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PARROCCHIA DI PARRANA SAN MARTINO
PASQUA 2004
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LA SENTINELLA

Cari amici,
ho intitolato questo foglio LA SENTINELLA perchè la sentinella è la figura che maggiormente vorrei che mi identificasse come prete.

Ma chi è la sentinella?
La sentinella non è generalmente un personaggio famoso. Famosi sono i capi, i grandi politici, gli attori, i grandi giocatori, i grandi farabutti, i terroristi, ecc.
Le sentinelle invece non fanno notizia. E’ difficile che la gente si fermi ogni tanto a pensare che c’è qualcuno che notte e giorno veglia affinchè la vita della nazione, dei nostri comuni e delle nostre case non sia turbata: che sia difesa in caso di pericolo e che tutto funzioni bene nella vita ordinaria di tutti i giorni.
Sentinelle sono i tanti uomini e donne addette ai grandi servizi della nazione, nel campo sociale, sanitario, politico, ecc. Sentinella è soprattutto una madre che veglia sulla vita della famiglia, sta all’erta, ne cura con amore il funzionamento e ha il grande compito di procurare serenità.
Sentinelle erano i profeti in mezzo al popolo di Israele: denunciavano i pericoli e i peccati e annunciavano la speranza di un mondo migliore e la conversione personale e di tutto il popolo per realizzare questo mondo migliore. Sentinella è la Chiesa in mezzo al mondo. Sentinella è il prete in mezzo alla sua gente.

Il prete, sentinella fra la sua gente.
Forse qualcuno neppure se ne accorge e qualche altro pensa anche di poterne fare a meno. Ma un prete è sempre li, attento alla serenità della sua gente, vigile e pronto a dare l’allarme di fronte a un possibile pericolo di cui spesso tra l’altro la gente neppure si rende conto perchè i pericoli che il prete denuncia sono spesso realtà che molti percepiscono e interpretano come progresso, libertà, piacere, divertimento, e a volte il povero prete-sentinella fa una grande fatica a farsi ascoltare. Spesso per questo viene addirittura considerato una specie di gufo.
Qualcosa di simile avviene spesso anche per i genitori nei riguardi dei figli: che fatica farsi ascoltare!!

Ma, come ho già detto, la sentinella non si limita soltanto a dare l’allarme in caso di pericolo. La sentinella ha anche il compito bellissimo di scrutare l’orizzonte del mondo e della storia non solo per vederne i pericoli, ma anche le speranze: la sentinella annuncia la terra che appare in lontananza nel caso dei naviganti; annuncia la scoperta di qualche nuova stella in cielo nel caso degli astronomi; annuncia qualche nuova speranza di cura nel campo della medicina, e annuncia ogni possibile luce di speranza e di certezza nel buio della storia, che sembra solo dominata da violenza, guerra, solitudine e disperazione.

E questa è la funzione più bella di un prete: annunciare come dice anche il profeta Isaia “ cieli e terra nuovi “. Una speranza oltre la morte. L’alba di un nuovo giorno dopo l’oscurità di una sofferenza, di una malattia, di una solitudine, di un abbandono, di un tradimento, di un rifiuto, di una sconfitta.
In altre parole, per chi è veramente cristiano e di queste cose se ne intende, il prete con la sua parola, con le sue campane, con la sua presenza annuncia la Pasqua, sempre, tutti i giorni dell’anno e ovviamente in modo particolare il giorno stesso della Pasqua, che anche per noi quest’anno di nuovo si sta avvicinando. Il prete annuncia sempre la vittoria del Signore.

Annunciare la Pasqua
Annunciare la pasqua:
compito del prete e del cristiano.

Il prete annuncia sempre che Gesù ha vinto il peccato e la morte.
Che siamo tutti riconciliati e veramente fratelli, al di là delle divisioni politiche, sociali e quantaltro. Che l’impegno per la giustizia, la verità, la libertà e il giusto benessere sono un impegno comune: nessuno può essere felice da solo. E il prete questo lo annuncia il giorno di Pasqua e l’annuncia in ogni Messa che viene celebrata, perchè in ogni Messa si celebra la Pasqua. Per questo la Messa è importante e nessuno può dirsi cristiano se pensa che la Messa non lo riguarda.

