, c'è un'ignoranza invincibile o una mescolanza ibrida di errori e di frenesie su Gesù e il suo Vangelo.

 

Un altro aspetto caratteristico del carisma canossiano è la cura e la predilezione per i ragazzi e i giovani, specialmente poveri, da formare, educare, guidare, soprattutto con la fraterna amicizia avviata nell'Oratorio quotidiano.
Quello è la palestra di una sicura e garantita crescita cristiana. L'assistenza dell'educatore, ricca di "cordialità, soavità, allegria", come chiedeva Maddalena di Canossa, crea il clima più adatto allo sviluppo di una personalità matura, libera e sicura. Non è sufficiente un terreno fertile per la crescita di una pianta, né basta che il seme sepolto nel terreno sia buona. 


Saluto delle Autorità

 

Se il clima non è adatto, non si potranno cogliere né fiori né frutti. Le piantine saranno bruciate nel nascere. Come è irrespirabile il clima sociale, e spesso anche familiare, per i giovani virgulti che crescono nel mondo e nella chiesa! Di quale ambiente sano, di quale atmosfera pura hanno bisogno! Ecco l'importanza insostituibile dell'Oratorio! Per crearlo qui a Favignana quanti sacrifici, anche finanziari, i nostri Padri hanno sostenuto, nella convinzione della sua fondamentale utile pedagogica! Con il catechismo e nell'Oratorio si formano i cristiani maturi, le personalità robuste, gli uomini convinti ed istruiti. 
A conclusione di questo 25º vorrei rivolgere alla popolazione di Favignana, e particolarmente ai giovani, un fraterno e caldo invito ad approfondire la loro conoscenza di Cristo e del suo Vangelo. Si persuadano che essere cristiani non è titolo di umiliazione e di vergogna, ma di dignità e di grandezza. 
Nella vita di Giosuè Carducci, il grande poeta e letterato del nostro Risorgimento, focoso anticlericale, ma onesto e sincero, che non tollerava quelli che chiamava i "pappagalli", quelle persone che ripetevano slogans antireligiosi per farsi belli davanti a lui, si legge questo episodio. 
Un giorno si trovava, come sempre del resto, nella libreria Zanichelli di Bologna a sfogliare gli ultimi libri. Entrò uno di quei pappagalli che, visto il maestro, cominciò a denigrare la chiesa e la fede religiosa. Il Carducci batté uno di quei pugni che erano famosi quando faceva sobbalzare la cattedra dell'università e: "Senti, giovanotto: quando giunse a Stresa la nuova della morte di Cavour, quel grande patriota che tanto lavorò per l'unità d'Italia, Antonio Rosmini, il nostro più acuto filosofo del XIX secolo, ne diede notizia subito a Niccolò Tommaseo e ad Alessandro Manzoni, suoi ospiti, aggiungendo che il giorno dopo avrebbe celebrato la Messa per il grande scomparso.  E la mattina seguente Antonio Rosmini celebrava la Messa, gliela serviva Niccolò Tommaseo e vi partecipa Alessandro Manzoni, che certo non erano tre imbecilli come lei". 
E di Louis Pasteur, che con la scoperta della vaccinazione salvò la vita a milioni di persone, si sa che s'era ritirato una sera, come faceva quasi quotidianamente, in una chiesa a Parigi. Lì, avvolto nella penombra, pregava devotamente in ginocchio. 
Entrò per caso un suo alunno, Federico Ozeaman, che, scorse nella semioscurità una persona immersa profondamente nella preghiera. 
In chiesa non metteva piede quasi mai. Neanche lui sapeva perché quella sera era entrato. Quell'uomo che pregava gli sembrò il suo celebre professore, conosciuto in tutto il mondo. Ma non riusciva ad individuarlo chiaramente. Aspettò che uscisse e poi lo seguì. Era proprio lui, il celebrato professore dell'Accademia francese, il grande Pasteur. "Professore - lo affrontò - mi dica: come mai lei così celebre e grande nel mondo, non si vergogna di inginocchiarsi in chiesa e di mettersi a pregare?". "Giovanotto, ricordati, mai mi sento tanto grande come quando mi metto in ginocchio davanti a Dio".  La scienza e la vera cultura non sono nemiche della fede: tutt'altro! La religione teme una cosa sola - lo diceva Tertulliano nel III secolo - l'ignoranza. 
Giovani di Favignana, più studierete Cristo, il suo Vangelo, il suo messaggio, più robusta e ricca sarà la vostra personalità, più matura e dinamica la vostra giovinezza. Non vergognatevi di Cristo. 
Sentite cosa scriveva di Lui il grande Dostoevskij: "...non c'è nulla di più bello, di più profondo, di più simpatico, di più ragionevole, di più virile e perfetto di Cristo". Egli vi insegnerà a spendere bene la vostra giovinezza, a donare generosamente la vostra vita. Sta qui il segreto dell'autentica gioia. 
Artur Graf, un nostro poeta non molto conosciuto, scriveva: "Il modo più sicuro per rendere piacevole la vita a noi medesimi e di renderla piacevole agli altri". E Ignazio Silone, il non dimenticato autore de "L'avventura di un povero cristiano", affermava: "Si ha solo quello che si dà". 
Concludo con tre versi del mistico indiano Tagore, scritti dopo aver ricevuto il premio Nobel della letteratura e li dedico ai giovani di Favignana: "Dormivo e sognavo che la vita fosse gioiosa; mi svegliai e vidi che la vita era servizio; servii e scoprii che il servizio era gioia".  Fede e carità, servizio e gioia, binomi inscindibili per una giovinezza matura, per una personalità solida e sicura che io auguro a tutti i giovani di Favignana.