La Passione di nostro Signore

 

Mt 26, 35-56. Allora Gesù andò con essi in un podere chiamato Getsemani, e disse ai suoi discepoli: “ Fermatevi qui mentre io vado a pregare”. E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a rattristarsi e ad essere mesto. Allora disse loro . “ l’anima mia è triste fino alla morte: restate qui e vegliate con me”. E andato un poco più in là, si prostrò a terra a pregare, dicendo “ Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice; peraltro non come io voglio ma come vuoi tu”. E andò dai suoi discepoli e li trovò addormentati, e dice a Pietro :” Così non avete potuto vegliar meco neppure un’ora? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione, ché lo spirito, veramente, è pronto, ma la carne è debole”  Di nuovo, per la seconda volta andò e pregò dicendo: “ Padre mio, se questo calice non può allentarsi da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà”. E tornato di nuovo, li trovò addormentati,ché i loro occhi erano oppressi. E, lasciateli, andò di nuovo e pregò per la terza volta ripetendo le stesse parole. Poi torna dai suoi discepoli e dice loro “ Dormite pure e riposatevi: è vicina l’ora; e il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco s’avvicina chi mi tradisce”. Mentre egli ancora parlava ecco arrivare Giuda, uno dei dodici, con gran gente armata di spade e di bastoni mandata dal principe dei sacerdoti e dagli anziani del popolo. Or il traditore aveva dato loro il segno, dicendo:” Chi bacerò, è lui: pigliatelo”. E subito, accostatosi a Gesù disse:” Salve Maestro”. E lo baciò. Gesù gli disse.” Amico che sei venuto a fare?”. Allora si fecero avanti, misero le mani addosso a Gesù e lo catturarono. Ed ecco uno di quelli che erano con Gesù mettere mano alla spada, sfoderarla, percuotere un servo del sommo sacerdote e mozzargli un orecchio. Allora Gesù gli disse:” Rimetti la tua spada al suo posto; perché chi impugnerà la spada, di spada perirà. Credi forse che io non posso pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli? E allora come di adempirebbero le Scritture, secondo le quali bisogna che avvenga così?”. In quello stesso momento Gesù disse alle turbe:” Siete venuti con spade e bastoni come se fossi un ladrone; ogni giorno sedevo tra voi nel tempio ad insegnare e non mi avete preso. Ma tutto questo è avvenuto affinché si adempiano le Scritture dei profeti”. Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.

 

Mc 14, 32-52  Poi vennero in un podere detto Getsemani; e disse ai suoi discepoli:” fermatevi qui finché sto a pregare”. E prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni.  E cominciò a dare segno di spavento e di tedio. E disse loro:” l’anima mia è triste fino alla morte, rimanete qui e vegliate”. E inoltratosi un poco, si prostrò per terra e pregò che, se fosse possibile, da lui s’allontanasse quell’ora. E diceva:Abba, Padre, tutto ti è possibile; allontana da me questo calice però non quello che voglio io ma quello che tu vuoi”. E tornato a loro li trovò addormentati. E disse a Pietro. Simone, dormi? Non sei stato capace di vegliare neppure un’ora? Vigilate e pregate per non cadere in tentazione; lo spirito sì, è pronto; ma la carne è debole”. E andò di nuovo a pregare dicendo le stesse preghiere. E, tornato, li trovò ancora addormentati, ché cascavano dal sonno, e non sapevano come rispondergli. Ritornò la terza volta e disse loro:”Dormite pure e riposatevi. Basta! L’ora è giunta, ecco il Figlio dell’uomo sarà dato in mano dei peccatori. Alzatevi, andiamo: ecco, chi mi tradisce è vicino”. E mentre ancora parlava, giunse Giuda Iscariote, uno dei dodici, e con lui gran turba armata di spade e di bastoni, mandati dai sommi sacerdoti, dagli Scribi e dagli anziani.  Or il traditore aveva dato loro questo segno:” Chi bacerò è lui; pigliatelo e portatelo via con precauzione”. E, come arrivò, subito accostatosi a lui disse:” salute, Maestro”. E lo baciò. E gli altri gli misero le mani addosso e lo catturarono. Ma uno dei presenti, sfoderata la spada, ferì un servo del sommo sacerdote e gli staccò un orecchio. E Gesù, rivoltosi a loro, disse:” Come fossi un ladrone, siete venuti a prendermi con spade e bastoni? Tutti i giorni ero con voi nel tempio ad insegnare e non mi arrestaste. Ma si devono adempiere le Scritture”. Allora i discepoli di lui, abbandonandolo, fuggirono tutti. Ma un giovinetto seguiva Gesà coperto di una veste di lino sulla nuda carne e lo presero. Ma lui, lasciata andare la veste, nudo se ne fuggì da loro.

 

Lc 22,39-53 Quindi uscì per andare, secondo il solito, al monte degli Olivi. E lo seguirono anche i discepoli. Giunto che fu sul posto disse loro:” Pregate per non cadere in tentazione”. Ed allontanandosi da loro quanto un tiro di sasso, piegate le ginocchia, pregava dicendo:” Padre, se vuoi allontana da me questo calice, però non la mia volontà sia fatta, ma la tua”. Allora gli apparve un Angelo dal cielo a confortarlo. E caduto in agonia pregava più intensamente. E diede in un sudore come gocce di sangue cadente in terra. E, alzatosi dalla preghiera, tornò ai suoi discepoli e li trovò addormentati per l’accasciamento, e disse loro:” Perché dormite? Alzatevi, e pregate per non cadere in tentazione”. Parlava ancora, quand’ ecco venire gente, e quello che si chiamava Giuda, uno dei dodici, la procedeva: egli s’accostò a Gesù per baciarlo. E Gesù gli disse:” Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?”. Or quelli che erano intorno a Gesù, vedendo quanto stava per succedere gli dissero:” Signore, mettiamo mano alla spada?”. E uno di loro colpì un servo del sommo sacerdote e gli portò via l’orecchio destro. Ma Gesù, rivoltosi a loro disse. Ora basta”. E toccato l’orecchio di colui, lo risanò. Quindi Gesù disse ai principi dei sacerdoti, ai capitani del tempio e agli anziani che erano venuti contro di lui:” Siete venuti con spade e bastoni come contro un ladrone? Quando ogni giorno stavo con voi nel tempio non mi metteste le mani addosso;ma questa è l’ora vostra e del regno delle tenebre”.