Il prete allora con la sua persona, con la sua parola e con il suo sorriso annuncia sempre questo e solo questo: Il Signore è risorto. Il Male è stato sconfitto.
Ma ogni cristiano, non solo il prete, con la sua vita, la sua parola, il suo impegno annuncia la vittoria del Cristo sul peccato e sulla morte.
Se la gente che ci vede non se ne accorge può essere colpa del prete e di noi cristiani. Ma attenti! può essere anche colpa di chi per preconcetti, per pregiudizi, per squilibri personali, per rabbie, rancori, frustrazioni, delusione o per una cattiva educazione non è capace di cogliere questo annuncio. E questo mi rattrista soprattutto quando si tratta di giovani e di giovani coppie, che dovrebbero essere più liberi nei loro giudizi sia per la loro età sia perchè tutto sommato è toccato loro un mondo da certi punti di vista più comodo e migliore.

Per quanto riguarda me ovviamente, come prete, dovrò cercare di migliorare sempre me stesso per essere un cristiano serio e quindi un annunciatore veritiero e credibile di questo grande messaggio. Ma ognuno di voi deve cercare di fare altrettanto per riuscire a cogliere questo stesso messaggio senza pregiudizi, senza arroganze, senza ripetere slogans vecchi e triti.

La Pasqua di quest’anno è un’altra occasione in cui io dovrò mettercela tutta perchè giunga a voi questo messaggio di speranza. Vorrete voi fare altrettanto per accoglierlo e farlo vostro? Io ve lo auguro con tutto il cuore.

IL SIGNORE E’ RISORTO! NON ABBIATE PAURA!

Buona Pasqua

 

POSSO RACCONTARVI QUALCOSA DI ME?
(ovvero come conoscersi meglio al di là delle apparenze, delle opinioni e dei pregiudizi)

Parlare di se stessi può essere un po’ antipatico, e in genere dovrebbe essere evitato. Ma a volte può essere utile: per conoscersi meglio, per stimarsi di più, per essere più comprensivi gli uni verso gli altri.
Un padre e una madre dovrebbero spesso raccontarsi ai loro figli. Far capire e condividere con loro le gioie e i dolori. Raccontare le loro storie, le loro fatiche, le storie dei nonni e di tutti coloro che hanno reso possibile con la loro vita e la loro fatica che noi oggi si possa vivere meglio e più sereni.
Narrare e narrarsi: questa è una regola d’oro per tutti coloro che intendono volersi bene e aiutarsi a crescere e maturare. E’ importante soprattutto per i fidanzati.

Io per esempio ho sempre avuto una grande voglia di conoscere la storia dei miei nonni, storia di emigranti, storia di contadini, di un mondo passato, fatto di fatica, di speranze. Avrei voluto conoscere di più la storia di mio padre, di mia madre, i loro sogni, le loro illusioni, da piccoli e da grandi, il loro fidanzamento, il loro matrimonio. Non sempre ho avuto l’opportunità di farlo e ora avrei tante cose da chiedere loro, ma essi non ci sono più. E’ troppo tardi e me ne dispiace!
A me interessa molto sentire raccontare la vita di tanti parranesi, alcuni ora anziani altri già defunti: storia di un tempo lontano, di quando andavano a piedi a Livorno, di tanta fatica sofferta per vivere e mantenere le loro famiglie. Ne sento un grande rispetto, una grande riverenza, una grande simpatia e un grande affetto.
Perchè, come ho già detto, conoscere le vicende di una persona aiuta molto a capirla, rispettarla e a volte persino a volerle più bene.

Ecco perchè provo a raccontarvi qualcosa di me.
Sono nato in provincia di Parma, perchè mio padre era guardia forestale e faceva servizio nei monti di quella provincia.
Mia madre era nata in Scozia. I suoi genitori erano emigrati nei primi anni del Novecento.
Mio nonno, il padre di mia madre, era emigrato con altri cinque fratelli. Per questo io l’altr’anno sono andato in Scozia. L’ho sognato tutta la vita. Volevo vedere dove era nata mia madre. Dove era il bar dei miei nonni, comprato dopo che per tanti anni, come tanti altri italiani, avevano venduto bibite e gelati con un carretto per le strade di Aberdeen.
Ho scoperto parenti lontani, mai visti prima. Ho trovato un anziano signore, che conosceva bene i miei nonni e che mi ha raccontato tante storie belle e anche tristi. E’ stata una esperienza che mi ha riempito di commozione.

