Mt 27, 33-58. E arrivati al luogo detto Golgota, che vuoi dire luogo del teschio, gli diedero a
bere del vino mischiato con fiele; ma, assaggiatelo,non
volle berne. Quando poi lo ebbero crocifisso, si spartirono le sue vesti
tirando a sorte, affinché si adempisse ciò che fu detto per il profeta: «Si
sono tra di loro spartiti i miei vestimenti, e la mia veste l' hanno tirata a
sorte». E seduti gli facevano la guardia. Al di sopra del capo di lui posero
la causa della condanna sua: «Questo è Gesù, il Re dei Giudei». Allora furono crocifissi con lui due ladroni, uno a
destra e l'altro a sinistra. E coloro che passavano, lo bestemmiavano e
dicevano crollando il capo: «Tu che distruggi il tempio di Dio e lo
rifabbrichi in tre giorni, salva te stesso; se tu sei il Figlio di Dio,
scendi dalla croce». Nello stesso modo i principi dei sacerdoti e gli Scribi
con gli anziani dicevano, sbeffeggiandolo: «Ha salvato gli altri e non può
salvare se stesso! Se è il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli
crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi, ora, se gli vuole bene. Giacché ha
detto; "Sono Figlio di Dio"». E nello stesso modo lo
svillaneggiavano anche i ladroni che erano stati crocifissi con lui. Ma dall'ora sesta alla nona si fece gran buio sulla
terra. E verso l'ora nona Gesù grido con gran voce; « Eli,
Eli,lamma
sabactani?». Cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato?". E alcuni dei circostanti, udito ciò, dicevano: «Costui
chiama Elia». E subito uno di loro corse ad inzuppare una spugna nell'aceto
e, postala in cima ad una canna, gli dava da bere. Ma gli altri dicevano:
«Lascia, vediamo se viene Elia a liberarlo». E Gesù, dopo aver di nuovo
gridato con gran voce, rese lo spirito. Ed ecco, il velo del tempio si squarciò in due parti, da
capo a fondo; e la terra tremò; e le pietre si spezzarono; le tombe si
aprirono; molti corpi dei santi che dormivano il sonno della morte
risuscitarono, e usciti dai loro sepolcri, dopo la risurrezione di Gesù,entrarono nella santa città e apparvero a molti. E il
centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù. veduto il terremoto e le cose che accadevano, ebbero gran
timore e dissero: « Costui era davvero Figlio di Dio». Vi erano pure a distanza molte donne che avevano seguito Gesù
dalla Galilea per assisterlo; tra le quali era Maria Maddalena e Maria madre
di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedeo. E fattasi sera, venne un uomo ricco di Arimatea chiamato Giuseppe, che era anche lui discepolo
di Gesù: costui, presentatosi a Pilato, gli chiese
il corpo di Gesù. Allora Pilato comandò che gli
fosse consegnato il corpo. Mc 15, 22-45. E condussero Gesù al luogo del Golgota, che tradotto significa
il luogo del teschio. E gli dettero da bere del vino mirrato,
ma non ne prese. Poi lo crocifissero e ne divisero le vesti, tirandole a
sorte per sapere quel che toccasse a ciascuno. Era
l'ora terza, quando lo crocifissero. C'era scritto sopra il titolo della sua condanna: «Il
Re dei Giudei ». E con lui crocifissero due ladroni: uno alla sua destra,
l'altro alla sua sinistra. Così fu adempita la Scrittura che dice: «È stato
annoverato tra i malfattori». E quelli che passavano lo bestemmiavano e dicevano
crollando il capo; « Ehi,tu che distruggi il tempio di Dio e in tre giorni lo
riedifichi, salva te stesso e scendi dalla croce!» Nello stesso modo anche i capi dei
sacerdoti e gli Scribi, facendosi
beffe di lui, dicevano tra di loro «Ha salvato gli altri e non può salvare se
stesso! Il Cristo, il Re d'Israele, scenda ora dalla croce, affinché vediamo e crediamo». Anche quelli crocifissi con lui lo
beffeggiavano. E, venuta l'ora sesta, le tenebre coprirono la terra
fino all'ora nona. E all'ora
nona Gesù esclamò con gran voce:«Eloi, Eloi, lamina sabactani?», che
tradotto significa: «Dio mio, Dio mio
perché mi hai abbandonato?» ». E alcuni degli astanti, uditelo dicevano:
«Ecco chiama Elia». Ed uno corse e, inzuppata una
spugna nell'aceto e postala in cima ad una canna, gli dette da bere dicendo:
«Lasciate, vediamo se Elia viene a levarlo». Ma Gesù, emettendo un altissimo
grido, spirò. E il velo del tempio sì squarciò in due, da capo a
fondo, E il centurione, che gli stava di faccia, vedendo come fosse spirato, gridando altamente esclamò; «Questo uomo
era veramente Figlio di Dio». C'erano
pure delle donne che da lontano osservavano, tra le quali era Maria Maddalena
e Maria madre di Giacomo il
Minore e di Giuseppe, e Salome; queste, mentre egli
era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano venute a
Gerusalemme insieme con lui. E fattasi sera, ch'era la Parasceve,
cioè la vigilia del sabato, Giuseppe d'Arimatea,
nobile consigliere, che pure aspettava il regno di Dio, andò a presentarsi
coraggiosamente a Pilato e gli chiese il corpo di
Gesù. Pilato
si meravigliò che fosse già spirato; e fatto chiamare il centurione, gli
domandò se fosse già morto. Ed essendo da lui stato rassicurato, donò il
corpo a Giuseppe. Lc 23, 33-52. E, giunti al luogo detto Calvario,
vi crocifìssero lui e i malfattori, uno a destra e
l'altro a sinistra. E Gesù diceva; "Padre, perdona loro, perché non sanno quel che
fanno". Poi, divise le sue vesti, le tirarono a sorte. E il popolo stava a guardare e lo beffeggiava con i suoi
capi, i quali dicevano: «Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se
e il Cristo, l'Eletto di Dio!». E anche i soldati lo schernivano,
accostandosi e porgendogli l'aceto, e dicevano: «Se tu sei il Re dei Giudei,
salva te stesso». C'era inoltre sul capo di lui anche una iscrizione in
