LA SENTINELLA
Cari amici,
ho intitolato questo foglio LA SENTINELLA perchè la sentinella
è la figura che maggiormente vorrei che mi identificasse
come prete.
Ma chi è la sentinella?
La sentinella non è generalmente un personaggio famoso.
Famosi sono i capi, i grandi politici, gli attori, i grandi giocatori,
i grandi farabutti, i terroristi, ecc.
Le sentinelle invece non fanno notizia. E’ difficile che
la gente si fermi ogni tanto a pensare che c’è qualcuno
che notte e giorno veglia affinchè la vita della nazione,
dei nostri comuni e delle nostre case non sia turbata: che sia
difesa in caso di pericolo e che tutto funzioni bene nella vita
ordinaria di tutti i giorni.
Sentinelle sono i tanti uomini e donne addette ai grandi servizi
della nazione, nel campo sociale, sanitario, politico, ecc. Sentinella
è soprattutto una madre che veglia sulla vita della famiglia,
sta all’erta, ne cura con amore il funzionamento e ha il
grande compito di procurare serenità.
Sentinelle erano i profeti in mezzo al popolo di Israele: denunciavano
i pericoli e i peccati e annunciavano la speranza di un mondo
migliore e la conversione personale e di tutto il popolo per realizzare
questo mondo migliore. Sentinella è la Chiesa in mezzo
al mondo. Sentinella è il prete in mezzo alla sua gente.
Il prete, sentinella fra la sua gente.
Forse qualcuno neppure se ne accorge e qualche altro pensa anche
di poterne fare a meno. Ma un prete è sempre li, attento
alla serenità della sua gente, vigile e pronto
a dare l’allarme di fronte a un possibile
pericolo di cui spesso tra l’altro la gente neppure si rende
conto perchè i pericoli che il prete denuncia sono spesso
realtà che molti percepiscono e interpretano come progresso,
libertà, piacere, divertimento, e a volte il povero prete-sentinella
fa una grande fatica a farsi ascoltare. Spesso per questo viene
addirittura considerato una specie di gufo.
Qualcosa di simile avviene spesso anche per i genitori nei riguardi
dei figli: che fatica farsi ascoltare!!
Ma, come ho già detto, la sentinella non
si limita soltanto a dare l’allarme in caso di pericolo.
La sentinella ha anche il compito bellissimo di scrutare
l’orizzonte del mondo e della storia non solo
per vederne i pericoli, ma anche le speranze: la sentinella annuncia
la terra che appare in lontananza nel caso dei naviganti; annuncia
la scoperta di qualche nuova stella in cielo nel caso degli astronomi;
annuncia qualche nuova speranza di cura nel campo della medicina,
e annuncia ogni possibile luce di speranza e di certezza nel buio
della storia, che sembra solo dominata da violenza, guerra, solitudine
e disperazione.
E questa è la funzione più bella
di un prete: annunciare come dice anche il profeta Isaia “
cieli e terra nuovi “. Una speranza oltre la morte. L’alba
di un nuovo giorno dopo l’oscurità di una sofferenza,
di una malattia, di una solitudine, di un abbandono, di un tradimento,
di un rifiuto, di una sconfitta.
In altre parole, per chi è veramente cristiano e di queste
cose se ne intende, il prete con la sua parola, con le sue campane,
con la sua presenza annuncia la Pasqua, sempre, tutti i giorni
dell’anno e ovviamente in modo particolare il giorno stesso
della Pasqua, che anche per noi quest’anno di nuovo si sta
avvicinando. Il prete annuncia sempre la vittoria del Signore.
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Annunciare la pasqua:
compito del prete e del cristiano. |
Il prete annuncia sempre che Gesù
ha vinto il peccato e la morte.
Che siamo tutti riconciliati e veramente fratelli, al di là
delle divisioni politiche, sociali e quantaltro. Che l’impegno
per la giustizia, la verità, la libertà e il giusto
benessere sono un impegno comune: nessuno può essere felice
da solo. E il prete questo lo annuncia il giorno di Pasqua e l’annuncia
in ogni Messa che viene celebrata, perchè in ogni Messa
si celebra la Pasqua. Per questo la Messa è importante
e nessuno può dirsi cristiano se pensa che la Messa non
lo riguarda.