 

Gv 18,1-11 Detto questo, Gesù ando con i suoi discepoli oltre il torrente Cedron, dov’era un orto in cui entrò con essi. Or anche Giuda che lo tradiva conosceva quel luogo, perché spesso Gesù vi si ritirava con i suoi discepoli. Giuda pertanto, avuta la coorte e  delle guardie dai principi dei sacerdoti e dai farisei, andò là con lanterne e torce e armi. Ma Gesù, che sapeva tutto quel che doveva accadere, si fece avanti e chiese loro:”Chi cercate?” Gli risposero:” Gesù Nazareno”. E Gesù a loro :” Sono io”: Ed era con essi anche Giuda, il traditore. Ma appena Gesù ebbe detto loro.” Sono io”, diedero indietro e stramazzarono per terra. Di nuovo dunque domando loro:” Chi cercate?”. E quelli.” Gesù Nazareno”. Rispose Gesù.” Ve l’ ho detto che sono io; se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano”. Affinché s’adempisse la parola della da lui:” Di quelli che mi hai affidati non ho perduto nessuno”. Ma Simon Pietro, avendo in mano una spada, la sfoderò e colpi un servo del pontefice e gli porto via l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Allora Gesù disse a Pietro. Rimetti la tua spada nel fodero, rifiuterò io di bere il calice che il Padre mi ha dato?”.

 

 

 

Da “ L’ Evangelo come mi è stato rivelato” di M. Valtorta

Dice Gesù

16 marzo 1945

 

 

 

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Tutto il gruppo si riunisce«Ora dividiamoci. Io salgo in alto, a pregare. Con Me voglio Pietro, Giovanni e Giacomo. Voi rimanete qui. E, se foste sopraffatti, chiamate. E non temete. Non vi sarà torto un capello.Pregate per Me. Deponete odio e paura. Non sarà che un atti-mo... e poi la gioia sarà piena. Sorridete. Che Io abbia nel cuore vostri sorrisi. E ancora grazie di tutto, amici. Addio. Il Signoe non vi abbandoni...».Gesù si separa dagli apostoli e va avanti, mentre Pietro si fa dare da Simone la torcia dopo che questo ha acceso con essa degli sterpi resinosi, che bruciano scoppiettando sul limite dell'uliveto e spandendo un odore di ginepro. Mi fa pena vedere il Taddeo che guarda con uno sguardo talmente intenso e doloroso Gesù che questo si volge e cerca chi lo ha guardato. Ma il Taddeo si nasconde dietro a Bartolomeo e si morde le labbra per frenarsi. Gesù fa un gesto con la mano, fra la benedizione e l'addio, e poi prosegue il suo cammino. La luna, ormai ben alta, circonda della sua luce la sua alta figura e pare renderla anche più alta, spiritualizzandola, facendone più chiara la veste rossa e più pallido l'oro dei capelli. Dietro a Lui affrettano il passo Pietro con la torcia e i due figli di Zebedeo. Proseguono sino a raggiungere il limite della prima balza del rustico anfiteatro dell'uliveto, a cui fa da entrata la piazzola irregolare e da gradinate le diverse balze che ascendono a scaglioni di ulivi sul monte, poi Gesù dice: «Fermatevi, attendetemi qui, mentre Io prego. Ma non dormite. Potrei avere bisogno di voi. E, ve lo chiedo per carità, pregate! Il vostro Maestro è molto accasciato».E infatti di un accasciamento già profondo. Pare già aggravato da un peso. Dove è più il virile Gesù che parlava alle folle,bello, forte, dall'occhio dominatore, il pacato sorriso, la voce sonora e bellissima? Pare già preso da un affanno. E come uno che ha corso o che ha pianto. Ha una voce stanca e affannata.

Triste, triste, triste...

Pietro risponde per tutti: «Sta' tranquillo, Maestro. Vigileremo e pregheremo. Non hai che chiamarci, che verremo».

E Gesù li lascia, mentre i tre si curvano a radunare foglie e sterpi per fare un fuocherello che serva a tenerli desti e anche a combattere la guazza che comincia a scendere abbondante. Cammina, volgendo loro le spalle, da occidente a oriente,avendo perciò in faccia la luce lunare. Vedo che un grande dolore fa ancor più dilatato l'occhio, forse è un bistro di stanchezza che lo allarga, forse è l'ombra dell'arco sopraccigliare. Non so.So che ha l'occhio più aperto e incavato. Sale a testa china, solo ogni tanto la alza con un sospiro, come facesse fatica e anelasse, e allora gira il suo occhio tanto triste sul placido uliveto. Fa qualche metro in salita, poi gira intorno ad uno scaglione, che rimane così fra Lui e i tre lasciati più in basso.  Lo scaglione, alto pochi decimetri all'inizio, sale sempre più e dopo poco è alto più di due metri, di modo che ripara completamente Gesù da ogni sguardo più o meno discreto e amico. Gesù prosegue sino ad un grosso masso che ad un certo punto sbarra il sentieruolo, forse messo a sostegno alla costa che in giù scoscende più ripida e nuda sino ad una desolata macia, che precede le mura oltre le quali è Gerusalemme, e in su continua a salire con altri balzi e altri ulivi. Proprio sopra al grosso sasso si spenzola un ulivo tutto nodoso e contorto. Pare un bizzarro punto interrogativo messo dalla natura a chiedere qualche perché. I rami folti sulla cima danno risposta alla domanda del tronco, dicendo ora di sì col piegarsi verso terra, ora di no dimenandosi da destra a manca, sotto un vento lieve che passa a ondate fra le fronde e che a volte sa soltanto di terra, a volte di quell'odore amarognolo dell'ulivo, alle volte di un misto profumo di rose e mughetti che non si sa da dove possa venire.Oltre il sentieruolo, in basso, sono altri ulivi, ed uno, proprio sotto al masso, fenduto da qualche fulmine eppure sopravvissuto, o scosciato per non so che causa, ha del tronco iniziale fatto due tronchi che salgono come le due aste di un grande V in stampatello, e le due chiome si affacciano al di qua e al di là del masso, come volessero vedere e velare nello stesso tempo, o fare ad esso masso una base di un grigio argento tutto pace.