greco, latino ed ebraico: «Questi è il Re dei Giudei». Or uno dei briganti croci fissi lo bestemmiava
dicendo: «Se tu sei il Cristo, salva te e noi». Rispondendogli, l'altro lo
riprendeva col dirgli: «Neppure tu temi Dio. trovandoti
con lui nel medesimo supplizio? E, in quanto a noi, è giusto, perché
riceviamo degna pena per le nostre azioni, ma costui non ha fatto nulla di
male». E diceva a Gesù: «Signore, ricordati di me quando sarai giunto nel tuo
regno». E Gesù gli rispose: «Io ti dico in verità, che oggi sarai meco in
Paradiso». Era
circa l’ora sesta e si
fece buio per tutta la terra fino all'ora nona, per l' eclissarsi del sole; e
il velo del tempio si squarciò per mezzo. E Gesù, gridando a gran voce,
disse: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito». E, detto questo, spirò. Il centurione, visto l'accaduto, diede gloria a Dio dicendo:
«Certamente questo uomo era giusto". E tutto il popolo che era presente
a questo spettacolo, vedute le cose che erano successe, tornava indietro
battendosi il petto. Ma tutti i suoi amici e le donne che lo avevano seguito
dalla Galilea stavano in distanza ad osservare queste cose. Allora
un uomo, chiamato Giuseppe, che era del Sinedrio, uomo dabbene
e giusto e non aveva consentito alle deliberazioni e all'operato degli altri,
era d'Arimatea, città della Giudea, e aspettava
anche lui il regno di Dio: si presentò da Pilato a
chiedere il corpo di Gesù. Gv 19, 17-39. Ed egli, portando la sua
croce, s'avviò al luogo detto Calvario, in ebraico Golgota,
dove lo crocifissero insieme a due altri: uno di qua e l'altro di là, e Gesù
nel mezzo. Pilato poi fece scrivere anche il titolo
e lo fece porre sopra la croce. E c'era scritto:«Gesù
Nazareno, Re dei Giudei". Or molti Giudei lesserò quell'iscrizione,
essendo il luogo, ove fu crocifisso Gesù, vicino alla città. Ed era scritto
in ebraico, in greco e in latino. Dicevano pertanto i capi dei sacerdoti dei
Giudei a Pilato:«Non
scrivere: "Re dei Giudei", ma: "Costui ha detto: Sono re dei
Giudei"'», Rispose Pilato: «Quel che ho
scritto ho scritto». Ed i soldati intanto, crocifisso che ebbero Gesù,
presero le sue vesti e ne fecero quattro parti (una per ciascun soldato). E
presero anche la tunica; ma essa era senza cuciture, tessuta tutta di un pezzo
da cima a fondo. Dissero quindi tra loro: « Non la stracciamo, ma tiriamo a
sorte a chi debba toccare». Affinché si adempisse la Scrittura che dice: «Si
divisero tra loro le mie vesti e sopra la mia tunica tirarono le sorti». E
questo lo fecero i soldati. Or presso la croce di Gesù stavano sua madre e la
sorella di sua madre Maria di Cleofa e Maria
Maddalena. Avendo Gesù veduto sua madre e li
presente il discepolo suo prediletto, disse a sua madre; «Donna, ecco il tuo
figlio». Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre», e da quel punto il
discepolo la prese con sé. Dopo questo, sapendo Gesù che
tutto era compiuto, affinché si adempisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi
era li un vaso pieno di aceto. E i soldati,
inzuppata una spugna nell'aceto e postala in cima a una canna d'issopo,
gliel'accostarono alla bocca. E, quand'ebbe preso l'aceto, Gesù disse: «E
compiuto». E, chinato il capo, rese lo spirito. Ma i Giudei, affinché non restassero in croce i corpi
nel sabato (che era Parasceve ed era solenne quel
sabato) chiesero a Pilato che fossero ad essi rotte le gambe e fossero tolti via. Andarono quindi i soldati e ruppero le gambe al primo e all'altro
che erano con lui crocifissi; ma quando furono a Gesù, come videro che era
già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli
apri il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua, E chi vide lo ho
attestato; e la sua testimonianza è vera. Ed egli sa di dire il vero,
affinché voi pure crediate. Certamente, questo è avvenuto affinché s'adempisse
la Scrittura; «Non gli romperete alcun osso». E
un'altra Scrittura dice pure: "Volgeranno gli occhi a colui che hanno
trafitto", Dopo queste cose, Giuseppe di Arimatea
(discepolo di Gesù, ma occulto, per timore dei Giudei) chiese a Pilato di poter prendere il corpo di Gesù. E Pilato lo permise. Venne e prese il corpo di Gesù. E
anche Nicodemo, quello che da principio era andato di notte da Gesù, venne,
portando una mistura di mirra e d'aloe, quasi cento libbre. |
|
Da “ L’ Evangelo come mi è stato rivelato” di M. Valtorta |
Quattro nerboruti uomini, che per l'aspetto mi paiono
giudei, e giudei degni della croce più dei condannati, certo della stessa
categoria dei flagellatori, saltano da un sentiero sul luogo del supplizio.
Sono vestiti di tuniche corte e sbracciate ed hanno in mano chiodi, martelli
e funi che mostrano con lazzi ai tre condannati. La folla si agita in un
delirio crudele. Il centurione offre a Gesù l'anfora perché beva la mistura
anestetica di vino mirrato. Ma Gesù la rifiuta. I
due ladroni invece ne bevono molta. Poi l'anfora,
dall'ampia bocca svasata, viene posta presso un
grosso sasso, quasi sullo scrimolo della cima. Viene
dato l'ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza
nessun pudore. Anzi si divertono a fare atti osceni verso la folla e specie
verso il gruppo sacerdotale, tutto candido nelle sue vesti di lino e che è
piano piano tornato sulla piazzetta più bassa,
usando della sua qualità per insinuarsi lì. Ai sacerdoti si sono uniti due o
tre farisei e altri prepotenti personaggi, che l'odio fa amici. E vedo
persone di conoscenza, come il fariseo Giocana e
Ismaele, lo scriba Sadoch, Eli
di Cafarnao... I carnefici offrono tre stracci ai condannati perché se
li leghino all'inguine. E i ladroni li pigliano con più orrende bestemmie.