Il prete allora con la sua persona, con la sua
parola e con il suo sorriso annuncia sempre questo e solo questo:
Il Signore è risorto. Il Male è stato sconfitto.
Ma ogni cristiano, non solo il prete,
con la sua vita, la sua parola, il suo impegno annuncia la vittoria
del Cristo sul peccato e sulla morte.
Se la gente che ci vede non se ne accorge può essere colpa
del prete e di noi cristiani. Ma attenti! può essere anche
colpa di chi per preconcetti, per pregiudizi, per squilibri personali,
per rabbie, rancori, frustrazioni, delusione o per una cattiva
educazione non è capace di cogliere questo annuncio. E
questo mi rattrista soprattutto quando si tratta di giovani e
di giovani coppie, che dovrebbero essere più liberi nei
loro giudizi sia per la loro età sia perchè tutto
sommato è toccato loro un mondo da certi punti di vista
più comodo e migliore.
Per quanto riguarda me ovviamente, come prete,
dovrò cercare di migliorare sempre me stesso per essere
un cristiano serio e quindi un annunciatore veritiero e credibile
di questo grande messaggio. Ma ognuno di voi deve cercare di fare
altrettanto per riuscire a cogliere questo stesso messaggio senza
pregiudizi, senza arroganze, senza ripetere slogans vecchi e triti.
La Pasqua di quest’anno è un’altra
occasione in cui io dovrò mettercela tutta perchè
giunga a voi questo messaggio di speranza. Vorrete voi fare altrettanto
per accoglierlo e farlo vostro? Io ve lo auguro con tutto il cuore.
IL SIGNORE E’ RISORTO! NON ABBIATE PAURA!
Buona Pasqua
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POSSO
RACCONTARVI QUALCOSA DI ME?
(ovvero come conoscersi meglio
al di là delle apparenze, delle opinioni e dei pregiudizi) |
Parlare di se stessi può essere un po’
antipatico, e in genere dovrebbe essere evitato. Ma a volte può
essere utile: per conoscersi meglio, per stimarsi di più,
per essere più comprensivi gli uni verso gli altri.
Un padre e una madre dovrebbero spesso raccontarsi ai loro figli.
Far capire e condividere con loro le gioie e i dolori. Raccontare
le loro storie, le loro fatiche, le storie dei nonni e di tutti
coloro che hanno reso possibile con la loro vita e la loro fatica
che noi oggi si possa vivere meglio e più sereni.
Narrare e narrarsi: questa è una regola d’oro per
tutti coloro che intendono volersi bene e aiutarsi a crescere
e maturare. E’ importante soprattutto per i fidanzati.
Io per esempio ho sempre avuto una grande voglia
di conoscere la storia dei miei nonni, storia di emigranti, storia
di contadini, di un mondo passato, fatto di fatica, di speranze.
Avrei voluto conoscere di più la storia di mio padre, di
mia madre, i loro sogni, le loro illusioni, da piccoli e da grandi,
il loro fidanzamento, il loro matrimonio. Non sempre ho avuto
l’opportunità di farlo e ora avrei tante cose da
chiedere loro, ma essi non ci sono più. E’ troppo
tardi e me ne dispiace!
A me interessa molto sentire raccontare la vita di tanti parranesi,
alcuni ora anziani altri già defunti: storia di un tempo
lontano, di quando andavano a piedi a Livorno, di tanta fatica
sofferta per vivere e mantenere le loro famiglie. Ne sento un
grande rispetto, una grande riverenza, una grande simpatia e un
grande affetto.
Perchè, come ho già detto, conoscere le vicende
di una persona aiuta molto a capirla, rispettarla e a volte persino
a volerle più bene.
Ecco perchè provo a raccontarvi
qualcosa di me.
Sono nato in provincia di Parma, perchè mio padre era guardia
forestale e faceva servizio nei monti di quella provincia.
Mia madre era nata in Scozia. I suoi genitori erano emigrati nei
primi anni del Novecento.
Mio nonno, il padre di mia madre, era emigrato con altri cinque
fratelli. Per questo io l’altr’anno sono andato in
Scozia. L’ho sognato tutta la vita. Volevo vedere dove era
nata mia madre. Dove era il bar dei miei nonni, comprato dopo
che per tanti anni, come tanti altri italiani, avevano venduto
bibite e gelati con un carretto per le strade di Aberdeen.