Gesù si ferma lì- Non guarda la città che appare là in basso, tutta bianca nella luce lunare. Anzi le volge le spalle e prega a braccia aperte a croce, col volto alzato verso il cielo. E non vedo il volto suo perché è nell'ombra, avendo la luna quasi a perpendicolo sul capo, è vero, ma anche la folta ramaglia dell'ulivo fra Lui e la luna, che appena filtra fra foglia e foglia con occhiellini ed aghi di luce in perpetuo movimento.Una lunga, ardente preghiera. Ogni tanto ha un sospiro e qualche parola più netta. Non è un salmo, non è il Pater. E una preghiera fatta dallo sgorgare del suo amore e del suo bisogno. Un vero discorso fatto al Padre suo. Lo comprendo per le poche parole che afferro; «Tu lo sai... Sono il tuo Figlio... Tutto, ma aiutami... L'ora è venuta... Io non sono più della Terra. Cessa ogni bisogno di aiuto al tuo Verbo... Fa' che l'Uomo ti soddisfi come Redentore come ti fu ubbidiente la Parola... Ciò che Tu vuoi... Per loro ti chiedo pietà... Li farò salvi? Questo ti chiedo. Voglio cosi: dal mondo salvi, dalla carne, dal demonio... Posso chiedere ancora? E giusta domanda. Padre mio. Non per Me. Per l'uomo, che è tua creazione e che volle rendere fango anche la sua anima. Io getto nel mio dolore e nel mio Sangue questo fango, perché torni l'incorruttibile essenza dello spirito a Te gradito... Ed è dovunque. Egli è il re questa sera. Nella reggia e nelle case. Fra le milizie e nel Tempio... La città ne è colma, e domani sarà un inferno...».

Gesù si volge, si appoggia con la schiena al masso e incrocia le braccia. Guarda Gerusalemme. Il viso di Gesù si fa sempre più mesto. Mormora: «Pare di neve... ed è tutta un peccato. Anche in essa quanti ho guarito! Quanto ho parlato'... Dove sono quelli che mi parevano fedeli?»...

Gesù curva il capo e guarda fisso il terreno coperto di una erbetta corta e lucida di guazza. Ma, per quanto abbia il capo chino, comprendo che piange, perché delle gocce lucono nel cadere dal volto al suolo. Poi alza il capo, disserra le braccia, le congiunge tenendole al disopra del capo e agitandole così unite. Poi si incammina. Torna verso i tre apostoli seduti intorno al loro fuocherello di sterpi. E li trova mezzo addormentati. Pietro si è addossato ad un tronco con le spalle e, con le braccia conserte sul petto, ciondola con la testa nelle prime caligini di un robusto sonno. Giacomo è seduto, con il fratello, su un radicone che affiora e sul quale hanno messo i mantelli per sentirne meno le gobbe, ma, nonostante siano scomodi più di Pietro,sono anche loro sonnecchianti. Giacomo ha abbandonato la testa sulla spalla di Giovanni e questo ha piegato la sua su quella del fratello, come se il dormiveglia li avesse immobilizzati in quella posa.

«Dormite? Non avete saputo vegliare un'ora sola? Ed Io ho tanto bisogno del vostro conforto e delle vostre preghiere!». I tre sobbalzano confusi. Si sfregano gli occhi. Mormorano una scusa, accusando lo sforzo del digerire come causa prima di questo loro sonnecchiare: «E il vino,.. il cibo.,. Ma ora passa. Un momento è stato. Non avevamo voglia di parlare e questo ci ha portati al sonno. Ma ora pregheremo a voce alta e non succederà più».

«Sì. Pregate e vigilate. Anche per voi ne avete bisogno».

«Sì, Maestro. Ti ubbidiremo».

"Gesù torna via. La luna che gli batte in volto, così forte nel suo chiarore d'argento che rende sempre più pallida la veste rossa come la velasse di una polvere bianco lucente, mi fa vedere il suo volto sconfortato, addolorato, invecchiato. Lo sguardo è sempre dilatato, ma pare appannato. La bocca ha una piega di stanchezza.

Torna al suo masso ancor più lento e curvo. Si inginocchia appoggiando le braccia al masso, che non è liscio ma a mezza altezza ha come un seno, quasi fosse stato lavorato apposta così, e su questo breve seno è nata una pianticina, che mi pare di quei fioretti simili a piccoli gigli che ho visto anche in Italia, dalle fogliete piccole, tonde ma dentellate agli orli e polpute e i fiorellini minuti sugli esilissimi steli. Sembrano piccoli fiocchi nevosi spruzzanti il grigio del masso e le foglietto verde scuro. Gesù appoggia le mani lì presso e i fiorellini gli vellicano la guancia, perché Egli appoggia il capo sulle mani giunte e prega. Dopo un poco sente il fresco delle piccole corolle, alza il capo. Le guarda. Le carezza. Parla loro: «Voi siete pure!... Voi mi date ristoro! C'erano anche nella grotticella della Mamma questi fiorellini... e Lei li amava perché diceva: "Quando ero piccina, diceva mio padre: 'Tu sei un giglio così piccino e tutto pieno di rugiada celeste... La Mamma! Oh! Mamma mia!». Ha uno scoppio di pianto. Col capo sulle mani congiunte, ricaduto un poco sui calcagni, Io vedo e l'odo piangere, mentre le mani stringono le dita e le tormentano l'una all'altra. Sento che dice: «Anche a Betlemme... e te li ho portati, Mamma. Ma questi, chi te li porterà più?-..».

Poi riprende a pregare e a meditare. Deve essere ben triste la sua meditazione, angosciosa più che triste, perché per sfuggirla Egli si alza, va avanti e indietro mormorando parole che non afferro, alzando il volto, abbassandolo, gestendo, passandosi sugli occhi, sulle gote, sui capelli, le mani con mosse macchinali e agitate, proprie di chi è in grande angoscia. Dirlo non è niente. Descriverlo è impossibile. Vederlo è andare nella sua angoscia. Gestisce verso Gerusalemme. Poi torna ad alzare le braccia verso il cielo come per invocare aiuto. Si leva il mantello come avesse caldo. Lo guarda... Ma che vede? I suoi occhi non guardano altro che la sua tortura, e tutto serve a questa tortura, ad aumentarla. Anche il mantello tessuto dalla Madre. Lo bacia e dice: «Perdono, Mamma! Perdono!». Pare lo chieda alla stoffa filata e tessuta dall'amore di mamma... Se lo rimette. E in uno strazio. Vuole pregare per superarlo. Ma con la preghiera tornano i ricordi, le apprensioni, i dubbi, i rimpianti... E una valanga di nomi... città... persone fatti... Non posso seguirlo perché è veloce e saltuario. E la sua vita evangelica che gli sfila davanti... e gli riporta Giuda traditore.

E’ tanto l'affanno che urla, per vincerlo, il nome di Pietro e Giovanni. E dice: «Ora verranno. Sono ben fedeli loro!». Ma “loro" non vengono. Chiama di nuovo. Pare terrorizzato come vedesse chissà che. Fugge veloce verso il luogo dove è Pietro e i due fratelli. E li trova più comodamente e pesantemente addormentati intorno a poche bragie che, ormai morenti, hanno solo dei zig e zag di rosso fra il grigio della cenere.

«Pietro! Vi ho chiamati tre volte! Ma che fate? Dormite ancora? Ma non sentite quanto soffro? Pregate. Che la carne non vinca, non vi vinca. In nessuno. Se lo spirito è pronto, la carne è debole. Aiutatemi...».