Gesù, che si spoglia lentamente per lo spasimo delle ferite, lo ricusa. Forse
pensa conservare le corte brache che ha tenute anche nella flagellazione. Ma,
quando gli viene detto dì levarsi anche le stesse,
Egli tende la mano per mendicare lo straccio dei boia a difesa della sua
nudità. È proprio l'Annichilito fino a dover chiedere uno straccio ai
delinquenti. Ma Maria ha visto e si è sfilata il lungo e sottile telo
bianco,che le vela il capo sotto al manto oscuro e
nel quale Ella ha già versato tanto pianto. Se lo leva senza far cadere il
manto, lo da a Giovanni perché lo porga a Longino
per il Figlio. Il centurione prende il velo senza fare ostacolo e, quando
vede che Gesù sta per denudarsi del tutto, stando voltato non verso la folla ma verso la parte vuota di popolo, mostrando così la
sua schiena rigata di lividi e di vesciche, sanguinante di ferite aperte o
dalle croste oscure, gli porge il lino materno. E Gesù lo riconosce. Se ne
avvolge a più riprese il bacino, assicurandoselo per
bene perché non caschi... E sul lino, fino allora solo bagnato di pianto,
cadono le prime gocce di sangue, perché molte delle ferite, appena coperte di
coagulo, nel chinarsi per levarsi i sandali e deporre le vesti si sono
riaperte e il sangue riprende a sgorgare. Ora Gesù si volge verso la folla. E si vede così che
anche il petto, le braccia, le gambe sono tutte state colpite dai flagelli,
All'altezza del fegato è un enorme livido, e sotto l'arco costale sinistro vi
sono nette sette righe in rilievo, terminate da sette piccole lacerazioni
sanguinanti fra un cerchio violaceo... un colpo feroce di flagello in quella
zona tanto sensibile del diaframma. I ginocchi, contusi dalle ripetute
cadute, iniziate subito dopo la cattura e terminate sul Calvario, sono neri
di ematoma e aperti sulla rotula, specie il destro, in una vasta lacerazione
sanguinante. La folla lo schernisce come in coro: «Oh! Bello! Il più
bello dei figli degli uomini! Le figlie di Gerusalemme ti adorano,,,». E intona, con tono di salmo: «Il mio diletto è
candido e rubicondo, distinto fra mille e mille. La sua testa è oro puro, i
suoi capelli grappoli di palma, setosi come piuma
di corvo. Gli occhi son come due colombe bagnantesi ai ruscelli non d'acqua ma di latte, nel latte
della sua orbita. Le sue guance sono aiuole di aromi, le sue labbra porpurei gigli stillanti preziosa mirra. Le sue mani
tornite come lavoro d'orafo terminate in rosei giacinti. Il suo tronco è
avorio venato di zaffiri. Le sue gambe, perfette colonne di candido marmo su
basi d'oro. La sua maestà è come quella del Libano; imponente egli è più
dell'alto cedro. La sua lingua è intrisa di dolcezza ed egli è tutto
delizia»; e ridono e urlano anche: «Il lebbroso! Il lebbroso! Hai dunque
fornicato con un idolo se Dio ti ha cosi colpito? Hai mormorato contro i
santi di Israele come Maria di Mosè, se sei stato così punito? Oh! Oh! il Perfetto! Sei il Figlio di Dio? Ma no! L'aborto di Satana sei! Almeno egli, Mammona, è potente e
forte. Tu... sei uno straccio impotente e schifoso». I ladroni sono legati sulle croci e vengono
portati al loro pasto, uno a destra, uno a sinistra, ma così: I t I
rispetto al posto destinato a
Gesù. Urlano, imprecano, maledicono e, specie quando le croci vengono portate presso il buco e li sconquassano facendo
segare i polsi dalle funi, le loro bestemmie a Dio, alla Legge, ai romani, ai
giudei, sono infernali. È la volta di Gesù. Egli si stende mite sul legno. I due
ladroni erano tanto ribelli che, non bastando a farlo i quattro boia, erano
dovuti intervenire dei soldati a tenerli, perché a calci non respingessero
gli aguzzini che li legavano per i polsi. Ma per Gesù non c'è bisogno di
aiuto. Si corica e mette il capo dove gli dicono di metterlo. Apre le braccia
come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli ordinano. Si è solo
preoccupato di accomodarsi per bene il suo velo. Ora il suo lungo corpo,
snello e bianco, spicca sul legno oscuro e sul suolo giallo. Due carnefici gli si siedono sul petto per tenerlo
fermo. E io penso che oppressione e che dolore deve aver provato sotto quel
peso. Un terzo gli prende il braccio destro, tenendolo con una mano sulla
prima porzione dell'avambraccio e l'altra al termine delle dita. Il quarto,
che ha già in mano il lungo chiodo acuminato sulla punta quadrangolare nel
fusto, terminato in una piastra rotonda e piatta, larga come un soldone dei tempi passati, guarda se il buco già fatto
nel legno corrisponde alla giuntura radio-ulnare del polso. Va bene. Il boia
appoggia la punta del chiodo al polso, alza il martello e da
il primo colpo. Gesù, che aveva gli occhi chiusi, all'acuto dolore ha un
grido e una contrazione, e spalanca gli occhi nuotanti fra le lacrime. Deve
essere un dolore atroce quello che prova... Il
chiodo penetra spezzando muscoli, vene, nervi, frantumando ossa... Maria risponde a! grido della
sua Creatura torturata con un gemito che ha quasi del lamento di un agnello
sgozzato, e si curva, come spezzata, tenendosi la testa fra le mani. Gesù,
per non torturarla, non grida più. Ma i colpi ci sono, metodici,aspri, di ferro contro ferro... e si pensa che sotto è un
membro vivo quello che li riceve. La mano destra è inchiodata. Si passa alla sinistra. Il
foro non corrisponde al carpo. Allora prendono una fune, legano il polso
sinistro e tirano fino a slogare la giuntura e a strappare tendini e muscoli,
oltre che lacerare la pelle già segata dalle funi della cattura. Anche
l'altra mano deve soffrire, perché è stirata per riflesso, e intorno al suo
chiodo si allarga il buco. Ora si arriva appena all'inizio del metacarpo,
presso il polso. Si rassegnano e inchiodano dove possono, ossia fra il
pollice e le altre dita, proprio al centro del metacarpo. Qui il chiodo entra
più facilmente ma con maggiore spasimo, perché deve recidere nervi
importanti, tanto che le dita restano inerti, mentre le altre della destra
hanno contrazioni e tremiti che denunciano la loro vitalità. Ma Gesù non
grida, più, ha solo un lamento roco dietro le labbra fortemente chiuse, e
lacrime di spasimo cadono per terra dopo esser cadute sul legno. Ora è la volta dei piedi. A un due
metri e più dal termine della croce è un piccolo cuneo, appena
sufficiente ad un piede. Su questo vengono portati i
piedi per vedere se va bene la misura. E dato che è un poco in basso e i
piedi arrivano male, stiracchiano per i malleoli il povero Martire. Il legno
scabro della croce sfrega così sulle ferite, smuove la corona che si sposta
strappando nuovi capelli e minaccia di cadere. Un boia gliela ricalca sul
capo con una manata... Ora, quelli che erano seduti
sul petto di Gesù si alzano per spostarsi sui ginocchi, dato che Gesù ha un
movimento involontario di ritirare le gambe, vedendo brillare al sole il
lunghissimo chiodo, lungo il doppio e largo il doppio di quello usato per le
mani. E pesano sui ginocchi scorticati, e premono sui poveri stinchi contusi,
mentre gli altri due compiono l'operazione molto più
difficile, dell'inchiodatura di un piede sull'altro, cercando di combinare le
due giunture dei tarsi insieme. Per quanto guardino e tengano
fermi i piedi, al malleolo e alle dita, contro il cuneo, il piede sottoposto
si sposta per la vibrazione del chiodo, e lo devono schiodare quasi, perché,
dopo essere entrato nelle parti molli, il chiodo, già spuntato per avere perforato il piede destro, deve essere
portato un poco più in centro. E picchiano, picchiano, picchiano... Non si sente che l'atroce rumore del martello sulla testa
del chiodo, perché tutto il Calvario non è che occhi e orecchie tese, per
raccogliere atto e rumore e gioirne... Sul suono aspro del ferro è un lamento in sordina di
colomba: il gemere roco di Maria, che sempre più sì curva, ad ogni colpo,
come se il martello piagasse Lei, la Madre Martire. Ed ha ragione di parere
prossima ad essere spezzata da quella tortura. La crocifissione è tremenda.