I miei genitori: erano tra loro assai diversi, e lo sono stati fino alla morte,ma
a modo loro si volevano bene. Quando uno andava da qualche parte, subito scriveva una cartolina all’altro: “ Cara Rina... Caro Gino “.
La loro vita insieme è stata una storia difficile, faticosa, a volte anche un po’ triste e dolorosa. Certamente questo ha inciso sulla mia infanzia: mi ha creato ansie, sofferenze, paure che poi hanno influito sul mio carattere. In positivo devo però dire, perchè il positivo c’è sempre, che quella esperienza mi ha insegnato fin da piccolo a captare e sentire le sofferenze degli altri, soprattutto quelle che spesso non si vedono, e che forse solo si percepiscono come se uno avesse un sesto senso. Soprattutto le sofferenze di tanti giovani e di meno giovani di oggi, la cui solitudine interiore è molto dura e difficile da gestire.
E questo mi ha aiutato molto nella mia vita di prete, soprattutto perche mi ha aiutato a saper ridere e scherzare, a volte forse anche un po’ troppo, e con questo cercare di sdrammatizzare le situazioni mie e degli altri.
Mi ha aiutato a voler bene, a non aver paura degli affetti e della tenerezza, di cui ogni cuore umano di ogni tempo sente il bisogno.
Mi ha insegnato a fare ogni sforzo perchè le persone non si buttino giù, non siano travolte da delusioni e sconfitte, abbiano fiducia in se stessi e negli altri, anche a rischio di essere fregati una e mille volte.

A parte le difficoltà di questo ambiente familiare non sempre del tutto sereno, devo dire comunque che i miei genitori, in modo certo diverso e con intensità diversa, mi hanno fatto sentire sempre il loro affetto, ricambiato da me fino all’ultimo giorno della loro vita. Avrei mille storie da raccontare a questo proposito. Ma ognuno di voi ne avrebbe altrettante da raccontare.
I miei genitori, come i genitori di chi ha più o meno la mia età, mi hanno sempre dato ciò che potevano, e l’ho sempre capito. Non mi sono mai sentito frustrato. D’altra parte era il periodo dopo la guerra: povertà dignitosa, difficoltà di lavoro e incertezze varie non rendevano la vita facile e serena per molti. Ma noi figli, ora avanti negli anni, possiamo dire che, nonostante tutto, eravamo contenti, e forse quella è rimasta per noi l’unica vera nostalgia che non possiamo toglierci di dosso. Non avevano molto, ma abbiamo sperimentato lo sforzo dei nostri genitori perchè noi potessimo sentirci rassicurati. E oltre a questo noi abbiamo molto giocato. La strada era parte della nostra vita. Di notte in casa, di giorno per strada. Liberi, selvaggi, contenti. Siamo cresciuti nella strada, senza mai diventare ragazzi di strada. A quel tempo non c’era nè la palestra, nè la piscina, nè la scuola di danza, nè la scuola di chitarra. C’era poco, anzi quasi niente. Avevamo la strada. Avevamo gli amici e dei giochi semplici, inventati: palline, tappini, figurine, un pallone, le carte... Mamma mia, quanto ho giocato a carte per terra!
Non dovevamo angosciarci per mostrare il vestito diverso, le scarpe diverse, il telefonino più tecnicamente avanzato, lo zainetto firmato.
Le difficoltà erano abbastanza comuni a tutti: chi più e chi meno.