I tre sono più lenti a svegliarsi. Ma infine lo fanno e, con occhi imbambolati, si scusano. Si alzano, prima mettendosi seduti, poi mettendosi proprio ritti.

«Ma guarda!» mormora Pietro. «Non ci è mai accaduto! Deve essere proprio stato quel vino. Era forte. E anche questo fresco. Ci si è coperti per non sentirlo (infatti si erano coperti coi mantelli anche sul capo) e non si è più visto il fuoco, non si è avuto più freddo, ed ecco che il sonno è venuto. Dici che hai chiamato? Eppure non mi pareva di dormire tanto forte... Su, Giovanni, cerchiamo dei rametti, muoviamoci. Ci passerà. Sta'sicuro. Maestro, che ora poi!…Resteremo in piedi…», e getta una manata di fogliette secche sulle bragie, e soffia finché la fiamma risuscita, e la alimenta con i rami di rovo portati da Giovanni, mentre Giacomo porta un grosso ramo di ginepro, o simile pianta, che ha tagliato da un macchione poco discosto, e lo unisce al resto.

La fiamma si alza alta e gioconda illuminando il povero viso di Gesù. Un viso veramente di una tristezza che non si può guardare senza piangere. Ogni fulgore di quel volto è annullato in una stanchezza mortale. Dice: «Sono in un'angoscia che mi uccide! Oh! sì! L'anima mia è triste sino a morirne. Amici!...Amici! Amici!». Ma, se anche così non dicesse, il suo aspetto direbbe che Egli è proprio come uno che muore, e nel più angoscioso e desolato abbandono. Pare che ogni parola sia un singhiozzo…

Ma i tre sono troppo carichi di sonno. Sembrano quasi ebbri tanto vanno traballando ad occhi semichiusi... Gesù li guarda...

Non li mortifica con rimproveri. Scuote il capo, sospira e torna via. Al posto di prima.

Prega di nuovo in piedi, con le braccia in croce. Poi in ginocchio come prima, col volto curvo sui piccoli fiori. Pensa. Tace... Poi si dà a gemere e singhiozzare forte, quasi prostrato tanto è rilassato sui calcagni. Chiama il Padre. Sempre più affannosamente...

«Oh!» dice. «E troppo amaro questo calice! Non posso! Non posso! E al di sopra di quanto Io posso. Tutto ho potuto! Ma non questo... Allontanalo, Padre, dal tuo Figlio! Pietà di Me!...Che ho fatto per meritarlo?». Poi sì riprende e dice: «Però, Padre mio, non ascoltare la mia voce se essa chiede ciò che è contrario alla tua volontà. Non ricordarti che ti sono Figlio, ma solo servo tuo. Non la mia, ma la tua volontà sia fatta».

Rimane così qualche tempo. Poi ha un grido soffocato e alza un viso sconvolto. Un attimo solo, poi piomba al suolo, proprio volto a terra, e resta così. Uno straccio d'uomo su cui preme tutto il peccato del mondo, su cui si abbatte tutta la Giustizia del Padre, su cui scende la tenebra, la cenere, il fiele, quella tremenda, tremenda, tremendissima cosa che è l'abbandono di Dio mentre Satana ci tortura… E l'asfissia dell'anima, è l'essere sepolti vivi in questa carcere che è il mondo, quando non si può più sentire che fra noi e Dio vi è un legame, è l'essere incatenati, imbavagliati, lapidati dalle nostre preghiere stesse che ci ricadono addosso irte di punte e sparse di fuoco, è il dare di cozzo contro un Cielo chiuso in cui non penetrano ne voce ne sguardi della nostra angoscia, è l'essere "orfani di Dio", è la pazzia, l'agonia, il dubbio d’essersi sino allora ingannati; e la persuasione di essere scacciati da Dio, di esser dannati. E l'inferno!...

Oh! lo so! e non posso, non posso vedere lo spasimo del mio Cristo, e sapere che esso è un milione di volte più atroce di quello che mi ha consumata lo scorso anno e che, quando mi torna alla mente, mi sconvolge ancora...

Gesù geme, fra rantoli e sospiri proprio d'agonia: «Niente!…Niente!... Via!... La volontà del Padre. Quella! Quella sola!... La tua volontà. Padre. La tua, non la mia... Inutile. Non ho che un Signore: Iddio santissimo. Una legge: l'ubbidienza. Un amore: la redenzione... No. Non ho più Madre. Non ho più vita. Non ho più divinità. Non ho più missione. Inutilmente mi tenti, demonio, con la Madre, la vita, la mia divinità, la mia missione. Ho per madre l'Umanità e l'amo sino a morire per lei. La vita la rendo a Chi me l' ha data e me la chiede, supremo Padrone di ogni vivente. La divinità l'affermo essendo capace di questa espiazione. La missione la compio con la mia morte. Nulla ho più. Fuorché fare la volontà del Signore, mio Dio. Va' indietro, Satana! L' ho detto la prima e la seconda volta. Lo ridico per la terza: "Padre, se è possibile passi da Me questo calice. Ma però non la mia, la tua volontà sia fatta". Va' indietro. Satana. Io sono di Dio».

Poi non parla più altro che per dire fra gli ansiti: «Dio! Dio! Dio!». Lo chiama ad ogni battito di cuore, e pare che ad ogni battito il sangue trabocchi. La stoffa tesa sulle spalle se ne imbibisce e torna scura, nonostante il grande chiarore lunare che lo fascia tutto.

Pure un chiarore più vivo si forma sul suo capo, sospeso a circa un metro da Lui, un chiarore così vivo che anche il Prostrato lo vede filtrare fra le onde dei capelli, già pesanti di sangue, e il velo che il sangue fa agli occhi. Alza il capo... Splende la luna sul povero volto, e ancora più splende la luce angelica simile a quella del diamante bianco azzurro della stella Venere.

E appare tutta la tremenda agonia nel sangue che trasuda dai pori. Le ciglia, i capelli, i baffi, la barba sono aspersi e cospersi di sangue. Sangue cola dalle tempie, sangue sgorga dalle vene del collo, sangue gocciano le mani, e quando Egli tende le mani verso la luce angelica e le ampie maniche scorrono in su, verso i gomiti, appaiono tutti sudanti sangue gli avambracci di Cristo. Nel viso, solo le lacrime fanno due righe nette fra la maschera rossa. Si torna a levare il mantello e si asciuga le mani, il volto, il collo, gli avambracci. Ma il sudore continua. Egli si preme più e più volte la stoffa sul volto tenendola premuta con le mani, ed ogni volta che cambia posto, sulla stoffa rosso scura appaiono nette le impronte che, umide come sono, sembrano essere nere.

