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CARATTERI GENERALI
Passando dall'Oriente all'Occidente, è impossibile non rilevare
una profonda differenza tra le eresie che sono sorte da una parte e dall'altra.
Le grandi eresie del IV secolo si erano sviluppate soprattutto in Oriente ma
avevano avuto indubbiamente una ripercussione anche in Occidente. In
particolare, la sede di Roma aveva sempre avuto la sua parola da dire nella
determinazione del dogma cattolico di fronte a ciascuna di esse. Però tutti i
capi di sette erano stati orientali. Le eresie di cui dovremo parlare nel
presente capitolo nacquero invece in Occidente. E avranno un carattere del
tutto diverso. Il genio orientale indugiava con ardore soprattutto sui grandi
problemi metafisici: la Trinità, la divinità del Verbo e quella dello Spirito
Santo, la creazione del mondo e l'origine del male. E' sarà quasi sempre così
anche in seguito. Si tratterà della unione ipostatica delle due nature di
Gesù Cristo, dell'unione in lui della volontà divina e di quella umana, ecc.
Si potrebbe dire che il genio greco è attratto maggiormente verso gli
oggetti, mentre l'animo occidentale si rivolge di preferenza verso il
soggetto: l'uomo, la libertà umana, la grazia, la predestinazione, la fede e
le opere, il male in noi. I
greci si sono mostrati sempre amanti dell'alta metafisica e i latini della
psicologia. Non si deve tuttavia spingere troppo oltre questa distinzione. I
latini infatti non hanno esitato a seguire i greci nelle loro alte
speculazioni, e i trattati sulla Trinità o sulla Incarnazione non sono stati
minori in Occidente che in Oriente. Ma l'iniziativa non partiva da loro. In
senso inverso, il problema della grazia e del suo legame con la libertà umana
è stato approfondito con maggior vigore in Occidente che in Oriente. Tenendo
conto di queste premesse, passeremo in rassegna le eresie occidentali. LO SCISMA DONATISTA
Se si parla di uno scisma a proposito del donatismo
africano, non significa che non vi sia stata, nel fondo della questione, una
precisa eresia. Lo scisma ebbe origine in occasione della elezione di Ceciliano ad arcivescovo di Cartagine.
Si formò un partito contro di lui. Si pretese che la sua consacrazione per
mano del vescovo Felice di Aptonga fosse invalida.
Si diceva infatti che Felice, al tempo della prescrizione, avesse consegnato
i Libri sacri alla polizia. Essere stato, come si diceva, un traditor, gli
toglieva per sempre il potere di consacrare validamente. Questa teoria si riaccostava
alquanto all'errore dello stesso san Cipriano,
vescovo di Cartagine. quando aveva affermato,
contro il pensiero di Roma, che il battesimo conferito dagli eretici era
invalido. E gli avversari di Ceciliano si
appellavano alla autorità di Cipriano. Il loro capo
fu un certo Donato, detto delle Capanne Nere dalla località africana di cui
era vescovo, e il loro più insigne teologo fu un altro Donato, che chiamarono
il Grande. Di qui il nome di donatisti. Essi
trovarono facilmente dei seguaci in un paese dalle accese passioni come
l'Africa e dove abbondavano gli scontenti contro la dominazione romana. I donatisti ebbero anche delle pattuglie d'assalto, come
diremmo oggi, sotto forma di bande fanatiche, composte di uomini che si
attribuivano il nome di soldati di Cristo, ma che i cattolici
soprannominarono circoncellioni o vagabondi. Dal
punto di vista dottrinale, i donatisti, non senza
varianti, professavano due principi ugualmente eretici: 1)
i peccatori pubblici e manifesti, specialmente i vescovi e i preti
prevaricatori, non appartengono più alla Chiesa: 2) fuori della vera Chiesa,
tutti i sacramenti sono invalidi. Cosa
ancor più grave, i donatisti pretendevano scacciare
dalla Chiesa non solo i vescovi e i preti che essi accusavano di
prevaricazione, ma anche tutti i fedeli che restavano in comunione con loro.