Da piccolo venivo considerato una peste. Intendiamoci bene: più o meno come tutti i bimbi di ogni latitudine e di ogni tempo. Forse in me era più marcato. Quando decisi di farmi prete, molti restarono meravigliati, alcuni anche un po’ sconcertati. Quante volte affettuosamente, già da grande e già prete, persone anziane, soprattutto al mio paese di nascita, mi ricordavano la mia vivacità ma soprattutto il mio senso di ribellione.
E questo lo racconto semplicemente perchè questo mio senso di ribellione per un verso mi faceva star male, soprattutto quando diventata sofferenza per gli altri, ma per un altro verso l’ho sempre difeso con tenacia e orgoglio perchè non volevo accettare e ancora oggi non riesco ad accettare ingiustizie e cattiverie, stupidità e ignoranza. Ne provavo e ne provo veramente rabbia, che mi costa dominare, soprattutto quando le ingiustizie sono rivolte verso persone indifese e quando sono frutto di volgarità e violenza gratuita, come spesso accade anche oggi da parte di persone presuntuose e arroganti, giovani e meno giovani.
Questo mio carattere ribelle era però mescolato a tanti momenti di grande serenità e tenerezza: riuscivo ad essere anche quello che si dice un bimbo buono. Non mi dispiaceva andare a scuola e andavo volentieri in chiesa.
La chiesa era l’altro posto, oltre alla strada, dove mi sentivo a mio agio, soprattutto quando ho vissuto alcuni anni con mia nonna e mia zia in provincia di Parma.
Non tanto la chiesa in sè , ma soprattuto l’ambiente dei preti, quello che veniva chiamato “il campetto” che ricordo con nostalgia, affetto e riconoscenza.
Amavo il Signore, nè più nè meno come lo ama qualunque bambino del mondo che abbia avuto la fortuna di avere dei genitori normali che gli abbiano insegnato le cose importanti e vere della vita, e quindi anche ad amare il Signore.
Quando ripenso alla mia infanzia e a quando ero bimbo provo tenerezza e gioia verso i bimbi che, ancora oggi grazie a Dio, da una parte fanno disperare i loro genitori e dall’altra sono capaci di grandi gesti di bontà. Mi affascinano soprattutto quando dicono con sincerità e spontaneità di amare il Signore, anche se poi devono fare i conti con dei genitori che insegnano loro altre cose, non sempre molto spirituali e intelligenti. Quasi quasi vorrei che restassero sempre bimbi!

Come vi ho già detto, sono rimasto ancora oggi un po’ ribelle e un po’ testone, ma sono capace anche di grandi gestri di bontà e di umiltà quando mi sento amato e quando mi incontro con persone che, anche se diverse da me, sanno però essere educate, rispettose e comprensive. E’ ovvio che come cristiano e come prete devo cercare di voler bene anche a chi non è esattamente così come mi piacerebbe e come lo vorrei. Per questo ci provo e mi sforzo, ma devo ammettere che mi costa molto, ma veramente molto.
Questo mio desiderio di voler bene mi aiuta molto quando devo confessare qualcuno. Provo molta tenerezza verso la persona che viene a confessarsi, quasi mi commuovo per lei. Vorrei trovare le parole più belle e alla fine della confessione vorrei sempre che se ne andasse con la più grande gioia nel cuore.
Ho una grande simpatia per i peccatori, uomini e donne. Mi sembrano più sofferenti che cattivi, e credo proprio che sia così. A volte mi immedesimo in loro, cerco di capire le loro difficltà, le loro ansie, le loro solitudini. Sento vero affetto per loro, e sono convinto che tale è anche il sentimento del Signore. D’altra parte Lui stesso ce l’ha detto nella parabola del figliol prodigo.
Più tristezza e anche rabbia mi fanno gli arroganti. Quelli che ridono di tutto e di tutti. Quelli che credono di non peccare mai. Che reputano debolezza i grandi sentimenti e i grandi gesti di umiltà. Si credono forti, sicuri ma in realtà sono dei deboli, spesso tormentati da rabbia e invidia, dei cinici incapaci di amare, fanno danno a se stessi e agli altri, quasi sempre sono degli infelici anche se non sempre se ne rendono conto, per cui soffrono ancora di più, e si consolano con lo sparlare di questo e di quello e con il circondarsi di cose. Il loro mondo è il supermercato.