L'erba del suolo è rossa di sangue.

Gesù pare prossimo a mancare. Si slaccia la veste al collo come si sentisse soffocare. Si porta la mano al cuore e poi al capo e se l'agita davanti al volto come per farsi vento, tenendo la bocca dischiusa. Si trascina contro il masso, ma più verso lo scrimolo del balzo, e si appoggia con la schiena ad esso, stando con le braccia pendenti lungo il corpo come fosse già morto, la testa penzoloni sul petto. Non si muove più.

La luce angelica decresce piano piano. Poi viene come assorbita nel chiarore lunare.

Gesù riapre gli occhi. Alza a fatica il capo. Guarda. E solo. Ma è meno angosciato. Allunga una mano. Tira a Sé il mantello, lasciato abbandonato sull'erba, e torna ad asciugarsi il volto, le mani, il collo, la barba, i capelli. Prende una larga foglia, nata proprio in riva al ciglio, tutta bagnata di guazza, e con quella finisce di pulirsi, bagnandosi volto e mani e poi asciugandosi da capo. E ripete, ripete con altre foglie, finché ha cancellato le tracce del suo tremendo sudore. Solo la veste, e specie sulle spalle e alle pieghe dei gomiti, al collo e alla cintura, ai ginocchi, è macchiata. Se la guarda e scuote il capo. Guarda anche il mantello. Ma lo vede troppo macchiato. Lo piega e lo pone sul masso, là dove esso fa cuna, presso i fioretti.

Con fatica, come per debolezza, si rigira mettendosi in ginocchio. Prega appoggiando il capo sul mantello, su cui sono già le mani. Poi si puntella al masso, si alza e, ancora lievemente barcollando, va dai discepoli. Il suo viso è pallidissimo.

Ma non è più turbato. E un viso pieno di divina bellezza, pure essendo esangue e mesto oltre il solito.

I tre dormono saporitamente. Tutti avvolti nei mantelli, sdraiati affatto, presso il fuoco spento, si sentono respirare profondamente in un principio di sonoro russare.

Gesù li chiama. Inutile. Deve chinarsi e scuotere generosamente Pietro.

«Cosa è? Chi mi arresta?» dice questo emergendo sbalordito e spaventato dal suo mantello verde scuro.

«Nessuno. Sono Io che ti chiamo».

«E mattina?».

«No. E quasi terminata la seconda vigilia».

Pietro è tutto ingranchito.

Gesù scuote Giovanni, che ha un grido di terrore vedendo su di lui curvo un volto di fantasma tanto è marmoreo. «Oh!... Mi parevi morto!».

Scuote Giacomo, e questo, che crede che sia il fratello che lo chiama, dice: «Hanno preso il Maestro?».

«Non ancora, Giacomo» risponde Gesù. «Ma alzatevi ormai e andiamo. Chi mi tradisce è vicino».

I tre, ancora imbambolati, si alzano. Si guardano intorno...Ulivi, luna, usignoli, venticello, pace... Null'altro. Seguono però Gesù senza parlare. Anche gli altri otto sono più o meno addormentati intorno al fuoco spento.

«Sorgete!» tuona Gesù. «Mentre Satana viene, mostrate all'insonne e ai suoi figli che i figli di Dio non dormono!».

«Sì, Maestro».

«Dove è, Maestro?».

«Gesù, io...».

«Ma che è stato?».

E fra arruffate domande e risposte si rimettono i mantelli...

Appena in tempo per apparire in ordine alla sbirraglia capitanata da Giuda, che irrompe nella quieta piazzuola illuminandola violentemente con molte torce accese. Sono un'orda di banditi camuffati da soldati, facce da galera torte in ghigni da demoni. Vi è anche qualche campione del Tempio.

Gli apostoli balzano tutti in un angolo. Pietro davanti, e dietro in gruppo gli altri. Gesù resta dove è.

Giuda si accosta sostenendo lo sguardo di Gesù, che è tornato il lampeggiante sguardo dei suoi giorni migliori. E non abbassa il volto. Anzi si fa vicino con un sorriso da iena e lo bacia sulla guancia destra.

«Amico, e che sei venuto a fare? Con un bacio mi tradisci?».

Giuda curva per un attimo la testa, poi la rialza... Morto al rimprovero come ad ogni invito al pentimento. Gesù, dopo le prime parole ancora dette con imponenza di Maestro, prende il tono accorato di chi si rassegna ad una sventura.

La sbirraglia, con un clamore di urla, viene avanti con funi e bastoni e cerca dì impadronirsi degli apostoli, oltre che di Cristo. Meno Giuda Iscariota, si intende.

«Chi cercate?» chiede Gesù, calmo e solenne.

«Gesù Nazareno».

«Sono Io». La voce è un tuono. Davanti al mondo assassino e a quello innocente, davanti alla natura e alle stelle, Gesù si rende questa testimonianza, aperta, leale, sicura, direi che è lieto di potersela dare.

Ma, se avesse sprigionato un fulmine, non avrebbe potuto fare di più. Come un fascio di spighe falciate, tutti cadono al suolo. Restano in piedi solo Giuda, Gesù e gli apostoli, che davanti allo spettacolo dei soldati abbattuti riprendono fiato, tanto che si avvicinano a Gesù con delle minacce così esplicite per Giuda che questo fa un balzo, appena in tempo per sfuggire al colpo maestro della spada di Simone, e invano inseguito da pietre e bastoni, lanciatigli dietro dagli apostoli non armati di spada, fugge oltre il Cedron e si infosca nel nero di un viottolo.

«Alzatevi. Chi cercate? Torno a chiedervi».

«Gesù Nazareno».

«Ve l'ho detto che sono Io» dice con dolcezza Gesù. Sì, con dolcezza. «Lasciate dunque liberi questi altri. Io vengo. Riponete le spade e i bastoni. Non sono un ladrone. Stavo sempre fra voi. Perché non mi avete preso allora? Ma questa è la vostra ora e quella di Satana...».

Ma, mentre parla, Pietro si accosta all'uomo che già tende le funi per legare Gesù e mena un maldestro colpo di spada. Se l'avesse usata di punta, lo sgozzava come un montone. Cosi non fa che staccargli quasi l'orecchio, che resta penzoloni fra un gran gemere di sangue. L'uomo grida dicendosi morto. Vi è tumulto fra chi vuoi venire avanti e chi ha paura vedendo luccicare spade e pugnali.

«Riponete quelle armi. Ve lo comando. Se volessi, avrei gli angeli del Padre a difendermi. E tu, guarisci. Nell'anima per prima cosa, se puoi». E, prima di tendere le mani alle corde,tocca l'orecchio e lo rende sano.