Giungevano quindi a considerarsi come la sola vera Chiesa! Tutto il resto
della Chiesa, a sentir loro, era fuori della verità cristiana. Si era ben
lontani dallo spirito di misericordia che regna nel vangelo! Una
eresia così radicale e perniciosa doveva essere vigorosamente combattuta dai
cattolici. Il donatismo fu infatti condannato nel
Concilio I Lateranense a Roma nel 313, e quindi,
nel 314, in quello di Arles, presieduto
dall'imperatore Costantino. Gli imperatori furono fin da allora tutti senza
eccezione - salvo Giuliano l'Apostata - decisi avversari del donatismo, ma senza riuscire a sradicarlo. Ragioni
politiche, e un nazionalismo africano analogo a quello che costatiamo ai
nostri giorni, agivano sugli animi in favore della setta. Il
grande avversario dottrinale del donatismo fu, nel
V secolo, sant'Agostino, vescovo di Ippona. Nel 411 si tenne a Cartagine
un grande concilio a forma di contradittorio. Erano
presenti 286 vescovi cattolici africani, contro 279 donatisti.
Vi erano quindi quasi dovunque, nei paesi africani, due vescovi; uno
cattolico e uno donatista. Il concilio, grazie
all'eloquenza e alla scienza biblica di Agostino, tornò a confusione degli
scismatici. Lo
Stato prese severe misure contro di essi. Le conversioni si moltiplicarono e
l'eresia scomparve a poco a poco. Queste
dispute, talvolta così accese, ebbero un buon risultato. Si stabilì infatti:
1) che non si esce dalla Chiesa con il peccato, anche mortale e pubblico, ma
solo con l'apostasia dalla fede; 2) che non si richiede nel ministro di un
sacramento lo stato di grazia perché quel sacramento sia valido. IL PRISCILLIANISMO
L'eresia
priscilliana deve la sua origine a un certo Priscilliano, vescovo di Avila
(il futuro luogo di nascita di santa Teresa). Priscilliano
apparteneva a una nobile famiglia spagnola ed era versato nell'arte allora
molto popolare della divinazione, che confinava il più delle volte con la
magia. Aveva cominciato, verso il 370, a diffondere idee di origine gnostica
e manichea, per mezzo delle quali si vantava di
condurre i suoi discepoli alla perfezione. Aveva così acquistato la fiducia
di parecchi vescovi spagnoli ed era diventato lui stesso vescovo. Le sue
dottrine furono tuttavia validamente combattute dai vescovi ortodossi. Sant'Ambrogio in Italia e san Martino nella Gallia presero parte alle controversie che esse
suscitavano. Priscilliano fu condannato da parecchi
concili e consegnato alla giustizia civile, con gran dispiacere di San
Martino di Tours, il quale pensava che si dovessero
convertire gli eretici e non condannarli a morte! La morte di Priscillinno si colloca intorno al 385. Ma egli lasciava
dei seguaci che prolungarono e anzi aggravarono i suoi errori. Essi si
possono considerare come lontani antenati degli albigesi.
Praticavano una certa magia, credevano nel destino scritto, secondo loro,
negli astri. Due
secoli dopo, il papa Gregorio Magno si vedeva ancora costretto a confutarli. " Occorre sapere - scriveva - che gli eretici priscillianisti pensano che ogni uomo nasca sotto una
combinazione di stelle. E chiamano in aiuto del proprio errore il fatto che
una nuova stella apparve quando Nostro Signore si mostrò nella carne ". Il
concilio lusitano di Braga aveva condannato solennemente i priscillianisti nel 565. ERRORI SULLO STATO DI VERGINITÀ
Se
citiamo qui i nomi di Elvidio, Bonosa, Gioviniano e Vigilanzio non è
perché essi abbiano prodotto gravi dissidi nella Chiesa. Questi personaggi
sono noti solo attraverso le vigorose confutazioni di san Girolamo e di
alcuni altri Padri. Furono tutti più o meno avversari dell'ascetismo
cristiano e specialmente della pratica, antica quanto la Chiesa, della
verginità consacrata a Dio. Ciò che la Chiesa, attraverso la voce di san
Girolamo e le decisioni dei concili, volle stabilire contro di essi è: 1) La
superiorità dello stato di verginità consacrata a Dio, nella vita religiosa,
sullo stato di matrimonio; 2) la perpetua verginità di Maria, madre del
Salvatore; 3) l'utilità e il merito dell'ascetismo cristiano, della pratica
dei digiuni, delle astinenze o della vita monastica; 4) la legittimità del
culto dei santi e delle reliquie. Le
negazioni di quegli eretici su tutti questi punti si ritroveranno, dodici
secoli dopo, in seno al protestantesimo. Il più noto di essi, Gioviniano, un italiano, a quanto sembra, fu condannato
nel 390 dal papa Siricio in un concilio tenuto a
Roma e da sant'Ambrogio nel 391 in un concilio
tenuto a Milano. PELAGIO E IL
PELAGIANESIMO
Molto più grave fu l'eresia che si ricollega al nome di Pelagio.