Ho scoperto parenti lontani, mai visti prima. Ho trovato un anziano
signore, che conosceva bene i miei nonni e che mi ha raccontato
tante storie belle e anche tristi. E’ stata una esperienza
che mi ha riempito di commozione.
I miei genitori: erano tra loro
assai diversi, e lo sono stati fino alla morte,ma
a modo loro si volevano bene. Quando uno andava da qualche parte,
subito scriveva una cartolina all’altro: “ Cara Rina...
Caro Gino “.
La loro vita insieme è stata una storia difficile, faticosa,
a volte anche un po’ triste e dolorosa. Certamente questo
ha inciso sulla mia infanzia: mi ha creato ansie, sofferenze,
paure che poi hanno influito sul mio carattere. In positivo devo
però dire, perchè il positivo c’è sempre,
che quella esperienza mi ha insegnato fin da piccolo a captare
e sentire le sofferenze degli altri, soprattutto quelle che spesso
non si vedono, e che forse solo si percepiscono come se uno avesse
un sesto senso. Soprattutto le sofferenze di tanti giovani e di
meno giovani di oggi, la cui solitudine interiore è molto
dura e difficile da gestire.
E questo mi ha aiutato molto nella mia vita di prete, soprattutto
perche mi ha aiutato a saper ridere e scherzare, a volte forse
anche un po’ troppo, e con questo cercare di sdrammatizzare
le situazioni mie e degli altri.
Mi ha aiutato a voler bene, a non aver paura degli affetti e della
tenerezza, di cui ogni cuore umano di ogni tempo sente il bisogno.
Mi ha insegnato a fare ogni sforzo perchè le persone non
si buttino giù, non siano travolte da delusioni e sconfitte,
abbiano fiducia in se stessi e negli altri, anche a rischio di
essere fregati una e mille volte.
A parte le difficoltà di questo ambiente
familiare non sempre del tutto sereno, devo dire comunque che
i miei genitori, in modo certo diverso e con intensità
diversa, mi hanno fatto sentire sempre il loro affetto,
ricambiato da me fino all’ultimo giorno della loro vita.
Avrei mille storie da raccontare a questo proposito. Ma ognuno
di voi ne avrebbe altrettante da raccontare.
I miei genitori, come i genitori di chi ha più o meno la
mia età, mi hanno sempre dato ciò che potevano,
e l’ho sempre capito. Non mi sono mai sentito frustrato.
D’altra parte era il periodo dopo la guerra: povertà
dignitosa, difficoltà di lavoro e incertezze varie non
rendevano la vita facile e serena per molti. Ma noi figli, ora
avanti negli anni, possiamo dire che, nonostante tutto, eravamo
contenti, e forse quella è rimasta per noi l’unica
vera nostalgia che non possiamo toglierci di dosso. Non avevano
molto, ma abbiamo sperimentato lo sforzo dei nostri genitori perchè
noi potessimo sentirci rassicurati. E oltre a questo noi abbiamo
molto giocato. La strada era parte della nostra vita. Di notte
in casa, di giorno per strada. Liberi, selvaggi, contenti. Siamo
cresciuti nella strada, senza mai diventare
ragazzi di strada. A quel tempo non c’era
nè la palestra, nè la piscina, nè la scuola
di danza, nè la scuola di chitarra. C’era poco, anzi
quasi niente. Avevamo la strada. Avevamo gli amici e dei giochi
semplici, inventati: palline, tappini, figurine, un pallone, le
carte... Mamma mia, quanto ho giocato a carte per terra!
Non dovevamo angosciarci per mostrare il vestito diverso, le scarpe
diverse, il telefonino più tecnicamente avanzato, lo zainetto
firmato.
Le difficoltà erano abbastanza comuni a tutti: chi più
e chi meno.
Da piccolo venivo considerato una peste.
Intendiamoci bene: più o meno come tutti i bimbi di ogni
latitudine e di ogni tempo. Forse in me era più marcato.
Quando decisi di farmi prete, molti restarono meravigliati, alcuni
anche un po’ sconcertati. Quante volte affettuosamente,
già da grande e già prete, persone anziane, soprattutto
al mio paese di nascita, mi ricordavano la mia vivacità
ma soprattutto il mio senso di ribellione.