Ma torniamo un momento alle esperienze della mia infanzia e della mia adolescenza. Esse avrebbero potuto avere vari sbocchi: potevo diventare anch’io un essere diffidente, chiuso in me stesso, pericoloso per me e per gli altri, o potevo diventare uno desideroso di buttarsi tra la gente per portare gioia e speranza.
Con l’aiuto di Dio credo che mi sia toccata questa seconda ipotesi. Spero infatti, nonostante i miei difetti, i miei limiti e i miei peccati, di avere aiutato molti a sentire gioia e a sperimentare speranza e fede nel Signore, anche se ogni tanto un velo di tristezza e un certo senso di paura e di ansia sono rimasti in me. D’altra parte credo veramente che le sofferenze del bimbo lo accompagneranno sempre anche da adulto, e quindi ogni tanto fanno capolino, in me e in tanti altri.
Per questo predico e consiglio sempre ai genitori di dare ai figli un autentico spazio di serenità, che sia però vero non artificiale, fatti di affetto più che di cose. I bimbi devono vedere e sentire l’amore dei loro genitori. Non devono sperimentare sofferenze ingiuste o precoci, anche se devono imparare che la vita è fatica e che non tutto è dovuto, ma va conquistato, e che la loro felicità, come la nostra, deve essere condivisa con tanti altri che non hanno nulla sia in cose che in affetti.
Devono soprattutto imparare che non sempre hanno ragione.
Quindi sono ASSOLUTAMENTE contrario a tante forme di protezione esasperata di tanti bimbi e ragazzi di oggi ossessionati dai loro genitori che li usano spesso per colmare i loro vuoti e le loro frustrazioni. Evitare loro ogni genere di fatica e di sofferenza, parlo di quelle normali della vita, non li rende certamente sereni e maturi. Li rende al contrario fragili, egoisti, insensibili e forse anche violenti, di una violenza strana, una specie di rabbia contro tutti e contro tutto, senza una vera causa, una specie di rabbia contro ignoti. In altre parole li rende squilibrati.

Con il passare degli anni ho poi incontrato nella mia vita tante altre persone meravigliose che hanno reso la mia infanzia e la mia adolescenza ancora più bella e più piena: maestri e maestre, suore e preti, amici, compagni e tante altre persone. Questa enorma sfilza di persone importanti nella mia vita è andata sempre più aumentando fino ai nostri giorni. E’ stato un vero dono di Dio, di cui non lo ringrazierò mai abbastanza, e continuamente mi chiedo se me lo sia meritato. Egli le ha messe sulla mia strada perchè mi accompagnassero.

In seguito poi la mia vita si è arricchita di tante altre esperienze: i nove anni
trascorsi a Roma, le mie esperienze in Paraguay, i viaggi, la conoscenza di nuove persone, di nuovi popoli, di lingue e culture diverse.
Potrei fare una lista di cose di cui rendere grazie a Dio: sarebbe interminabile.
L’esperienza del Paraguay mi ha poi molto marcato: una delle peggiori dittature dell’America Latina, un popolo oppresso e tanta miseria, un grande senso di impotenza, gli anni di insegnamento che diventavano per me occasioni splendide per educare alla libertà e al coraggio. Mi ha molto servito quel mio istinto di ribellione di cui vi ho parlato. In quella terra lontana ho sofferto anche tanta nostalgia per i genitori lontani e per l’Italia, ma tutto ciò non ha mai frenato e ostacolato il mio desiderio di vivere con quella gente e condividerne le fatiche e le sofferenze.

E poi il ritorno in Italia. Altri studi a Roma. I genitori anziani. La loro morte. Il fatto che sono rimasto solo con un fratello che però vive a Mestre. Eppure, sebbene rimasto solo, non mi sono mai sentito solo. Mai, assolutamente mai.
Nel 1977 è arrivato poi il momento di venire a Parrana: non sapevo nemmeno che esistesse e dove si trovasse. Oggi siamo al 2004. Tolto i tre anni a Castinglioncello, sono passati ormai 24 anni e ogni giorno è stato un giorno di gioia.
Certamente difficoltà ce ne sono e ce ne sono state. Non tutti hanno simpatia per il prete, e questo in parte sarà certamente per colpa mia e in parte perchè alcune persone vivono soltanto per scoprire gli altrui difetti, come dei volgari guardoni, o perchè sono state educate a diffidare dei preti fin da piccoli. E’ spesso una questione di allevamento. Altri poi vivono in situazioni che la chiesa non approva, e allora in parte si sentono esclusi e in parte si vendicano con il rifiuto o con uno sguardo sprezzante. Sostanzialmente però mi sono sempre sentito circondato da persone amiche. Quasi una vera grande famiglia.
E’ vero che non tutti, anzi pochi di voi per la verità sembrano interessati a Colui che invece per me è la realtà più importante: Gesù il Signore. Ma io non mi arrendo: so che Lui prima o poi vi saprà conquistare.
Di tutte queste vicende forse scriverò in seguito ancora qualcosa. Per il momento basta.