Pari alla flagellazione in spasimo, più atroce a vedersi, perché si vede
scomparire il chiodo fra le carni vive. Ma in compenso è più breve. Mentre la
flagellazione spossa per la sua durata. Per me, l'agonia dell'Orto, la flagellazione e la
crocifissione sono i momenti più atroci. Mi svelano tutta la tortura del
Cristo. La morte mi solleva, perché dico: «E finito!». Ma queste non sono fine.
Sono principio a nuove sofferenze. Ora la croce è strascinata presso il
buco e rimbalza, scotendo il povero Crocifisso, sul suolo ineguale. Viene issata la croce, che sfugge per due volte a coloro
che la alzano e ricade una volta di schianto, un'altra sul braccio destro
della stessa, dando un aspro tormento a Gesù, perché la scossa subita smuove
gli arti feriti. Ma quando poi la croce viene
lasciata cadere nel suo buco e, prima di essere assicurata con pietre e
terriccio, ondeggia in lutti i sensi, imprimendo continui spostamenti al
povero Corpo sospeso a tre chiodi, la sofferenza deve essere atroce. Tutto il
peso del corpo si sposta in avanti e in basso, e i buchi si allargano, specie
quello della mano sinistra, e si allarga il foro nei piedi
mentre il sangue spiccia più forte. E se quello dei piedi goccia lungo
le dita per terra e lungo il legno della croce, quello delle mani segue gli
avambracci, perché sono più alti al polso che all'ascella per forza della
posizione, e riga anche le coste scendendo dall'ascella verso la cintura. La
corona, quando la croce ondeggia prima di essere fissata, si sposta, perché
il capo ribatte all'indietro, conficcando nella nuca il grosso nodo di spini
che termina la pungente corona, e poi torna ad
adagiarsi sulla fronte e graffia, graffia senza pietà. Finalmente la croce è assicurata e non c'è che il
tormento dell'essere appeso. Issano anche i ladroni, i quali, una volta messi
verticalmente, urlano come fossero scotennati vivi
per la tortura delle funi, che segano i polsi e fanno divenire nere le mani,
con le vene gonfie come corde. Gesù tace. La folla non tace più, invece. Ma riprende il
suo vocio infernale. Ora la cima del Golgota ha il
suo trofeo e la sua guardia d'onore. Al limite più alto (lato A) la croce di
Gesù. Al lato B e C le altre due. Mezza centuria di soldati, con le armi al
piede, tutto intorno alla vetta; dentro a questo cerchio d'armati, i dieci
appiedati, che giocano a dadi le vesti dei condannati. Ritto in piedi, fra la
croce di Gesù e quella di destra, Longino. E pare monti la guardia d'onore al
Re Martire. L'altra mezza centuria, in riposo, è agli ordini dell'aiutante di
Longino sul sentiero di sinistra e sulla piazzuola
più bassa, in attesa di essere adoperata se ce ne
sarà bisogno. Nei soldati c'è l'indifferenza quasi totale. Solo qualcuno alza
ogni tanto il volto ai crocifissi, Longino invece osserva tutto con curiosità e interesse,
confronta e mentalmente giudica. Confronta i crocifissi, e specie il Cristo,
e gli spettatori. Il suo occhio penetrante non perde un particolare. E per
vedere meglio fa solecchio con la mano, perché il sole gli deve dare noia. E infatti un sole strano. Di un
giallo rosso d'incendio, E poi pare che l'incendio si spenga di colpo per un nuvolone di pece che sorge da dietro le catene giudee e
che corre veloce per il cielo, scomparendo dietro ad altri monti. E quando il
sole ritorna fuori è così vivo che l'occhio non lo sopporta che male. | Nel guardare vede Maria, proprio sotto il balzo, che
tiene alzato verso il Figlio il suo volto straziato. Chiama uno dei soldati
che giocano a dadi e gli dice: «Se la Madre vuole salire col figlio che
l'accompagna, venga. Scortala e aiutala». E Maria con Giovanni, creduto «figlio», sale per la
scaletta incisa nella roccia tufacea, credo, e penetra oltre il cordone dei
soldati andando ai piedi della croce, ma un poco scosta
per essere vista e per vedere il suo Gesù. La folla le propina subito i
più obbrobriosi insulti. Accomunandola nelle bestemmie al
Figlio. Ma Ella, con le labbra tremanti e sbiancate, cerca solo di dargli
conforto, con un sorriso straziato su cui si asciugano le lacrime che nessuna
forza di volontà riesce a trattenere negli occhi. La gente, cominciando dai sacerdoti, scribi, farisei, sadducei, erodiani e simili, si
procura lo spasso di fare come un carosello, salendo dalla strada erta,
passando lungo il rialzo finale e scendendo per l'altra via, o viceversa, E
mentre passano ai piedi della vetta, sulla seconda piazzuola,
non mancano di offrire le loro parole blasfeme come omaggio al Morente. Tutta
la turpitudine, la crudeltà, l'odio e l'insania di cui sono capaci gli uomini
con la lingua, vengono ampiamente testificate da
queste bocche d'inferno. I più accaniti sono i membri del Tempio, coi farisei
per aiuto. «Ebbene? Tu, Salvatore dell'uman
genere, perché non ti salvi? Ti ha abbandonato il tuo re Belzebù? Ti ha
rinnegato?» urlano tre sacerdoti. E un branco di giudei: «Tu, che non più tardi di or sono
cinque giorni, con l'aiuto del Demonio, facevi dire al Padre... ah! ah! ah! che ti avrebbe glorificato, come mai non gli ricordi
mantenere la sua promessa?». E tre farisei: «Bestemmiatore! Ha salvato gli altri,
diceva, con l'aiuto di Dio! E non riesce a salvare Se stesso! Vuoi che ti si
creda? E allora fai il miracolo. Non puoi più, eh? Ora hai le mani
inchiodate, e sei nudo». E dei sadducei ed erodiani ai soldati: «Attenti alla malìa,
voi che vi siete prese le sue vesti! Ha dentro il segno infernale!». Una folla in coro: «Scendi dalla croce e ti crederemo.
Tu che distruggi il Tempio,.. Folle!... Guardalo là,
il glorioso e santo Tempio d'Israele. E intoccabile, o profanatore! E Tu
muori». Altri sacerdoti: «Blasfemo! Figlio di Dio, Tu? E scendi
di lì, allora. Fulminaci, se sei Dio. Non ti temiamo
e sputiamo verso Tè», Altri che passano e scrollano il capo: «Non sa che
piangere. Salvati, se è vero che sei l'Eletto!». I soldati: «E salvati, dunque! Incenerisci questa
suburra della suburra! Sì! Suburra dell'impero siete, giudei canaglie. Fallo!