E questo lo racconto semplicemente perchè questo mio senso
di ribellione per un verso mi faceva star male, soprattutto quando
diventata sofferenza per gli altri, ma per un altro verso l’ho
sempre difeso con tenacia e orgoglio perchè non volevo
accettare e ancora oggi non riesco ad accettare ingiustizie e
cattiverie, stupidità e ignoranza. Ne provavo e ne provo
veramente rabbia, che mi costa dominare, soprattutto quando le
ingiustizie sono rivolte verso persone indifese e quando sono
frutto di volgarità e violenza gratuita, come spesso accade
anche oggi da parte di persone presuntuose e arroganti, giovani
e meno giovani.
Questo mio carattere ribelle era però mescolato a tanti
momenti di grande serenità e tenerezza: riuscivo ad essere
anche quello che si dice un bimbo buono. Non mi dispiaceva andare
a scuola e andavo volentieri in chiesa.
La chiesa era l’altro posto, oltre alla strada, dove mi
sentivo a mio agio, soprattutto quando ho vissuto alcuni anni
con mia nonna e mia zia in provincia di Parma.
Non tanto la chiesa in sè , ma soprattuto l’ambiente
dei preti, quello che veniva chiamato “il campetto”
che ricordo con nostalgia, affetto e riconoscenza.
Amavo il Signore, nè più nè meno come lo
ama qualunque bambino del mondo che abbia avuto la fortuna di
avere dei genitori normali che gli abbiano insegnato le cose importanti
e vere della vita, e quindi anche ad amare il Signore.
Quando ripenso alla mia infanzia e a quando ero bimbo provo tenerezza
e gioia verso i bimbi che, ancora oggi grazie a Dio, da una parte
fanno disperare i loro genitori e dall’altra sono capaci
di grandi gesti di bontà. Mi affascinano soprattutto quando
dicono con sincerità e spontaneità di amare il Signore,
anche se poi devono fare i conti con dei genitori che insegnano
loro altre cose, non sempre molto spirituali e intelligenti. Quasi
quasi vorrei che restassero sempre bimbi!
Come vi ho già detto, sono rimasto ancora
oggi un po’ ribelle e un po’ testone,
ma sono capace anche di grandi gestri di bontà e di umiltà
quando mi sento amato e quando mi incontro con persone che, anche
se diverse da me, sanno però essere educate, rispettose
e comprensive. E’ ovvio che come cristiano e come prete
devo cercare di voler bene anche a chi non è esattamente
così come mi piacerebbe e come lo vorrei. Per questo ci
provo e mi sforzo, ma devo ammettere che mi costa molto, ma veramente
molto.
Questo mio desiderio di voler bene mi aiuta molto quando devo
confessare qualcuno. Provo molta tenerezza verso la persona che
viene a confessarsi, quasi mi commuovo per lei. Vorrei trovare
le parole più belle e alla fine della confessione vorrei
sempre che se ne andasse con la più grande gioia nel cuore.
Ho una grande simpatia per i peccatori, uomini e donne. Mi sembrano
più sofferenti che cattivi, e credo proprio che sia così.
A volte mi immedesimo in loro, cerco di capire le loro difficltà,
le loro ansie, le loro solitudini. Sento vero affetto per loro,
e sono convinto che tale è anche il sentimento del Signore.
D’altra parte Lui stesso ce l’ha detto nella parabola
del figliol prodigo.
Più tristezza e anche rabbia mi fanno gli arroganti. Quelli
che ridono di tutto e di tutti. Quelli che credono di non peccare
mai. Che reputano debolezza i grandi sentimenti e i grandi gesti
di umiltà. Si credono forti, sicuri ma in realtà
sono dei deboli, spesso tormentati da rabbia e invidia, dei cinici
incapaci di amare, fanno danno a se stessi e agli altri, quasi
sempre sono degli infelici anche se non sempre se ne rendono conto,
per cui soffrono ancora di più, e si consolano con lo sparlare
di questo e di quello e con il circondarsi di cose. Il loro mondo
è il supermercato.
Ma torniamo un momento alle esperienze
della mia infanzia e della mia adolescenza. Esse avrebbero potuto
avere vari sbocchi: potevo diventare anch’io un essere diffidente,
chiuso in me stesso, pericoloso per me e per gli altri, o potevo
diventare uno desideroso di buttarsi tra la gente per portare
gioia e speranza.
