CAPITOLO
II
LE ERESIE DEL IV SECOLO
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ARIO E LA SUA DOTTRINA
Le
controversie provocate nel III secolo dagli errori antitrinitari avevano
portato ad una recisa condanna dei patripassiani.
Ma gli scrittori cattolici non avevano sempre saputo evitare il subordinazionismo. I papi senza dubbio non avevano mai
accettato questa dottrina così poco logica. Paolo di Samosata
era stato condannato dal Concilio di Antiochia
verso il 268 per avere fatto di Cristo un semplice, figlio adottivo di Dio.
Sembra che il prete Luciano di Antiochia abbia
tuttavia conservato qualcosa di questa dottrina sotto la forma seguente: in
Gesù l'anima che vivifica il corpo dell'uomo era sostituita dal Verbo, che si
può chiamare Dio poiché è il primogenito di Dio, ma che è inferiore a Dio,
poiché è stato creato e da lui tratto dal nulla. E' probabilmente questo
Luciano di Antiochia che si deve considerare come
il vero padre dell'arianesimo. Ario
era nato in Egitto verso il 256. Era prete e aveva ricevuto l'incarico di
reggere una importante chiesa della metropoli di Alessandria, una delle più
splendide dell'Impero romano. Era
un uomo austero, distinto, alto e magro, eloquente e abile, molto popolare
nella sua parrocchia, quella di Baucalis. Era però
ambizioso, pieno di sé e molto ostinato nelle proprie idee. Verso il 318 si
verificò un conflitto dottrinale tra lui e il suo vescovo, Alessandro. Quest'ultimo, dopo aver tentato invano metodi di
persuasione e di dolcezza, riunì, verso il 320-321 lui concilio, che contò un
centinaio di vescovi dell'Egitto e della Libia. Ario vi fu condannato e
dovette lasciare la parrocchia. Ma si rifugiò in Palestina e quindi in Asia,
dove si procurò dei seguaci. Aveva composto una raccolta di canti popolari,
intitolata Thalia, per propagare le sue idee. Ad
Alessandria aveva conservato amici devoti. Si cantavano i suoi cantici contro
i cattolici. Questi rispondevano energicamente, e i pagani si divertivano a
quelle dispute incresciose. Proprio
in quel tempo, l'imperatore Costantino aveva sconfitto il suo rivale Licinio
e ricostituito, sotto la sua autorità, l'unità dell'Impero romano. Le dispute
che avevano luogo ad Alessandria, a Nicomedia, in
Palestina e in Siria erano troppo scottanti per non attrarre la sua
attenzione. Dietro il consiglio del vescovo Osio di
Cordova, decise di riunire un concilio generale
perché si pronunciasse definitivamente sulla dottrina di Ario. Questa
dottrina era la seguente: Dio è uno e eterno; il Verbo o Logos è la sua prima
creatura ed è stato da lui tratto dal nulla; egli se ne è servito per creare
il nostro mondo. Il Verbo è quindi superiore e anteriore a tutte le altre
creature, ma non lo si può chiamare Dio se non in quanto creatore, del mondo.
In realtà, non è che un Figlio adottivo di Dio. Lo Spirito Santo a sua volta
è la prima creatura del Figlio e perciò stesso è a lui inferiore. Fu il Verbo
che venne ad animare il corpo di Gesù nato dalla Vergine Maria. Per questo si
legge in san Giovanni: " Il Verbo, si è fatto carne" e non già
"si è fatto uomo". Il Verbo sostituisce, in Gesù, l'anima umana e
ne tiene il posto. Il
Concilio di Nicea, riunito nel 325 ad opera dell'imperatore Costantino,
adottò, sotto l'influsso del diacono Atanasio, il più insigne teologo del
vescovo di Alessandria dove era sorta l'eresia di Ario, il termine
consustanziale per affermare categoricamente la perfetta uguaglianza del
Verbo e del Padre. Due soli vescovi rifiutarono di sottoscrivere il Simbolo
di fede votato nel Concilio, e che noi chiamiamo Simbolo di Nicea. Tutti
i seguaci di Ario furono deposti e deportati. L'ARIANESIMO SOTTO
COSTANTINO
Ma Costantino non seppe mantenere con fermezza la dottrina
definita a Nicea. La sorella Costanza, più o meno guadagnata all'arianesimo,
lo spinse a richiamare dall'esilio il vescovo Eusebio di Nicomedia,
che acquistò la sua piena fiducia. Eusebio riuscì a fargli credere che il
termine consustanziale aveva un sapore di sabellianismo
e che cancellava ogni distinzione reale tra il Padre e il Figlio. Grazie a
questi equivoci, Ario fu richiamato dall'esilio verso il 329-330, dopo aver
emesso una confessione di fede del tutto insufficiente. L'arianesimo puro
trovò il modo di rivestirsi di forme mitigate e la polemica si trascinerà
ancora a lungo, di simbolo in simbolo, senza giungere ad una soluzione
precisa. Un nome tuttavia incarnava l'ortodossia: quello di Atanasio che,
nel 328, era succeduto al proprio vescovo in Alessandria. Fu dunque contro
Atanasio che gli amici di Ario e di Eusebio di Nicomedia
concentrarono i loro sforzi. Si cercò di perderlo. Avendo Ario sottoscritto