Questi era nato in Inghilterra intorno al 354, data della nascita di s.Agostino che doveva essere il suo grande avversario.
Pare che sia venuto a Roma verso il 384. Era un uomo di grande talento e di
insigne virtù. Oratore, scrittore, esegeta, rimase " dottore laico e
indipendente" ma si riallacciava forse alle dottrine dello pseudo-Ambrogio - l'Ambrosiaster
- che si ispirava alla scuola di Antiochia. Pelagio
era certamente in assoluta buona fede. Non sembra che abbia mai pensato
ano fare uno scisma o a fondare una setta. Suo scopo era di reagire
contro una religione superficiale e tutta esteriore, come quella che vedeva
propagarsi nel mondo pagano convertito in massa al cristianesimo. Scrisse
molto, ma la maggior parte delle sue opere sono andate perdute. Si conservano
alcuni lavori di esegesi, e soprattutto una lettera a Demetriade
che è come un trattato di spiritualità. Pelagio
era anzitutto un moralista severo e intransigente, un rigorista alla sua
maniera, che era all'opposto di quella dei giansenisti di cui dovremo parlare
più avanti. Predicava il distacco dalle ricchezze, la pratica dei consigli
evangelici di povertà e di castità, in tutto il loro rigore. Combatté con
forza qualunque rilassamento, insistendo sulle sanzioni eterne dei nostri
atti: il paradiso e l'inferno. In
che cosa consiste dunque l'eresia di un direttore di anime così zelante e
degno di rispetto? Nel fatto che egli deforma la grazia. Propone alle anime
un alto ideale di " giustizia ", cioè di santità, ma per questo conta
soprattutto sulla volontà individuale, sulla libertà umana interamente
protesa verso Dio. Senza dubbio, Pelagio non può fare a meno di parlare della
grazia, di cui si tratta così spesso negli scritti di san Paolo. Ma per lui
la grazia è semplicemente la natura stessa, così splendidamente dotata da
Dio, nella creazione. Anche
noi, certo, ringraziamo Dio dei suoi doni, ma crediamo che il peccato
originale ci ha fatto perdere gran parte di questi doni. Ora, Pelagio nega il
peccato originale. E' impossibile, secondo lui, che l'anima immediatamente
creata da Dio sia caricata di un peccato che non ha commesso. Gli si obbietta
il fatto del battesimo dei bambini, in uso nella Chiesa fin dalle origini.
Pelagio si rifiuta di ammettere che tale battesimo cancelli un peccato
originale nell'anima di coloro che lo ricevono. Negli adulti, senza dubbio,
il battesimo cancella i peccati commessi in precedenza, ma non si può dire
che esso venga conferito ai bambini " in remissione dei peccati ".