Con l’aiuto di Dio credo che mi sia toccata questa seconda
ipotesi. Spero infatti, nonostante i miei difetti, i miei limiti
e i miei peccati, di avere aiutato molti a sentire gioia e a sperimentare
speranza e fede nel Signore, anche se ogni tanto un velo di tristezza
e un certo senso di paura e di ansia sono rimasti in me. D’altra
parte credo veramente che le sofferenze del bimbo lo accompagneranno
sempre anche da adulto, e quindi ogni tanto fanno capolino, in
me e in tanti altri.
Per questo predico e consiglio sempre ai genitori di dare ai figli
un autentico spazio di serenità, che sia però vero
non artificiale, fatti di affetto più che di cose. I bimbi
devono vedere e sentire l’amore dei loro genitori. Non devono
sperimentare sofferenze ingiuste o precoci, anche se devono imparare
che la vita è fatica e che non tutto è dovuto, ma
va conquistato, e che la loro felicità, come la nostra,
deve essere condivisa con tanti altri che non hanno nulla sia
in cose che in affetti.
Devono soprattutto imparare che non sempre hanno ragione.
Quindi sono ASSOLUTAMENTE contrario a tante forme di protezione
esasperata di tanti bimbi e ragazzi di oggi ossessionati dai loro
genitori che li usano spesso per colmare i loro vuoti e le loro
frustrazioni. Evitare loro ogni genere di fatica e di sofferenza,
parlo di quelle normali della vita, non li rende certamente sereni
e maturi. Li rende al contrario fragili, egoisti, insensibili
e forse anche violenti, di una violenza strana, una specie di
rabbia contro tutti e contro tutto, senza una vera causa, una
specie di rabbia contro ignoti. In altre parole li rende squilibrati.
Con il passare degli anni ho poi incontrato nella
mia vita tante altre persone meravigliose che hanno reso la mia
infanzia e la mia adolescenza ancora più bella e più
piena: maestri e maestre, suore e preti, amici, compagni e tante
altre persone. Questa enorma sfilza di persone importanti nella
mia vita è andata sempre più aumentando fino ai
nostri giorni. E’ stato un vero dono di Dio, di cui non
lo ringrazierò mai abbastanza, e continuamente mi chiedo
se me lo sia meritato. Egli le ha messe sulla mia strada perchè
mi accompagnassero.
In seguito poi la mia vita si è arricchita
di tante altre esperienze: i nove anni
trascorsi a Roma, le mie esperienze in Paraguay, i viaggi, la
conoscenza di nuove persone, di nuovi popoli, di lingue e culture
diverse.
Potrei fare una lista di cose di cui rendere grazie a Dio: sarebbe
interminabile.
L’esperienza del Paraguay mi ha poi molto marcato: una delle
peggiori dittature dell’America Latina, un popolo oppresso
e tanta miseria, un grande senso di impotenza, gli anni di insegnamento
che diventavano per me occasioni splendide per educare alla libertà
e al coraggio. Mi ha molto servito quel mio istinto di ribellione
di cui vi ho parlato. In quella terra lontana ho sofferto anche
tanta nostalgia per i genitori lontani e per l’Italia, ma
tutto ciò non ha mai frenato e ostacolato il mio desiderio
di vivere con quella gente e condividerne le fatiche e le sofferenze.
E poi il ritorno in Italia. Altri studi a Roma.
I genitori anziani. La loro morte. Il fatto che sono rimasto solo
con un fratello che però vive a Mestre. Eppure, sebbene
rimasto solo, non mi sono mai sentito solo. Mai, assolutamente
mai.
Nel 1977 è arrivato poi il momento di venire a Parrana:
non sapevo nemmeno che esistesse e dove si trovasse. Oggi siamo
al 2004. Tolto i tre anni a Castinglioncello, sono passati ormai
24 anni e ogni giorno è stato un giorno di gioia.
Certamente difficoltà ce ne sono e ce ne sono state. Non
tutti hanno simpatia per il prete, e questo in parte sarà
certamente per colpa mia e in parte perchè alcune persone
vivono soltanto per scoprire gli altrui difetti, come dei volgari
guardoni, o perchè sono state educate a diffidare dei preti
fin da piccoli. E’ spesso una questione di allevamento.