E per concludere solo quattro parole: UN GRAZIE AL SIGNORE!!!
Ma credo che sia doveroso dire un grazie sincero anche a tutti voi.


CHIESA DI PARRANA SAN MARTINO.
Istruzioni per l’uso.

  1. Segui la strada provinciale che va verso la SS. 206. A circa 50 mt. prima delle POSTE sulla sinistra troverai un edificio con siepe e due cipressi.
  2. Prima di entrare, accertati bene che nessuno ti veda. C’è sempre qualche debole di mente che curiosa e potrebbe turbarsi. Faresti una brutta figura, se ti vedesse, soprattutto se è la prima volta che vieni. Una volta sicuro che nessuno ti osserva, allora sali gli scalini alla svelta, apri la porta, e richiudila subito dopo.
  3. Se ci trovi dentro qualcuno (cosa estremamente difficile) fa finta di esserti sbagliato: di che stavi cercando l’ambulatorio medico, che è lì vicino. C’è un medico anche in chiesa, ma te lo spiego meglio più avanti.
  4. Troverai dei banchi a destra e a sinistra. Vai sempre diritto verso un tavolo ricoperto da una tovaglia bianca con due ceri sopra. Tecnicamente si chiama altare.
  5. Dietro l’altare vedrai appeso alla parete una scultura rappresentante un uomo in croce. Anche lui ha un nome tecnico: il Crocifisso. Ti consiglio di restare qualche secondo a osservarlo in silenzio. Attento però a non confonderti: ci sono in giro tanti crocifissi d’oro, di Versace, Dolce e Gabbana, Bulgari, appesi al collo di tante più o meno belle donne. Credimi, non è la stessa cosa.
    Guardare il Crocifisso dovrebbe farti un effetto buono e rasserenante. Spero però che non ti succeda come a un certo musulmano che lo tirò dalla finestra dell’ospedale perchè diceva che turbava la madre ricoverata e diceva anche che turbava i suoi bimbi a scuola.
  6. A me e a tanti altri ha sempre fatto l’effetto contrario: di gioia e di conforto. Se per caso però anche a te facesse lo stesso effetto del musulmano, ti prego di non buttarlo via anche tu. Tra l’altro è molto pesante e poi io ci tengo molto. Caso mai esci subito di corsa dalla chiesa. Al contatto con l’aria fresca ti sentirai molto meglio. Grazie!
  7. Se invece rimani, come io ti auguro, allora con gli occhi fissi al Crocifisso, spostati qualche metro a destra. Troverai una piccola costruzione di mattoni rossi con una porticina. Una specie di grossa colonna. Forse ti chiederai cosa c’è li dentro. E’ un po’ difficile da spiegare ma ci provo.
  8. Se tu aprissi la porticina, ci troveresti una specie di calice con dentro delle ostie di pane. Apparentemente una stranezza! E pensare che davanti a quella stranezza ci sono persone che si inginocchiano. Alcuni, tra cui anch’io, addirittura dicono che quelle ostie contengono la presenza di Dio, anzi più esattamente la presenza del Figlio di Dio, che dicono sia morto e risuscitato per noi e che poi sia tornato da dove era venuto, cioè alla casa di Suo Padre, il quale Padre sembra che lo abbia mandato circa 2000 anni fa in un villaggio della Giudea a morire per gli uomini. Dicono che Dio lo abbia mandato perché amava tanto gli uomini da sacrificare persino il Figlio. Dicono anche che prima ancora di morire e risuscitare, ha fatto una strana cena in cui si è offerto a noi prendendo del pane e del vino che poi ha fatto diventare il Suo Corpo e il Suo Sangue e ha detto che anche noi avremmo dovuto ripetere questa Cena sempre fino alla fine del mondo.
    E allora i cristiani continuano a farlo ogni giorno, e in particolare la domenica. La chiamano la Messa. Ecco perché senti suonare le campane ogni tanto. E le ostie del Pane che rimangono dopo che la gente se ne è cibata vengono poi conservate in quella casettina con quella porticina. Siccome il Pane, a sentire i cristiani, è diventato il Suo Corpo, ecco allora che egli in quella casettina continua a rimanere qui tra noi. La chiamano la presenza eucaristica, e quella specie di casettina con porticina la chiamano Tabernacolo. E quello che vi sta dentro viene chiamato “ il Signore “. Qualcuno con una espressione un po’ antica lo chiama anche “ il Medico delle nostre anime “. Ecco perchè all’inizio ti dicevo che anche qui dentro c’è una specie di ambulatorio dove c’è questo medico che cura e previene tante malattie della mente, dello spirito e del cuore altrimenti difficilmente curabili!
  9. A questo punto capisco che se tu per caso non credi neppure in Dio, questa storia ti risulta ancora più strana e inconcepibile. Ti viene voglia di uscire sbattendo la porta. Lo so. Me l’immagino. Ma ti prego: resta comunque ancora un po’. Non ti muovere. Stai ancora al gioco. Fai finta di nulla.
  10. Ora porgi bene l’orecchio e cerca di ascoltare se per caso senti una voce. Tu dirai di no, e che senti solo silenzio. Che diamine! Mi prenderai per pazzo, ma io insisto: ascolta. Può darsi che tu senta una voce.
  11. Siediti su di un banco e continua a guardare verso quella porticina. Sta calmo lì qualche minuto ancora. Ti assicuro che sentirai parlare.