Roma ti metterà in Campidoglio e ti adorerà come un nume!". I sacerdoti coi loro compari: «Erano più dolci le
braccia delle femmine di quelle della croce, non è vero? Ma, guarda, sono già
lì pronte a riceverti le tue... (e dicono un termine infame). Ci hai tutta
Gerusalemme a farti da pronuba». E fischiano come carrettieri. Altri lanciando dei sassi: «Muta questi in pane. Tu,
moltiplicatore dei pani». Altri, scimmiottando gli osanna della domenica delle
palme, lanciano dei rami e gridano; «Maledetto colui
che viene in nome del Demonio! Maledetto il suo regno! Gloria a Sionne che lo recide di fra i
vivi!». Un fariseo si piazza di fronte alla croce, e mostra il
pugno facendo le corna e dice: «"Ti affido al Dio del Sinaì" Tu dicesti? Ora il Dio del Sinai ti prepara
al fuoco eterno. Perché non chiami Giona a renderti il buon servizio?». Un altro: «Non rovinare la croce con i colpi della tua
testa. Deve servire per i tuoi seguaci. Una intera
legione ne morirà sul tuo legno, te lo giuro su Jeové.
E per primo ci metterò Lazzaro. Vedremo se Tu lo levi di morte, ora». «Sì! Sì! Andiamo da Lazzaro. Inchiodiamolo dall'altro
lato della croce», e pappagallescamente fanno la parlata lenta di Gesù
dicendo: «Lazzaro, amico mio, vieni fuori! Slegatelo e lasciatelo andare!». «No! Diceva a Marta e Maria, le sue femmine: "Io
sono la Risurrezione e la Vita". Ah! Ah! Ah! La Risurrezione non sa
mandare indietro la morte, e la Vita muore!». «Ecco là Maria con Marta. Chiediamo dove è Lazzaro e
andiamolo a cercare». E si fanno avanti, verso le donne, chiedendo
arrogantemente: «Dove è Lazzaro? Al palazzo?». E Maria Maddalena, mentre le altre terrorizzate fuggono
dietro i pastori, si fa avanti, ritrovando nel suo dolore la
antica baldanza dei tempi di peccato, e dice: «Andate. Troverete già
in palazzo i soldati di Roma e cinquecento armati delle mie terre che vi
castreranno come vecchi caproni destinati al pasto degli schiavi alle
macine». «Sfrontata! Così parli ai sacerdoti?». «Sacrileghi! Turpi! Maledetti! Volgetevi! Alle spalle
avete, io le vedo, le lingue delle fiamme infernali». I vili si volgono, veramente terrorizzati, tanto è
sicura l’ affermazione di Maria; ma, se non hanno le
fiamme alle spalle hanno alle reni le ben pontute
lance romane. Perché Longino ha dato
un ordine e la mezza centuria che era in riposo è entrata in fazione e punge
alle natiche i primi che trova. Questi fuggono urlando e la mezza centuria
resta a chiudere gli imbocchi delle due strade e a fare baluardo alla piazzuola. I giudei imprecano, ma Roma è la più forte. La Maddalena riabbassa il suo velo — se lo era alzato
per parlare agli insultatori — e torna al suo
posto. Le altre si riuniscono a lei. Ma il ladrone di sinistra continua gli insulti dalla sua
croce. Pare si sia fatto il condensatore di tutte le bestemmie altrui e le
snocciola tutte, terminando: «Salvati e salvaci, se vuoi che ti si creda. Il
Cristo Tu? Un folle sei! Il mondo è dei furbi e Dio non c'è. Io ci sono.
Questo è vero, e per me tutto è lecito. Dio?...
Fola! Messa per tenerci quieti. Viva il nostro io! Lui solo è re e dio!», L'altro ladrone, che è a destra ed ha quasi ai piedi
Maria, e la guarda quasi più che non guardi Cristo, e da qualche momento
piange mormorando: «la madre», dice: «Taci. Non temi Dio neppure ora che
soffri questa pena? Perché insulti chi è buono? E in un supplizio ancor più
grande del nostro. E non ha fatto nulla di male». Ma il ladrone continua le sue imprecazioni. Gesù tace.
Anelante per lo sforzo della posizione, per la febbre, per lo stato cardiaco
e respiratorio, conseguenza della flagellazione
subita in forma tanto violenta, e anche dell'angoscia profonda che gli aveva
fatto sudar sangue, cerca trovare un sollievo, alleggerendo il peso che grava
sui piedi, sospendendosi alle mani e facendo forza con le braccia. Forse lo
fa anche per vincere un poco il crampo che già tormenta i piedi e che si
tradisce con il tremito muscolare. Ma lo stesso tremore è nelle fibre delle
braccia, che sono sforzate in quella posizione e devono essere gelate nelle
loro estremità, perché poste più in alto e abbandonate dal sangue, che a
fatica giunge ai polsi e poi ne geme dai buchi dei chiodi lasciando senza
circolazione le dita. Specie quelle della sinistra sono già cadaveriche e
stanno senza moto, ripiegate verso il palmo. Anche le dita dei piedi
esprimono il loro tormento. Specie gli alluci, forse perché meno è leso il
loro nervo, si alzano, si abbassano, si divaricano. Il tronco, poi, svela tutta la sua pena col suo
movimento, che è veloce ma non profondo, ed affatica
senza dare sollievo. Le coste, molto ampie e alte di loro, perché la
struttura di questo Corpo è perfetta, sono ora dilatate oltre misura per la
posizione assunta dal corpo e per l'edema polmonare che certo si è formato
nell'interno. Eppure non servono ad alleggerire lo sforzo respiratorio, tanto
che tutto l'addome aiuta col suo muoversi il diaframma, che sempre più si va
paralizzando. E la congestione e l'asfissia aumentano di minuto in
minuto, come lo indicano il colorito cianotico che sottolinea le labbra, di
un rosso acceso dalla febbre, e le striature di un rosso violaceo, che
spennellano il collo lungo le giugulari turgide e si allargano fino sulle
guance, verso le orecchie e le tempie, mentre il naso è affilato e esangue, e
gli occhi affondano in un cerchio che è livido dove è privo del sangue colato
dalla corona. Sotto l'arco costale sinistro si vede l'urto propagato
dalla punta cardiaca, irregolare, ma violento, e ogni tanto, per una
convulsione interna, il diaframma ha un fremito profondo che si rivela da una
distensione totale della pelle, per quanto può stendersi su quel povero Corpo
ferito e morente. Il Volto ha già l'aspetto che vediamo nelle fotografie
della Sindone, col naso deviato e gonfio da una parte; e anche il tenere l'occhio destro quasi chiuso, per il gonfiore
che è da questo lato, aumenta la somiglianza. La bocca, invece, è aperta, con
la sua ferita sul labbro superiore ormai ridotta ad una crosta. La sete, data
dalla perdita di sangue, dalla febbre e dal sole, deve essere intensa, tanto
che Egli, con mossa macchinale, beve le stille del suo sudore e del suo
pianto, e anche quella del sangue che scende dalla fronte fin sui baffi, e si
bagna con queste la lingua... La corona di spine gli vieta di appoggiarsi al tronco
della croce per aiutare la sospensione sulle braccia e alleggerire i piedi. Le reni e tutta la spina si arcua verso l'esterno, stando
staccato dal tronco della croce dal bacino in su per forza di inerzia che fa
pendere in avanti un corpo sospeso come era il suo. I giudei, respinti oltre la piazzuola,
non cessano di insultare, e il ladrone impenitente fa eco. L'altro, che ora guarda con sempre maggiore pietà la
Madre e piange, lo rimbecca aspramente quando sente
che nell'insulto è compresa anche Lei. «Taci. Ricordati che sei nato da una
donna. E pensa che le nostre han pianto per causa
dei figli. E furono lacrime di vergogna... perché noi siamo
delinquenti. Le nostre madri sono morte... Io vorrei poterle chiedere perdono…Ma lo potrò? Era una santa... L' ho uccisa col
dolore che le davo... Io sono un peccatore... Chi mi
perdona? Madre, in nome del tuo Figlio morente, prega per me». La Madre alza per un momento il suo viso straziato e lo
guarda, questo sciagurato che attraverso al ricordo di sua madre e alla
contemplazione della Madre va verso il pentimento, e pare lo carezzi col suo
sguardo di colomba. Disma piange più forte. Cosa che scatena ancora di più
gli scherni della folla e del compagno. La prima urla: «Bravo! Pigliati
questa per madre. Così ha due figli delinquenti!». E l'altro rincara: «Ti ama
perché sei una copia minore del suo beneamato». Gesù parla per la prima volta: «Padre, perdona loro
perché non sanno quello che fanno !». Questa preghiera vince ogni timore in Disma. Osa
guardare il Cristo e dice: «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo
Regno. Io è giusto che qui soffra. Ma dammi misericordia e pace oltre la
vita. Una volta ti ho sentito parlare e, folle, ho respinto la tua parola.