Altri poi vivono in situazioni che la chiesa non approva, e allora
in parte si sentono esclusi e in parte si vendicano con il rifiuto
o con uno sguardo sprezzante. Sostanzialmente però mi sono
sempre sentito circondato da persone amiche. Quasi una vera grande
famiglia.
E’ vero che non tutti, anzi pochi di voi per la verità
sembrano interessati a Colui che invece per me è la realtà
più importante: Gesù il Signore. Ma io non mi arrendo:
so che Lui prima o poi vi saprà conquistare.
Di tutte queste vicende forse scriverò in seguito ancora
qualcosa. Per il momento basta.
E per concludere solo quattro parole: UN GRAZIE
AL SIGNORE!!!
Ma credo che sia doveroso dire un grazie sincero anche a tutti
voi.
CHIESA DI
PARRANA SAN MARTINO.
Istruzioni per l’uso.
- Segui la strada provinciale che va verso la SS. 206. A circa
50 mt. prima delle POSTE sulla sinistra troverai un edificio
con siepe e due cipressi.
- Prima di entrare, accertati bene che nessuno ti veda. C’è
sempre qualche debole di mente che curiosa e potrebbe turbarsi.
Faresti una brutta figura, se ti vedesse, soprattutto se è
la prima volta che vieni. Una volta sicuro che nessuno ti osserva,
allora sali gli scalini alla svelta, apri la porta, e richiudila
subito dopo.
- Se ci trovi dentro qualcuno (cosa estremamente difficile)
fa finta di esserti sbagliato: di che stavi cercando l’ambulatorio
medico, che è lì vicino. C’è un medico
anche in chiesa, ma te lo spiego meglio più avanti.
- Troverai dei banchi a destra e a sinistra. Vai sempre diritto
verso un tavolo ricoperto da una tovaglia bianca con due ceri
sopra. Tecnicamente si chiama altare.
- Dietro l’altare vedrai appeso alla parete una scultura
rappresentante un uomo in croce. Anche lui ha un nome tecnico:
il Crocifisso. Ti consiglio di restare qualche secondo a osservarlo
in silenzio. Attento però a non confonderti: ci sono
in giro tanti crocifissi d’oro, di Versace, Dolce e Gabbana,
Bulgari, appesi al collo di tante più o meno belle donne.
Credimi, non è la stessa cosa.
Guardare il Crocifisso dovrebbe farti un effetto buono e rasserenante.
Spero però che non ti succeda come a un certo musulmano
che lo tirò dalla finestra dell’ospedale perchè
diceva che turbava la madre ricoverata e diceva anche che turbava
i suoi bimbi a scuola.
- A me e a tanti altri ha sempre fatto l’effetto contrario:
di gioia e di conforto. Se per caso però anche a te facesse
lo stesso effetto del musulmano, ti prego di non buttarlo via
anche tu. Tra l’altro è molto pesante e poi io
ci tengo molto. Caso mai esci subito di corsa dalla chiesa.
Al contatto con l’aria fresca ti sentirai molto meglio.
Grazie!
- Se invece rimani, come io ti auguro, allora con gli occhi
fissi al Crocifisso, spostati qualche metro a destra. Troverai
una piccola costruzione di mattoni rossi con una porticina.
Una specie di grossa colonna. Forse ti chiederai cosa c’è
li dentro. E’ un po’ difficile da spiegare ma ci
provo.
- Se tu aprissi la porticina, ci troveresti una specie di calice
con dentro delle ostie di pane. Apparentemente una stranezza!
E pensare che davanti a quella stranezza ci sono persone che
si inginocchiano. Alcuni, tra cui anch’io, addirittura
dicono che quelle ostie contengono la presenza di Dio, anzi
più esattamente la presenza del Figlio di Dio, che dicono
sia morto e risuscitato per noi e che poi sia tornato da dove
era venuto, cioè alla casa di Suo Padre, il quale Padre
sembra che lo abbia mandato circa 2000 anni fa in un villaggio
della Giudea a morire per gli uomini. Dicono che Dio lo abbia
mandato perché amava tanto gli uomini da sacrificare
persino il Figlio. Dicono anche che prima ancora di morire e
risuscitare, ha fatto una strana cena in cui si è offerto
a noi prendendo del pane e del vino che poi ha fatto diventare
il Suo Corpo e il Suo Sangue e ha detto che anche noi avremmo
dovuto ripetere questa Cena sempre fino alla fine del mondo.