Non ha altro scopo che quello di aprire loro il " regno dei cieli
", ma questo regno è solo un aspetto della vita eterna. Anche i bambini
molti senza battesimo vanno in paradiso, ma non nel " regno dei cieli
", che è soltanto una parte di esso. Pelagio tuttavia evita di spiegarsi su questo punto oscuro. Ciò
che egli soprattutto prediligeva era magnificare l'attitudine della nostra
libertà a scegliere a suo arbitrio fra il bene e il male e ad adempiere, con
le proprie forze, tutta la legge divina. Il suo discepolo più insigne, il vescovo
italiano Giuliano di Eclano, dirà in termini
giuridici: "Mediante il libero arbitrio l'uomo si e sentito emancipato
da Dio". Voleva intendere che noi non siamo degli schiavi, grazie alla
nostra libertà. Possiamo dire a Dio " sì " o " no " a
nostro piacere e a nostro rischio e pericolo. Il primo dovere dell'uomo è
dunque prendere coscienza di questa sublime autonomia e di usarne per la
propria completa santificazione. La
dottrina di Pelagio aveva sembianze di grandezza. E questo appunto spiega il
gran numero di vittime che riuscì a fare. Egli esaltava la volontà umana. In
certi ambienti romani, in cui sopravviveva lo stoicismo, non si poteva fare a
meno di applaudire a queste rivendicazioni dell'energia umana. Pelagio pare
abbia predicato liberamente e senza trovare ostilità in Italia fino al 410.
Ma a quest'epoca, si verificò una catastrofe
spaventosa. Le frontiere romane cedevano da tutte le parti sotto la pressione
delle invasioni barbariche. Bande di Visigoti,
guidate da Alarico, si diffusero attraverso il nord nell'Italia, e presto
raggiunsero Roma. La città " eterna ", come già era chiamata fu
presa e orribilmente saccheggiata. Si pensò alla fine del mondo! Le
popolazioni sgomente fuggivano nella direzione opposta a quella dei barbari.
Pelagio e il suo più eminente discepolo romano, il giovane avvocato Celestio, furono nel numero dei profughi. Passarono
dapprima in Africa, ma mentre Pelagio si recava in Palestina dove riceveva
un'accoglienza abbastanza favorevole, Celestio
sollevava intorno a sé obiezioni, critiche e opposizioni ben motivate. Nel
411 si radunò un concilio a Cartagine. Vi furono
condannate le sue dottrine e lui stesso fu scomunicato. Fece appello a Roma,
ma invece di recarsi dal papa, per patrocinale la propria causa, fuggì a
Efeso dove si fece ordinare prete. In Africa, frattanto, continuava la lotta
contro le sue dottrine. Sant'Agostino ne fu
1'animatore. Scrisse l'uno dopo l'altro parecchi libri contro il pelagianesimo: De spiritu et littera (Lo spirito e la
lettera) nel 412; De natura et gratia
(La natura e 1a grazia) nel 415 e altre ancora. Appunto allora meritò di
diventare quello che è rimasto per noi, il " dottore della grazia
". Nessuno meglio di lui seppe ricavare dalla Scrittura e dalla
Tradizione la dottrina della Chiesa: 1) sul peccato originale; 2) sulla
necessità del battesimo per la salvezza; 3) sull'azione preveniente e adiuvante della grazia nell'opera della nostra salvezza.
Il pelagianesimo, dapprima mal compreso dagli
orientali, e dichiarato ortodosso nel concilio di Gerusalemme e in quello di Diospolis nel 415, fu senza tregua condannato dai concili
africani, approvati da Roma. A dispetto delle astuzie tattiche dei pelagiani i quali si difendevano con ogni sorta di
cavilli, il papa Zosimo, ingannato per qualche istante, finì per colpire di
anatema questa eresia perniciosa e sottile, in una Enciclica intitolala
Epistola tractoria (estate del 418). Vi furono
tuttavia 18 vescovi italiani, il più noto dei quali è Giuliano di Eclano, che rifiutarono di sottoscrivere la dottrina
definita dal papa. Ma furono vigorosamente confutati, e l'eresia scomparve
con discreta rapidità. IL SEMI-PELAGIANESIMO
Sant'Agostino aveva tratto dal Vangelo e
dalle Epistole di san Paolo tutti gli argomenti che opponeva al pelagianesimo. Non aveva fatto fatica a dimostrare che si
intaccavano le fondamenta stesse della fede cristiana. Il pelagianesimo