Ora me ne pento. E dei miei peccati me ne pento davanti a Te, Figlio
dell'Altissimo. Io credo che Tu venga da Dio. Io credo nel tuo potere. Io
credo nella tua misericordia, Cristo, perdonami in nome di tua Madre e del
tuo Padre santisimo». Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un
sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata. Dice: «Io te i lo
dico: oggi tu sarai meco in Paradiso». Il ladrone pentito si mette calmo e, non sapendo più le
preghiere imparate da bambino, ripete come una giaculatoria: «Gesù Nazareno, re dei giudei, pietà di me; Gesù Nazareno, re dei
giudei, io spero in Te; Gesù Nazareno, re dei giudei, io credo nella tua Divinità». L'altro continua nelle sue bestemmie. Il cielo si fa sempre più fosco. Ora difficilmente le
nubi si aprono per fare passare il sole. Ma anzi si accavallano a più e più
strati plumbei, bianchi, verdognoli, si sormontano, si dipanano secondo i giuochi
di un vento freddo, che a intervalli scorre il cielo e poi scende sulla terra
e poi tace di nuovo, ed è quasi più sinistra l'aria quando
tace, afosa e morta, di quando fischia tagliente e veloce. La luce, prima viva fin oltre misura, si va facendo verdastra.
E i volti prendono bizzarri aspetti. I soldati, sotto i loro elmi e nelle
loro corazze, prima lucenti ed ora divenute come appannate nella luce
verdastra e sotto il cielo di cenere, mostrano i duri profili come
scalpellati. I giudei, per la maggioranza bruni di pelle e capelli e barba,
paiono degli annegati, tanto il loro volto si fa terreo. Le donne sembrano
statue di neve azzurrastra per il pallore esangue che la luce accentua. Gesù sembra illividire sinistramente come per inizio di
decomposizione, quasi fosse già morto. La testa gli
comincia a pendere sul petto. Le forze mancano rapidamente. Trema, nonostante
la febbre che lo arde. E nella sua debolezza mormora il nome che prima ha
solo detto nel fondo del cuore: «Mamma!», «Mamma!». Lo mormora piano, come in
un sospiro, quasi fosse già in un lieve delirio che
gli impedisca di trattenere quanto la volontà vorrebbe trattenere. E Maria,
ogni volta, ha un atto infrenabile di tendere le
braccia come per soccorrerlo. E la gente crudele ride di questi spasimi di chi muore e
di chi spasima. Salgono da capo sino a dietro i pastori, che
però sono sulla piazzetta bassa, i sacerdoti e gli scribi. E poiché i
soldati vorrebbero respingerli, reagiscono dicendo: «Ci stanno questi
galilei? Ci stiamo anche noi, che dobbiamo verificare che giustizia sia fatta
fino in fondo. E da lontano, in questa luce strana, non possiamo vedere». Infatti molti cominciano a
impressionarsi della luce che sta fasciando il mondo, e qualcuno ha paura.
Anche i soldati accennano al cielo e ad una specie di cono, che pare di
lavagna tanto è cupo e che si leva come un pino da dietro una vetta. Sembra
una tromba marina. Si alza, si alza e pare che generi nubi sempre più nere,
quasi fosse un vulcano eruttante fumo e lava. E in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù da a Maria Giovanni e a Giovanni Maria. Curva il capo,
poiché la Madre è fatta più sotto alla croce per vederlo meglio, e dice:
«Donna ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre». Maria ha il volto ancor più sconvolto dopo questa parola
che è il testamento del suo Gesù, che non ha nulla da dare alla Madre se non
un uomo, Egli che per amore dell'Uomo la priva dell'Uomo-Dio, nato da Lei. Ma
cerca, la povera Madre, di non piangere che mutamente, perché non può, non
può non piangere... Le stille del pianto gemono
nonostante ogni sforzo per trattenerle, anche se la bocca ha il suo straziato
sorriso, fisato sulle labbra per Lui, per
confortare Lui... Le sofferenze crescono sempre più. E la luce sempre più
decresce. E’ in
questa luce di fondo marino che emergono, da dietro dei giudei,
Nicodemo e Giuseppe, e dicono: «Scansatevi!». «Non si può. Che volete?» dicono i soldati. «Passare. Siamo amici del Cristo». Si voltano i capi dei sacerdoti. «Chi osa professarsi
amici del ribelle?» dicono i sacerdoti sdegnati. E Giuseppe risoluto: «Io, nobile membro del Gran
Consiglio, Giuseppe d'Arimatea, l'Anziano, e con me
è Nicodemo, capo dei giudei». «Chi parteggia per il ribelle è ribelle». «E chi parteggia per gli assassini è assassino, Eleazaro
di Anna. Ho vissuto da giusto. E ora vecchio sono e prossimo alla morte. Non
voglio divenire ingiusto mentre già il Cielo su me
discende e con esso il Giudice eterno». «E tu, Nicodemo! Mi meraviglio!». «Io pure. E di una cosa sola: che Israele sia tanto
corrotto da non sapere più riconoscere Dio». «Mi fai ribrezzo». «Scansati, allora, e lasciami passare. Non chiedo che
quello». «Per contaminarti più ancora?». «Se non mi sono contaminato a starvi presso, nulla più
mi contamina, Soldato, a tè la borsa e il segno di lasciapassare». E passa al decurione più vicino una
borsa e una tavoletta cerata. Il decurione osserva e dice ai soldati: «Lasciate
passare i due», E Giuseppe con Nicodemo si avvicinano ai pastori. Non so
neppure se Gesù li veda in quella caligine sempre più fitta e con l'occhio
che già si vela nell'agonia. Ma essi lo vedono e piangono senza rispetto
umano, nonostante ora su di loro si avventino gli improperi sacerdotali. Le sofferenze sono sempre più forti. Il corpo ha i primi
inarcamenti propri della tetanìa e ogni clamore di
folla li esaspera. La morte delle fibre e dei nervi si estende dalle
estremità torturate al tronco, rendendo sempre più difficoltoso il moto
respiratorio, debole la contrazione diaframmatica e
disordinato il movimento cardiaco. Il volto di Cristo passa alternativamente
da vampe di rossore intensissimo a pallori verdastri di morente per
dissanguamento. La bocca si muove con maggiore fatica, perché i nervi
sovraffaticati del collo e del capo stesso, che hanno per decine di volte
fatto da leva al corpo tutto puntandosi sulla sbarra trasversa
della croce, propagano il crampo anche alle mascelle. La gola, enfiata dalle