  12. E poi se proprio non sentirai nulla, allora potrai sempre uscire. Ma per ora fa la prova. Ci vuole un po’ di tempo. Ci vuole esercizio. Ci vuole gioia nel cuore. Ma ti assicuro che alla fine resterai meravigliato e forse ci vorrai ritornare, anzi ci sta che poi tu non abbia più nemmeno la voglia di andartene.
  13. A me è già capitato, ed è capitato a molti altri.
  14. Ci vuole un po’ di esercizio. Bisogna essere abituati a ascoltare il silenzio. Non bisogna andare li con la fretta, ci vuole un cuore sereno, ci vorrebbero anche le lacrime, beh ma queste forse verranno dopo.
  15. Te lo dico perchè questo è l’effetto che ha fatto già a tantissima gente, tra i quali anche a un militare francese della Legione Straniera che entrò una volta per curiosità in una chiesa, proprio come tu ora. Non credeva in nulla e ne usci trasformato e desideroso di lasciare tutta la sua carriera per dedicarsi alla causa di quel tale che egli aveva scoperto rinchiuso e nascosto in quelle ostie in quella piccola costruzione dove c’era accanto un lume rosso. Si chiamava Charles de Foucauld e ha fondato un gruppo di uomini e donne che vivono nel deserto tra la gente più misera, mangiando come i poveri, ossia poco, ma tutti i giorni si cibano di quelle ostie che sono rinchiuse dentro la ormai famosa porticina. Anzi passano ore durante il giorno davanti alla porticina per guardare, ascoltare, amare. Lo faceva anche Teresa di Calcutta e tanti uomini e donne. Che stranezze!!!!
  16. Mi ero dimenticato di dirti che quel lume rosso, a cui ho fatto cenno varie volte e che trovi vicino alla porticina e che resta sempre acceso notte e giorno sta proprio a indicare che lì c’è qualcuno per il quale vale la pena vivere e morire e che dà anche la forza di vivere e morire per gli altri.
  17. Se ce l’hai fatta a fare questa esperienza fino in fondo, scommetto che ti verrà voglia di tornarci anche la domenica, che è il giorno in cui intorno a quelle ostie si radunano tante persone, uomini, donne, vecchi e bambini, semplici persone bada bene, ma felici. Pensa che a volte quelle ostie sono riuscite a rappacificare persone che si detestavano, anzi a dire il vero non ci si potrebbe avvicinare a loro e meno che mai mangiarle se prima non ci siamo addirittura riconciliati.
  18. E quel raduno intorno alle ostie lo chiamano la Messa: quella gente crede e dice che in quel momento esse incontrano Dio e grazie a Lui si incontrano tra di loro con gioia e fraternità, nonostante i loro difetti e i loro peccati. Anzi molti vanno a quella riunione proprio per questo: per chiedere il perdono di Dio e per vedere se Lui li aiuta a migliorare. Come vedi, non ci vanno per essere migliori degli altri, ma proprio per diventare semplicemnente migliori di quello che sono.
  19. Mentre continui a leggere queste istruzioni e giacché non te ne sei andato prima, allora non ti dimenticare che sei sempre davanti a quella casetta con quella porticina con quel lume rosso. Giacchè sei ancora lì, allora fà finta di nulla, tanto nessuno ti vede. Fai l’ultimo sforzo prima di uscire: prova a dire qualcosa. Prova a farti sentire. Ringrazia per la vita, per le tue persone care. Parla anche delle tue preoccupazioni, delle tue fatiche e sofferenze. E prima di uscire fai addirittura un saluto. Ti sembrerà di essere pazzo, ma una volta si può anche fare, tanto nessuno ti vede Potrebbe darsi anche però che qualcuno ti stia ascoltando.
  20. Se per caso mentre fai questo ti sembrasse di essere pazzo, non è poi la fin del mondo: chi in un modo e chi in un altro oggi un po’ pazzi lo siamo tutti. C’è tanta gente che parla da sola, e che fa l’amore con telefonini, automobili, cani, gatti, ecc.
    Se invece per caso lì c’è qualcuno, allora sei veramente fortunato. Hai fatto il più bel saluto e la più bella visita di tutta la tua vita.
  21. E come ti ho già detto, se alla fine per caso ti sei sentito bene, puoi sempre ritornarci. E allora ormai lo puoi fare apertamente, senza preoccuparti di stare allerta perché nessuno ti veda. A questo punto non te ne può fregare di meno.
    La chiesa, almeno la nostra, apre presto e chiude tardi. E questo tutti i giorni.
  22. Ecco ora sì, se vuoi puoi uscire. A proposito: quando esci chiudi la porta perchè c’è un gatto che ogni tanto entra e fa alcune cose che non sono convenienti. Dicono che lo faccia per segnare il territorio. Ma io, con tutto il rispetto per i gatti e per i loro cosiddetti padroni, non voglio che entri perchè quello non è il territorio dei gatti, è il nostro territorio, è il territorio degli umili, dei semplici, delle persone che sanno amare e che desiderano imparare a amare sempre più e sempre meglio. E’ il territorio degli uomini e del Signore.
    Certamente può entrare anche il gatto, ci mancherebbe altro, purchè non faccia quelle cose sconvenienti e non pretenda di occupare il nostro territorio.