Gli apostoli hanno urli scomposti... Sì. Mi spiace dirlo ma è così. Chi dice una cosa, chi l'altra. Chi urla: «Ci hai traditi!», e chi: «Ma è folle!», e chi dice: «E chi ti può credere?»- Chi non urla, fugge...

E Gesù resta solo... Lui e gli sgherri... E incomincia il cammino. -.

 

 

 

Riflessioni sull’agonia nel Getsemani e premessa agli altri dolori della Passione

 

15 febbraio 1944

 

Dice Gesù:

 

«La sofferenza della mia agonia spirituale tu l' hai contemplata nella sera del Giovedì. Hai visto il tuo Gesù accasciarsi come uomo colpito a morte che sente fuggire la vita attraverso le ferite che lo svenano, o come creatura soverchiata da un trauma psichico superiore alle sue forze. Nei hai visto le fasi crescenti, di questo trauma, culminate nell'effusione sanguigna, provocata dallo squilibrio circolatorio causato dallo sforzo di vincermi e di resistere al peso che mi si era abbattuto sopra.

Io ero, sono, il Figlio del Dio altissimo. Ma ero anche il Figlio dell'uomo. Da queste pagine voglio che sgorghi nitida questa mia duplice natura, ugualmente totale e perfetta.

Della mia Divinità vi fa fede la mia parola, la quale ha accenti che solo un Dio può avere. Della mia Umanità i bisogni, le passioni, le sofferenze che vi presento e che patii nella mia carne di vero Uomo, proposta a modello della vostra umanità, così come vi istruisco lo spirito con la mia dottrina di vero Dio.

Tanto la mia santissima Divinità come la mia perfettissima Umanità, nel corso dei secoli e per l'azione disgregante della "vostra" umanità imperfetta, sono risultate menomate, svisate nella loro illustrazione. Avete resa irreale la mia Umanità, l'avete resa inumana, così come avete resa piccola la mia figura divina, negandola in tante parti che non vi faceva comodo riconoscere o che non potevate più riconoscere con i vostri spiriti,menomati dalle tabi del vizio e dell'ateismo, dell'umanismo, del razionalismo.

lo vengo, in quest'ora tragica, prodromo di universali sventure, vengo a rinfrescarvi nella mente la mia duplice figura di Dio e di Uomo, perché voi la conosciate quale Essa è, perché voi la riconosciate dopo tanto oscurantismo con cui l'avete coperta ai vostri spiriti, perché voi la amiate e torniate ad Essa e vi salviate per mezzo di Essa. E la figura del vostro Salvatore, e chi la conoscerà e l'amerà sarà salvo.

In questi giorni ti ho fatto conoscere le mie sofferenze fisiche. Esse hanno torturato la mia Umanità. Ti ho fatto conoscere le mie sofferenze morali, connesse, intrecciate, fuse a quelle della Madre mia, così come sono le inestricabili liane delle foreste equatoriali, che non si possono separare per reciderne una sola, ma che si deve spezzarle con un unico colpo d'accetta per aprirsi il varco, uccidendole insieme; così come sono le vene di un corpo, che non se ne può privare di sangue una perché un unico umore le empie; così, meglio ancora, cosi come non si può impedire che nella creatura, che sì forma nel seno della madre, entri la morte se la madre muore, perché è la vita, il calore, il nutrimento, il sangue della madre quello che, con ritmo sonante sul moto del materno cuore, penetra, attraverso le interne membrane, sino al nascituro e lo completa alla vita.

Ella, oh! Ella, la pura Madre mia, mi ha portato non solo per i nove mesi con cui ogni femmina d'uomo porta il frutto dell'uomo, ma per tutta la vita. I nostri cuori erano uniti da spirituali fibre e hanno palpitato insieme sempre, e non c'era lacrima materna che cadesse senza rigarmi il cuore del suo salso, e non c'era mio interno lamento che non risuonasse in Lei svegliando il suo dolore.

Vi fa pena la madre di un figlio destinato alla morte per morbo insanabile, la madre di un condannato al supplizio dal rigore dell'umana giustizia. Ma pensate a questa Madre mia, che dal momento in cui mi ha concepito ha tremato pensando che ero il Condannato, a questa Madre che quando m' ha dato il primo bacio sulle carni morbide e rosee di neonato ha sentito le future piaghe della sua Creatura, a questa Madre che avrebbe dato dieci, cento, mille volte la sua vita per impedirmi di divenire Uomo e di giungere al momento dell'Immolazione, a questa Madre che sapeva e che doveva desiderare quell'ora tremenda per accettare la volontà del Signore, per la gloria del Signore, per bontà verso l'Umanità. No, non vi è stata agonia più lunga, e finita in un dolore più grande, di quella della Madre mia.

E non vi è stato un dolore più grande, più completo de! mio. Ero Uno col Padre. Egli mi aveva dall'eternità amato come solo Dio può amare. Si era compiaciuto di Me ed aveva trovato in Me la sua divina gioia. Ed Io l'avevo amato come solo un Dio può amare, e trovato nell'unione con Lui la mia gioia divina. Gli ineffabili rapporti che legano ab eterno il Padre col Figlio non possono esservi spiegati neppure dalla mia parola, perché, se essa è perfetta, la vostra intelligenza non lo è, e non potete comprendere e conoscere ciò che è Dio finché non siete seco Lui nel Cielo. Ebbene, Io sentivo, come acqua che monta e preme contro una diga, crescere, ora per ora, il rigore del Padre verso di Me.

A testimonianza contro gli uomini-bruti, che non volevano comprendere chi ero, Egli aveva aperto, durante il tempo della mia vita pubblica, tre volte il Cielo: al Giordano, al Tabor e in Gerusalemme nella vigilia della Passione. Ma l'aveva fatto per gli uomini, non per dare sollievo a Me. Io ormai ero l'Espiatore.

Molte volte, Maria, Dio fa conoscere agli uomini un suo servo perché essi ne siano scossi e trascinati, attraverso esso, a Lui, ma ciò avviene anche attraverso il dolore di quel servo. E desso che paga in proprio, mangiando il pane amaro del rigore di Dio, i conforti e la salvezza dei fratelli. Non è vero? Le vittime d'espiazione conoscono il rigore di Dio. Poi viene la gloria.

Ma dopo che la Giustizia è placata. Non è come per il mio Amore, che alle sue vittime da i suoi baci. Io sono Gesù, Io sono il Redentore, Colui che ha sofferto e so, per personale esperienza, cosa sia il dolore d'esser guardato con severità da Dio ed essere abbandonato da Lui, e non sono mai severo, e non abbandono mai. Consumo ugualmente, ma in un incendio d'amore.