E allora i cristiani continuano a farlo ogni giorno, e in particolare
la domenica. La chiamano la Messa. Ecco perché senti
suonare le campane ogni tanto. E le ostie del Pane che rimangono
dopo che la gente se ne è cibata vengono poi conservate
in quella casettina con quella porticina. Siccome il Pane, a
sentire i cristiani, è diventato il Suo Corpo, ecco allora
che egli in quella casettina continua a rimanere qui tra noi.
La chiamano la presenza eucaristica, e quella specie di casettina
con porticina la chiamano Tabernacolo. E quello che vi sta dentro
viene chiamato “ il Signore “. Qualcuno con una
espressione un po’ antica lo chiama anche “ il Medico
delle nostre anime “. Ecco perchè all’inizio
ti dicevo che anche qui dentro c’è una specie di
ambulatorio dove c’è questo medico che cura e previene
tante malattie della mente, dello spirito e del cuore altrimenti
difficilmente curabili!
- A questo punto capisco che se tu per caso non credi neppure
in Dio, questa storia ti risulta ancora più strana e
inconcepibile. Ti viene voglia di uscire sbattendo la porta.
Lo so. Me l’immagino. Ma ti prego: resta comunque ancora
un po’. Non ti muovere. Stai ancora al gioco. Fai finta
di nulla.
- Ora porgi bene l’orecchio e cerca di ascoltare se per
caso senti una voce. Tu dirai di no, e che senti solo silenzio.
Che diamine! Mi prenderai per pazzo, ma io insisto: ascolta.
Può darsi che tu senta una voce.
- Siediti su di un banco e continua a guardare verso quella
porticina. Sta calmo lì qualche minuto ancora. Ti assicuro
che sentirai parlare.
- E poi se proprio non sentirai nulla, allora potrai sempre
uscire. Ma per ora fa la prova. Ci vuole un po’ di tempo.
Ci vuole esercizio. Ci vuole gioia nel cuore. Ma ti assicuro
che alla fine resterai meravigliato e forse ci vorrai ritornare,
anzi ci sta che poi tu non abbia più nemmeno la voglia
di andartene.
- A me è già capitato, ed è capitato a
molti altri.
- Ci vuole un po’ di esercizio. Bisogna essere abituati
a ascoltare il silenzio. Non bisogna andare li con la fretta,
ci vuole un cuore sereno, ci vorrebbero anche le lacrime, beh
ma queste forse verranno dopo.
- Te lo dico perchè questo è l’effetto che
ha fatto già a tantissima gente, tra i quali anche a
un militare francese della Legione Straniera che entrò
una volta per curiosità in una chiesa, proprio come tu
ora. Non credeva in nulla e ne usci trasformato e desideroso
di lasciare tutta la sua carriera per dedicarsi alla causa di
quel tale che egli aveva scoperto rinchiuso e nascosto in quelle
ostie in quella piccola costruzione dove c’era accanto
un lume rosso. Si chiamava Charles de Foucauld e ha fondato
un gruppo di uomini e donne che vivono nel deserto tra la gente
più misera, mangiando come i poveri, ossia poco, ma tutti
i giorni si cibano di quelle ostie che sono rinchiuse dentro
la ormai famosa porticina. Anzi passano ore durante il giorno
davanti alla porticina per guardare, ascoltare, amare. Lo faceva
anche Teresa di Calcutta e tanti uomini e donne. Che stranezze!!!!
- Mi ero dimenticato di dirti che quel lume rosso, a cui ho
fatto cenno varie volte e che trovi vicino alla porticina e
che resta sempre acceso notte e giorno sta proprio a indicare
che lì c’è qualcuno per il quale vale la
pena vivere e morire e che dà anche la forza di vivere
e morire per gli altri.
- Se ce l’hai fatta a fare questa esperienza fino in fondo,
scommetto che ti verrà voglia di tornarci anche la domenica,
che è il giorno in cui intorno a quelle ostie si radunano
tante persone, uomini, donne, vecchi e bambini, semplici persone
bada bene, ma felici. Pensa che a volte quelle ostie sono riuscite
a rappacificare persone che si detestavano, anzi a dire il vero
non ci si potrebbe avvicinare a loro e meno che mai mangiarle
se prima non ci siamo addirittura riconciliati.