CONSIGLIO “ AFFETTUOSO” PER IL CATTOLICO ITALIANO MEDIO

Anche tu, amica e amico, come la stragrande maggioranza degli italiani, almeno fino a oggi, sei transitato qualche volta nella tua vita da qualche chiesa, ma attenzione:

PER IL BATTESIMO TI HANNO PORTATO

PER LA PRIMA COMUNIONE TI HANNO MANDATO E POI PORTATO

PER LA CRESIMA CON PIU’ FATICA TI HANNO MANDATO E POI PORTATO

PER IL MATRIMONIO TI RIGIRANO E TI CI PORTANO

PER IL FUNERALE PROBABILMENTE TI CI PORTANO

GUARDA UN PO’ SE PRIMA DI CREPARE (*) CI VIENI UNA VOLTA DA SOLO.

(*) la parola “crepare“ la uso affettuosamente per tutti coloro che ormai mi conoscono e quindi ci fanno una bella risata. Per gli altri che non mi conoscono, per gli schizzinosi, per le persone eleganti e raffinate che amano il linguaggio ricercato si prega di leggere al posto di “ crepare “ l’espressione “ esalare l’ultimo respiro “. Grazie.

Il Parroco
don Ordesio

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Per contattarmi, scrivete all'indirizzo: ordbel@tin.it
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