Più l’ora dell'espiazione si avvicinava e più Io sentivo allontanarsi il Padre. Sempre più separato dal Padre, la mia Umanità si sentiva sempre meno sorretta dalla Divinità di Dio. E ne soffrivo in tutte le maniere. La separazione da Dio porta seco paura, porta seco attaccamento alla vita, porta seco languore, stanchezza, tedio. Più è profonda e più sono forti queste sue conseguenze- Quando è totale, porta disperazione. E quanto più chi, per un decreto di Dio, la prova senza averla meritata, più ne soffre, perché lo spirito vivo sente la recisione da Dio così come una carne viva sente la recisione di un arto. E uno stupore doloroso, accasciante, che chi non l' ha provato non intende.

Io l' ho provato- Tutto ho dovuto conoscere per potere di tutto perorare presso il Padre in vostro favore. Anche le vostre disperazioni. Oh, Io l' ho provato cosa vuoi dire: "Sono solo. Tutti mi hanno tradito, abbandonato. Anche il Padre, anche Dio non m'aiuta più". Ed è per questo che opero misteriosi prodigi di grazia presso i poveri cuori che la disperazione soverchia, e che chiedo ai miei prediletti di bere il mio calice così amaro di esperienza, perché essi, coloro che naufragano nel mare della disperazione, non ricusino la croce che offro per ancora e per salvezza, ma vi si afferrino ed Io li possa portare alla beata riva dove non vive che pace.

Nella sera del Giovedì, Io solo so se avrei avuto bisogno del Padre! Ero uno spirito già agonizzante per lo sforzo di aver dovuto superare i due più grandi dolori di un uomo: l'addio ad una madre amatissima, la vicinanza dell'amico infedele. Erano due piaghe che mi bruciavano il cuore. Una col suo pianto, l'altra col suo odio.

Avevo dovuto spezzare il mio pane col mio Caino. Avevo dovuto parlargli da amico por non accusarlo agli altri, della cui violenza non ero sicuro, e per impedire un delitto, inutile d'altronde poiché tutto era già segnato nel gran libro della vita: e la mia Morte santa, ed il suicidio di Giuda. Inutili altre morti riprovate da Dio. Nessuno altro sangue che non fosse il mio doveva esser sparso, e sparso non fu. Il capestro strozzò quella vita chiudendo nel sacco immondo del corpo del traditore il suo sangue impuro venduto a Satana, sangue che non doveva mescolarsi, cadendo sulla Terra, al Sangue purissimo dell'Innocente.

Sarebbero bastate quelle due piaghe a fare di Me un agonizzante nel mio Io. Ma ero l'Espiatore, la Vittima, l'Agnello. L'agnello, prima d'esser immolato, conosce il marchio rovente, conosce le percosse, conosce lo spogliamente, conosce la vendita al beccaio. Solo per ultimo conosce il gelo del coltello che penetra nella gola e svena e uccide. Prima deve lasciare tutto: il pascolo dove è cresciuto, la madre al cui petto si è nutrito e scaldato, i compagni con cui ha vissuto. Tutto. Io ho conosciuto tutto: Io, Agnello di Dio.

Perciò è venuto Satana, mentre il Padre si ritirava nei Cieli. Era già venuto all'inizio della mia missione, a tentarmi per sviarmi da essa. Ora tornava. Era la sua ora. L'ora della tregenda satanica.

Torme e torme di demoni erano quella notte sulla Terra, per portare a termine la seduzione nei cuori e farli pronti a volere il domani l'uccisione del Cristo. Ogni sinedrista aveva il suo, e il suo Erode, e il suo Pilato, e il suo ogni singolo giudeo che avrebbe invocato su lui il mio Sangue. Anche gli apostoli avevano il loro tentatore al fianco, che li assopiva mentre Io languivo, che li preparava alla viltà. Osserva il potere della purezza. Giovanni, il puro, si liberò primo fra tutti della grinfia demoniaca e tornò subito presso il suo Gesù e lo comprese nel suo inespresso desiderio, e mi condusse Maria.

Ma Giuda aveva Lucifero, ed Io avevo Lucifero. Egli nel cuore, Io al fianco. Eravamo i due principali personaggi della tragedia, e Satana si occupava personalmente di noi. Dopo aver condotto Giuda al punto di non potere più retrocedere, si volse a Me.

Con la sua astuzia perfetta, mi presentò le torture della carne con un verismo insuperabile. Anche nel deserto aveva cominciato dalla carne. Lo vinsi pregando. Lo spirito signoreggiò le paure della carne.

Mi presentò allora l'inutilità del mio morire, l'utilità di vivere per Me stesso senza occuparmi degli uomini ingrati. Vivere ricco, felice, amato. Vivere per la Madre mia, per non farla soffrire. Vivere per portare a Dio con un lungo apostolato tanti uomini, i quali, una volta Io morto, m'avrebbero dimenticato, mentre se fossi stato Maestro non per tre anni ma per lustri e lustri avrebbero finito ad immedesimarsi della mia dottrina. I suoi angeli mi avrebbero aiutato a sedurre gli uomini. Non vedevo che gli angeli di Dio non intervenivano nell'aiutarmi? Dopo, Dio mi avrebbe perdonato vedendo la messe di credenti che gli avrei portato. Anche nel deserto m'aveva indotto a tentare Iddio con l'imprudenza. Lo vinsi con la preghiera. Lo spirito signoreggiò la tentazione morale.

Mi presentò l'abbandono di Dio. Egli, il Padre, non mi amava più. Ero carico dei peccati del mondo. Gli facevo ribrezzo.

Era assente, mi lasciava solo. Mi abbandonava al ludibrio di una folla feroce. E non mi concedeva neppure il suo divino conforto. Solo, solo, solo. In quell'ora non c'era che Satana presso il Cristo. Dio e gli uomini erano assenti, perché non mi amavano. Mi odiavano o erano indifferenti. Io pregavo per coprire col mio orare le parole sataniche. Ma la preghiera non saliva più a Dio. Ricadeva su Me come le pietre della lapidazione e mi schiacciava sotto la sua macia. La preghiera, che per Me era sempre carezza data al Padre, voce che saliva, ed alla quale rispondeva carezza e parola paterna, ora era morta, pesante, invano lanciata contro i Cieli chiusi.

Allora sentii l'amaro del fondo del calice. Il sapore della disperazione. Era questo che voleva Satana. Portarmi a disperare per fare di Me un suo schiavo. Ho vinto la disperazione e l' ho vinta con le sole mie forze, perché ho voluto vincerla. Con le sole mie forze di Uomo. Non ero più che l'Uomo. E non ero più che un uomo non più aiutato da Dio. Quando Dio aiuta è facile sollevare anche il mondo e sostenerlo come giocattolo di bimbo. Ma quando Dio non aiuta più, anche il peso di un fiore ci è faticoso.