- E quel raduno intorno alle ostie lo chiamano la Messa: quella
gente crede e dice che in quel momento esse incontrano Dio e
grazie a Lui si incontrano tra di loro con gioia e fraternità,
nonostante i loro difetti e i loro peccati. Anzi molti vanno
a quella riunione proprio per questo: per chiedere il perdono
di Dio e per vedere se Lui li aiuta a migliorare. Come vedi,
non ci vanno per essere migliori degli altri, ma proprio per
diventare semplicemnente migliori di quello che sono.
- Mentre continui a leggere queste istruzioni e giacché
non te ne sei andato prima, allora non ti dimenticare che sei
sempre davanti a quella casetta con quella porticina con quel
lume rosso. Giacchè sei ancora lì, allora fà
finta di nulla, tanto nessuno ti vede. Fai l’ultimo sforzo
prima di uscire: prova a dire qualcosa. Prova a farti sentire.
Ringrazia per la vita, per le tue persone care. Parla anche
delle tue preoccupazioni, delle tue fatiche e sofferenze. E
prima di uscire fai addirittura un saluto. Ti sembrerà
di essere pazzo, ma una volta si può anche fare, tanto
nessuno ti vede Potrebbe darsi anche però che qualcuno
ti stia ascoltando.
- Se per caso mentre fai questo ti sembrasse di essere pazzo,
non è poi la fin del mondo: chi in un modo e chi in un
altro oggi un po’ pazzi lo siamo tutti. C’è
tanta gente che parla da sola, e che fa l’amore con telefonini,
automobili, cani, gatti, ecc.
Se invece per caso lì c’è qualcuno, allora
sei veramente fortunato. Hai fatto il più bel saluto
e la più bella visita di tutta la tua vita.
- E come ti ho già detto, se alla fine per caso ti sei
sentito bene, puoi sempre ritornarci. E allora ormai lo puoi
fare apertamente, senza preoccuparti di stare allerta perché
nessuno ti veda. A questo punto non te ne può fregare
di meno.
La chiesa, almeno la nostra, apre presto e chiude tardi. E questo
tutti i giorni.
- Ecco ora sì, se vuoi puoi uscire. A proposito: quando
esci chiudi la porta perchè c’è un gatto
che ogni tanto entra e fa alcune cose che non sono convenienti.
Dicono che lo faccia per segnare il territorio. Ma io, con tutto
il rispetto per i gatti e per i loro cosiddetti padroni, non
voglio che entri perchè quello non è il territorio
dei gatti, è il nostro territorio, è il territorio
degli umili, dei semplici, delle persone che sanno amare e che
desiderano imparare a amare sempre più e sempre meglio.
E’ il territorio degli uomini e del Signore.
Certamente può entrare anche il gatto, ci mancherebbe
altro, purchè non faccia quelle cose sconvenienti e non
pretenda di occupare il nostro territorio.
CONSIGLIO “ AFFETTUOSO”
PER IL CATTOLICO ITALIANO MEDIO
Anche tu, amica e amico, come la stragrande maggioranza
degli italiani, almeno fino a oggi, sei transitato qualche volta
nella tua vita da qualche chiesa, ma attenzione:
PER IL BATTESIMO TI HANNO PORTATO
PER LA PRIMA COMUNIONE TI HANNO MANDATO E POI
PORTATO
PER LA CRESIMA CON PIU’ FATICA TI HANNO
MANDATO E POI PORTATO
PER IL MATRIMONIO TI RIGIRANO E TI CI PORTANO
PER IL FUNERALE PROBABILMENTE TI CI PORTANO
GUARDA UN PO’ SE PRIMA DI CREPARE
(*) CI VIENI UNA VOLTA DA SOLO.
(*) la parola “crepare“ la uso
affettuosamente per tutti coloro che ormai mi conoscono e quindi
ci fanno una bella risata. Per gli altri che non mi conoscono,
per gli schizzinosi, per le persone eleganti e raffinate che amano
il linguaggio ricercato si prega di leggere al posto di “
crepare “ l’espressione “ esalare l’ultimo
respiro “. Grazie.
Il Parroco
don Ordesio
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