tendeva per se stesso a dimostrare l'inutilità del Cristo. Sarà più tardi il
grande argomento del giansenismo. Se non vi è stato peccato originale, non c'era
bisogno di un Redentore. E' inutile la preghiera se bastiamo a
noi stessi. "Nessuno
viene a me se il Padre mio non lo attrae", aveva detto Gesù'. " Che cosa hai che non hai ricevuto, e se
l'hai ricevuto, perché gloriarti come se non l'avessi ricevuto? ", aveva
dichiarato san Paolo. Vi
è in questi testi una tale forza dimostrativa che il pelagianesimo
non avrebbe potuto opporvisi. Ma vi furono mezzogiorno della Francia dei
monaci che rimasero turbati dal vigore delle espressioni di sant'Agostino sulla necessità della grazia. Pensarono
che non si desse al libero arbitrio la parte che gli spettava nelle
opere della salvezza, Loro interprete fu il celebre autore delle Conferenze
spirituali, Giovanni Cassiano, fondatore del
monastero di San Vittore di Marsiglia. Giovanni Cassiano
ammetteva la necessità della grazia. Raccomandava la preghiera, anzi la
preghiera incessante. Ma,
nella sua Conferenza XIII, propose sotto l'etichetta degli asceti e dei pii
autori spirituali del deserto egiziano che egli aveva conosciuto e
consultato, la seguente dottrina: 1) è in potere dell'uomo volgersi per primo
verso Dio, cosi come è in potere del malato andare per primo a chiamare in
aiuto il medico; 2) allo stesso modo la predestinazione eterna dipende in
ultima analisi dalla volontà umana, poiché spetta ad essa perseverare sino
alla fine. In altri termini, Cassiano rigettava la
grazia preveniente e la grazia di perseveranza finale. Messo
al corrente da mio dei suoi discepoli – san Prospero di Aquitania
- Agostino scrisse subito due libri sull'argomento, nei quali confutava ciò
che fu chiamato per secoli "l'errore dei marsigliesi " ma che noi
chiamiamo, a partire dal secolo XVII, il semi-pelagianesimo.
Egli insisteva sulle parole di Cristo: "Senza di me non potete far nulla
", e sugli altri testi citati più sopra. Dopo la morte di Agostino (28
agosto del 430), la sua dottrina fu confermata da una Enciclica del papa
Celestino I ai vescovi delle Gallie. Non vi fu
condanna di persone. Le idee di Cassiano furono
sostenute da uno scrittore degno di nota, san Vincenzo di Lerins,
e da un vescovo zelante, Fausto di Riez. Ma nella Gallia si sviluppò parallelamente l'agostinismo,
e infine furono due grandi vescovi della regione, san Cesario di Arles e sant'Avito di Vienna,
che assicurarono la definitiva condanna del semi-pelagianesimo
nel concilio di Orange del 529. Il papa Bonifacio II approvò solennemente i decreti di questo
concilio nel 532. Fu stabilito che l'uomo decaduto per il peccato originale
non può né ottenere la fede né desiderarla senza una grazia preveniente.
Tanto meno può perseverare nel bene senza una sequela di grazie adiuvanti, né perseverare sino alla fine senza un dono
speciale collegato alla sua predestinazione. Erano gravi e difficili problemi. Ci
si può chiedere se talora sant'Agostino, nel suo
zelo di riferire tutto a Dio nell'opera della salvezza, e nel suo impegno di
stabilire la necessità della predestinazione, non abbia aperto la via a
dottrine confinanti con il fatalismo. Quel che è incontestabile è il fatto
che egli sarà continuamente invocato dai predestinaziani.
Era stato già necessario condannare il prete Lucido, per le sue dottrine a
questo proposito, Parimenti Lutero, Calvino, Baio e Giansenio
pretenderanno di porsi sotto il patrocinio di Agostino, e la Chiesa dovrà
dare del pensiero agostiniano una interpretazione capace di conciliare i
diritti della libertà umana e l'azione della grazia divina. Come sempre, sarà
fra i due estremi, ugualmente falsi, che la dottrina cattolica dovrà tracciare
e mantenere la sua via. Ma nasceranno su questo punto gravi controversie che
certo non saranno mai definitivamente risolte (soprattutto tomismo e molinismo). Il detto di Bossuet:
" Teniamo saldi i due capi della catena.." rimarrà una parola di
saggezza per tutti. |