Ho vinto la disperazione, e Satana suo creatore, per servire Dio e voi dandovi la Vita. Ma ho conosciuto la Morte. Non la morte fisica del crocifisso — quella fu meno atroce — ma la Morte totale, cosciente, del lottatore che cade, dopo aver trionfato, col cuore spezzato e il sangue che si  travasa nel trauma di uno sforzo superiore al possibile. Ed ho sudato sangue. Ho sudato sangue per essere fedele alla volontà di Dio.

Ecco perché l'angelo del mio dolore mi ha prospettato la speranza di tutti i salvati per il mio sacrificio come medicina al mio morire.

I vostri nomi! Ognuno m'è stato una stilla di farmaco infuso nelle vene per ridare loro tono e funzione, ognuno m'è stato vita che torna, luce che torna, forza che torna. Nelle inumane torture, per non urlare il mio dolore di Uomo, e per non disperare di Dio e dire che Egli era troppo severo e ingiusto verso la sua Vittima, Io mi sono ripetuto i vostri nomi. Io vi ho visti. Io vi ho benedetti da allora. Da allora vi ho portati nel cuore. E quando è per voi venuta la vostra ora di essere sulla Terra, Io mi sono proteso dai Cieli ad accompagnare la vostra venuta, giubilando al pensiero che un nuovo fiore di amore era nato nel mondo e che avrebbe vissuto per Me.

Oh! miei benedetti! Conforto del Cristo morente! La Madre, il Discepolo, le Donne pietose erano intorno al mio morire, ma voi pure c'eravate. I miei occhi morenti vedevano, insieme al volto straziato della Mamma mia, i vostri visi amorosi, e si sono chiusi così, beati di chiudersi perché vi avevano salvati, o voi che meritato il Sacrificio di un Dio».

 

 

16 febbraio 1944.

 

"Dice Gesù :

 

«Hai conosciuto ormai tutti i dolori che hanno preceduto la Passione propriamente detta. Ora ti farò conoscere i dolori della Passione in atto. Quei dolori che più colpiscono la vostra mente quando li meditate.

Ma li meditate molto poco. Troppo poco. Non riflettete a quanto mi siete costati e di quale tortura è fatta la vostra salvezza. Voi che vi lamentate di una scorticatura, di un urto contro uno spigolo, di un male di capo, non pensate che Io ero tutto una piaga, che quello piaghe erano invelenite da molte cose, che le cose stesse servivano a tormento del loro Creatore, perché torturavano il già torturato Dio-Figlio senza rispetto a Colui che, Padre del creato, le aveva formate.

Ma le cose non erano colpevoli. Era ancora e sempre l'uomo il colpevole. Il colpevole dal giorno che ascoltò Satana nel Paradiso terrestre. Non spine, non tossico, non ferocia avevano sino a quel momento le cose del creato per l'uomo creatura eletta. Dio lo aveva fatto re, questo uomo, fatto a sua immagine e somiglianza, e nel suo paterno amore non aveva voluto che le cose potessero essere insidiose all'uomo. Satana mise l'insidia.

Nel cuore dell'uomo per prima. Poi essa partorì all'uomo, colla punizione del peccato, triboli e spine.

Ed ecco che Io, l'Uomo, ho dovuto soffrire anche per le cose e dalle cose, oltre che dalle persone. Queste mi dettero insulti e sevizie; quelle ne furono arma.

La mano che Dio aveva fatto all'uomo per distinguerlo dai bruti, la mano che Dio aveva insegnato all'uomo ad usare, la mano che Dio aveva messo in rapporto con la mente rendendola esecutrice dei comandi della mente, questa parte di voi così perfetta e che avrebbe dovuto aver solo carezze per il Figlio di Dio, dal quale aveva avuto solo carezze e guarigione se era malata, si rivoltò contro il Figlio di Dio e lo colpì di guanciate, di pugni, si armò di flagelli, si fece tenaglia per strappare capelli e barba, e maglio per conficcare i chiodi.

I piedi dell'uomo, che avrebbero dovuto unicamente correre solerti ad adorare il Figlio di Dio, furono veloci per venire a catturarmi, a sospingermi e trascinarmi per le vie dai miei carnefici, e per colpirmi di calci come non è lecito fare con un mulo restio.

La bocca dell'uomo, che avrebbe dovuto usare della parola, la parola che è dote data unicamente all'uomo su tutti gli animali creati, per lodare e benedire il Figlio di Dio, si empì di bestemmie e menzogne e gettò queste, insieme con la sua bava, contro la mia persona.

La mente dell'uomo, quella che è la prova della sua origine celeste, stancò se stessa per escogitare tormenti di un raffinato rigore.

L'uomo, tutto l'uomo usò di se stesso, nelle sue singole parti, per torturare il Figlio di Dio. E chiamò la terra, con le sue forme, ad aiuto nel torturare. Fece, delle pietre dei torrenti, proiettili per ferirmi; dei rami delle piante, randelli per percuotermi; della ritorta canapa, laccio per trascinarmi, segandomi le carni; delle spine, una corona di pungente fuoco al mio capo stanco; dei minerali, un esasperato flagello; della canna, uno strumento di tortura; delle pietre delle vie, un'insidia al piede vacillante di Colui che saliva, morendo, per morire crocifisso.

E allo cose delta terra si unirono le cose del cielo. Il freddo dell'alba al mio corpo già esausto dell'agonia dell'orto, il vento che esaspera le ferite, il sole che aumenta arsione e febbre e porta mosche e polvere, che abbacina gli occhi stanchi a cui le mani prigioniere non possono far riparo.

E alle cose del cielo si uniscono le fibre concesse all'uomo per rivestire la sua nudità: nel cuoio che diviene flagello, nella lana della veste che si attacca alle aperte piaghe dei flagelli e da tortura di conficcamento e di lacerazione ad ogni mossa.

Tutto, tutto, tutto ha servilo per tormentare il Figlio di Dio. Egli, per cui tutte le cose sono state create, nell'ora in cui era l'Ostia offerta a Dio ebbe tutte le cose nemiche. Non ha avuto sollievo, Maria, il tuo Gesù da nessuna cosa. Come vipere inferocite, tutto quanto è si volse a mordermi le carni e ad accrescere il patire.

Questo occorrerebbe pensare quando soffrite e, paragonando le vostre imperfezioni alla mia perfezione e il mio dolore al vostro, riconoscere che il Padre ama voi come non amò Me in quell'ora, ed amarlo perciò con tutti voi stessi, come Io l 'ho amato nonostante il suo rigore».

 

 

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La Morte