carotidi ingorgate, deve dolere ed estendere il suo edema alla lingua, che
appare ingrossata e lenta nei movimenti. La schiena, anche nei momenti che le
contrazioni tetanizzanti non la curvano ad arco
completo dalla nuca alle anche, appoggiate come punti estremi al tronco della
croce, si arcua sempre più in avanti, perché le membra divengono sempre più
pesanti del peso delle carni morte. La gente vede poco e male queste cose, perché la luce è
ormai di un cenere cupo, e solo chi è ai piedi della croce può vedere bene. Gesù si affloscia, un certo momento, tutto in avanti e
in basso, come già morto; non ansa più, la testa gli pende inerte in avanti,
il corpo dalle anche in su è tutto staccato facendo
angolo con le braccia alla croce. Maria ha un grido: «E morto!». Un grido tragico che si
propaga nell'aria nera. E Gesù appare realmente morto. Un altro grido femminile le risponde e nel gruppo delle
donne vedo un tramestio. Poi una decina di persone si allontanano sostenendo
qualche cosa. Ma non posso vedere chi
si allontana così, E troppo poca la luce nebbiosa. Sembra di essere immersi
in una nube di cenere vulcanica fittissima. «Non è possibile» urlano dei
sacerdoti e dei giudei, «È una finta per farci
andare via. Soldato, pungilo con la lancia. È una buona medicina per ridargli
voce». E poiché i soldati non lo fanno, una scarica di pietre e di zolle di
terra volano verso la croce, colpendo il Martire e ricadendo sulle corazze
romane. Il farmaco, come ironicamente dicono i giudei, opera il
prodigio. Certo qualche sasso ha colpito a segno, forse sulla ferita di una
mano, o sul capo stesso, perché miravano in alto. Gesù ha un gemito pietoso e
rinviene. Il torace torna a respirare con fatica e la testa a muoversi da
destra a manca, cercando un luogo dove posarsi per soffrire meno, senza
trovare altro che maggior pena. A gran fatica, puntandosi una volta ancora sui piedi
torturati, trovando forza nella sua volontà, unicamente in quella, Gesù si
irrigidisce sulla croce, torna eretto come fosse un
sano nella sua forza completa, alza il volto guardando con occhi bene aperti
il mondo steso ai suoi piedi, la città lontana, che appena si intravede come
un biancore incerto nella foschia, e il cielo nero dal quale ogni azzurro ed
ogni ricordo di luce sono scomparsi. E a questo cielo chiuso, compatto,
basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura,
Egli grida a gran voce, vincendo con la forza della volontà, col bisogno
dell'anima, l'ostacolo delle mascelle irrigidite, della lingua ingrossata,
della gola edematica: «Eloi, Eloi,
lamma scebacteni!» (io
sento dire così). Deve sentirsi morire, e in un assoluto abbandono del Cielo,
per confessare con tal voce l'abbandono paterno. La gente ride e lo scherza. Lo insulta: «Non sa che
farne Dio di Te! I demoni sono maledetti da Dio!». Altri gridano: «Vediamo se Elia, che Egli chiama, viene
a salvarlo». E altri: «Dategli un poco d'aceto, che si gargarizzi la
gola, Fa bene alla voce! Elia o Dio, poiché è incerto ciò che il folle vuole
sono lontani... Ci vuoi voce per farsi sentire!», e
ridono come iene o come demoni. Ma nessun soldato da l'aceto e
nessuno viene dal Cielo per dare conforto. È l'agonia solitaria, totale,
crudele, anche soprannaturalmente crudele, della Grande Vittima. Tornano le valanghe di dolore desolato che già l'avevano oppresso nel Getsemani.
Tornano le onde dei peccati di tutto il mondo a percuotere il naufrago
innocente, a sommergerlo nella loro amaritudine.
Torna soprattutto la sensazione, più crocifiggente della croce stessa, più
disperante di ogni tortura, che Dio ha abbandonato e che la preghiera non
sale a Lui... Ed è il tormento finale. Quello che accelera la morte,
perché spreme le ultime gocce di sangue dai pori, perché stritola le
superstiti fibre del cuore, perché termina ciò che la prima cognizione di
questo abbandono ha iniziato: la morte. Perché di questo per prima cosa è morto
il mio Gesù, o Dio, che lo hai colpito per noi! Dopo il tuo abbandono, per il
tuo abbandono, che diventa una creatura? O un folle, o un morto. Gesù non
poteva divenire folle, perché la sua intelligenza era divina e, spirituale
come è l'intelligenza, trionfava sopra il trauma
totale del colpito da Dio. Divenne dunque un morto: il Morto, il santissimo
Morto, l'innocentissimo Morto. Morto Lui che era la
Vita. Ucciso dal tuo abbandono e dai nostri peccati. L'oscurità si fa ancora più fitta. Gerusalemme scompare
del tutto. Lo stesso Calvario pare annullarsi nelle sue falde. Solo la cima è
visibile, quasi che le tenebre la tengano alta a raccogliere l'unica e
l'ultima superstite luce, posandola come per una offerta,
col suo trofeo divino, su uno stagno di onice liquida, perché sia vista
dall'amore e dall'odio. E dalla luce non più luce viene la voce lamentosa di
Gesù: «Ho sete!». Vi è infatti un vento che
asseta anche i sani. Un vento continuo, ora, violento, pieno di polvere,
freddo, pauroso. Penso quale spasimo avrà dato col
suo soffio violento ai polmoni, al cuore, alle fauci di Gesù, alle sue membra
gelate, intormentite, ferite. Ma proprio tutto si è
messo a torturare il Martire. Un soldato va ad un vaso dove i satelliti del boia hanno
messo dell'aceto col fiele, perché col suo amaro aumenti la salivazione nei
suppliziati. Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una canna
sottile eppure rigida, che è già pronta lì presso, e porge la spugna al
Morente. Gesù si tende avido verso la spugna che viene. Pare un
infante affamato che cerchi il capezzolo materno. Maria, che vede e certo pensa questa cosa, geme,
appoggiandosi a Giovanni: «Oh! ed io neppure una
stilla di pianto gli posso dare... Oh! seno mio, che
non gemi latte? Oh! Dio, perché così ci abbandoni? Un miracolo per la mia
Creatura! Chi ai solleva per dissetarlo del mio sangue, posto che latte non
ho?...». Gesù, che ha succhiato avidamente l'aspra e amara
bevanda, torce il capo, avvelenato dal disgusto di essa.
Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate. Si ritrae, si accascia, si abbandona. Tutto il peso del
corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le estremità ferite quelle che
soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un corpo che si
abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore. Dal bacino in su, tutto è staccato dal legno, e tale resta. La testa pende in avanti tanto pesantemente che il collo
pare scavato in tre posti: al giugolo,
completamente infossato, e di qua e di là dello sternocleidomastoideo.
Il respiro è sempre più anelante, ma interciso. E già più un rantolo sincopato che un respiro.
Ogni tanto un colpo di tosse penosa porta una schiuma lievemente rosata alle
labbra. E le distanze fra una espirazione e l'altra
diventano sempre più lunghe. L'addome è già fermo. Solo il torace ha ancora
dei sollevamenti, ma faticosi, stentati... La
paralisi polmonare si accentua sempre più. E sempre più fievole, tornando al lamento infantile del
bambino, viene l'invocazione: «Mamma!». E la misera mormora: «Sì, tesoro,
sono qui». E quando la vista che si vela gli fa dire: «Mamma, dove sei? Non
ti vedo più. Anche tu mi abbandoni? », e non è neanche una parola, ma un
mormorio che appena è udibile da chi più col cuore che con l'udito raccoglie
ogni sospiro del Morente, Ella dice: «No, no, Figlio! Non ti abbandono io ! Sentimi, caro... La Mamma è
qui, qui è... e solo si tormenta di non poter venire dove Tu sei...». È uno strazio... E Giovanni piange liberamente. Gesù
deve sentire quel pianto. Ma non dice niente. Penso che la morte imminente lo
faccia parlare come in delirio e neppure sappia quanto dice e, purtroppo,
neppure comprenda il conforto materno e l'amore del Prediletto. Longino — che inavvertitamente ha lasciato la sua posa
di riposo, con le mani conserte sul petto e una gamba accavallata, ora una, ora l'altra, per dare sollievo alla lunga attesa in
piedi, e ora invece è rigido sull'attenti, la mano sinistra sulla spada, la
destra regolarmente tesa lungo il fianco, come fosse sui gradini del trono
imperiale — non vuole commuoversi. Ma il suo volto si altera nello sforzo di
vincere l'emozione, e gli occhi hanno un luccicore di pianto che solo la sua
ferrea disciplina trattiene. Gli altri soldati, che giocavano a dadi, hanno smesso e
si sono drizzati in piedi, rimettendosi gli elmi che avevano servito ad
agitare i dadi, e stanno in gruppo presso la scaletta scavata nel tufo,
silenziosi, attenti. Gli altri sono di servizio e non possono mutare
posizione. Sembrano statue. Ma qualcuno dei più prossimi, e che sente le
parole di Maria, mugola qualcosa fra le labbra e scrolla il capo. Un silenzio. Poi, netta nell'oscurità totale, la parola:
«Tutto è compiuto!», e poi l'ansito sempre più rantoloso, con pause di
silenzio fra un rantolo e l'altro, sempre più vaste. Il tempo scorre su questo ritmo angoscioso. La vita torna quando l'aria è rotta dall'anelito aspro del
Morente... La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più. Si soffre
a sentirlo... si soffre a non sentirlo... Si dice:
«Basta di questa sofferenza!» e si dice: «Oh! Dio! che
non sia l'ultimo respiro». Le Marie piangono tutte, col
capo contro il rialzo terroso. E si sente bene il loro pianto, perché tutta
la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente. Ancora un silenzio. Poi, pronunciata con infinita
dolcezza, con ardente preghiera, la supplica: «Padre, nelle tue mani
raccomando lo spirito mio!». Ancora un silenzio. Si fa lieve anche il rantolo. E
appena un soffio limitato alle labbra e alla gola. Poi, ecco, l'ultimo spasimo di Gesù. Una convulsione
atroce, che pare voglia svellere il corpo infisso,
coi tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per
tutti i poveri nervi torturati; solleva tre volte l'addome in una maniera
anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza,
gonfia e contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra
coste e coste che si tendono, apparendo sotto l'epidermide e riaprendo le
ferite dei flagelli; fa rovesciare violentemente indietro, una, due, tre
volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno
spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a
destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il
globo oculare e apparire la sclerotica. Il corpo si tende tutto; nell'ultima
delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un
grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera
l'aria, il «grande grido» di cui parlano i Vangeli e che è la prima parte
della parola «Mamma»... E più nulla... La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il
fremito cessa, cessa il respiro. E spirato. La Terra risponde al grido dell'Ucciso con un boato
pauroso. Sembra che da mille buccine dei giganti traggano un unico suono e su
questo tremendo accordo ecco le note isolate, laceranti dei fulmini che
rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla
folla... Credo che ci saranno stati dei fulminati,
perché la folla è colpita direttamente. I fulmini sono l'unica luce saltuaria che permetta di vedere. E poi subito, e mentre durano ancora
le scariche delle saette, la terra si scuote in un turbine di vento
ciclonico. Il terremoto e l'aeromoto si fondono per dare un apocalittico
castigo ai bestemmiatori, La vetta del Golgota
ondeggia e balla come un piatto in mano di un pazzo, nelle scosse sussultorie
e ondulatorie che scuoto talmente le tre croci che sembra le debbano
ribaltare. Longino, Giovanni, i soldati si abbrancano dove possono,
come possono, per non cadere. Ma Giovanni, mentre con un braccio afferra la
croce, con l'altro sostiene Maria che, e per il dolore e per il traballio,
gli si è abbandonata sul cuore. Gli altri soldati, e specie quelli del lato
che scoscende, si sono dovuti rifugiare al centro per non essere gettati giù
dai dirupi. I ladroni urlano di terrore, la folla urla ancora di più e vorrebbe
scappare. Ma non può. Cadono le persone l'una sull'altra, si pestano,
precipitano nelle spaccature del suolo, si feriscono, rotolano giù per la
china, impazziti. Per tre volte si ripete il terremoto e l'aeromoto, e poi
si fa l'immobilità assoluta di un mondo morto. Solo dei lampi, ma senza
tuono, rigano ancora il cielo e illuminano la scena dei giudei fuggenti in
ogni senso, con le mani fra i capelli, o tese in avanti, o alzate al cielo,
schernito fino allora e di cui ora hanno paura. La oscurità
si tempera di un barlume di luce che, aiutato dal lampeggio silenzioso e
magnetico, permette di vedere che molti restano al suolo, morti o svenuti,
non so. Una casa arde nell'interno delle mura e le fiamme si alzano dritte
nell'aria ferma, mettendo
un punto di rosso fuoco sul verde cenere dell'atmosfera. Maria alza il capo dal petto di Giovanni e guarda il suo
Gesù.. Lo chiama, perché mal lo vede nella poca luce
e coi suoi poveri occhi pieni di pianto. Tre volte lo chiama: «Gesù! Gesù!
Gesù!». E la prima volta che lo chiama per nome da quando
è sul Calvario. (---------) |
|
||
|
|
|