una formula imperfetta, ma che si volle ritenere come ortodossa, l'imperatore
intimò ad Atanasio di riabilitarlo e di restituirgli la parrocchia. In
seguito al suo rifiuto, Atanasio fu tradotto davanti a un concilio a Tiro e,
a forza di intrighi, vi fu fatto condannare nel 335. L'anno seguente,
Costantino lo esiliava a Trevi all'estremità delle Gallie. Nel frattempo, giunto all'età di 80 anni, Ario
moriva - si dice - in mezzo al trionfo che gli amici gli preparavano a
Costantinopoli per festeggiare la sua riammissione nella comunione cattolica. IL FOTINIANISMO
Ad
accrescere la confusione delle idee, avvenne, verso il 335, la pubblicazione
di un libro contro l'arianesimo dovuto al vescovo Marcello d'Ancira. Nel suo zelo contro l'eresia, egli parve ricadere
nell'errore di Sabellio, non distinguendo
nettamente le tre persone della Trinità. Gli eusebiani,
che godevano di grande favore presso Costantino, colsero l'occasione e fecero
condannare Marcello. Quest'ultimo protestò e si
appellò al papa Giulio I il quale, una prima volta nel 338 e una seconda
volta nel 341, lo dichiarò ortodosso. Più tardi. tuttavia, si dovette
riconoscere che il linguaggio di Marcello d'Ancira
non era del tutto soddisfacente. E, siccome le sue idee erano state riprese
da Fotino, vescovo di Sirmio,
si diede il nome di fotinianismo a questa eresia
che rinnovava in parte il modalismo di Sabellio. Ma tutto ciò aveva contribuito non poco a
turbare gli spiriti nelle file dell'ortodossia. IL SEMI-ARIANESIMO
Si
era fatto tuttavia qualche progresso verso la verità. L'arianesimo era
costretto a modificare le sue formule, per farle accettare. L'ortodossia,
sempre validamente difesa da Atanasio e appoggiata da Roma, guadagnava
terreno. Ma essendo morto Costantino nel 337, l'impero fu diviso tra i suoi
tre figli, uno dei quali infine ereditò dagli altri due. Quest'ultimo,
di nome Costanzo. si piccava di teologia. Come già il padre, si lasciò
adescare da Eusebio di Nicomedia, che può essere
considerato come il grande capo del semi-arianesimo. Mentre il papa Giulio I
prendeva energicamente le difese di Atanasio, prima richiamato dall'esilio e
quindi scacciato nuovamente dalla propria sede, Eusebio, in un concilio
riunito ad Antiochia nel 341, finse di condannare
in Marcello d'Ancira il rinnovato sabellianismo, facendo adottare una formula semi-ariana. A quell'epoca Costanzo non era ancora unico imperatore. Il
fratello Costante regnava in occidente. D'accordo con il papa Giulio I,
Costante riunì un concilio a Sardica (l'odierna
Sofia, in Bulgaria). Era
presente Atanasio e presiedeva, in nome del papa, il vecchio Osio di Cordova. A dispetto
dell'opposizione degli eusebiani, che si ritirarono
quasi subito, vi fu riabilitato Atanasio e acclamata l'ortodossia. Atanasio
poté rientrare nuovamente ad Alessandria nel 346. L'anno
precedente si era finito, in Occidente, con lo sfatare le dottrine oscure e
perniciose di Fotino di Sirmio,
e di conseguenza quelle ancor più subdole del suo maestro Marcello d'Ancira. Queste dottrine erano state nettamente condannate
nel concilio di Milano nel 345, e tale decisione aveva contribuito a
rischiarare l'atmosfera. Grazie all'energico imperatore Costante, si poteva
sperare la pace nella Chiesa. Ma egli morì assassinato nel 350, e da quel
momento Costanzo rimase unico padrone dell'Impero. Eusebio di Nicomedia era morto. Ma due vescovi, le cui dottrine
erano state condannate nel concilio di Sardica del
343, riuscirono ad entrare nelle sue buone grazie: Basilio d'Ancira e Acacio di Cesarea.
Sotto l'influsso di Basilio d'Ancira, che era
semiariano come lo era stato Eusebio di Nicomedia,
fu riunita tutta una serie di concili, con il pretesto di porre fine
all'eresia di Fotino di Sirmio
(il sabellianesimo). Ma
si mirava a dire che la dottrina di Atanasio, la quale sosteneva che il Verbo
è consustanziale al Padre, non era altro se non fotinianismo
camuffato. E, siccome la dottrina e la formula di Atanasio erano sostenute
soprattutto in Occidente, l'imperatore, dietro la spinta dei suoi consiglieri
semi-ariani, moltiplicò in Italia e in Gallia i
concili destinati a distruggere quella pretesa d'eresia, l'eresia dei " niceani ", cioè dei sostenitori del Concilio di
Nicea del 325. Tali
furono il concilio di Milano del 355, quello di Arles
del 353, quello di Beziers del 356, ecc.
Dappertutto, ci si limitava a costringere i vescovi a scegliere tra la
condanna di Atanasio e l'esilio. Il papa Liberio, succeduto a Giulio I
nel 352, si lasciò adescare. Non avendo voluto abbandonare la causa di
Atanasio, fu dapprima esiliato da Roma a Berea
(fine del 355) e sostituito da un antipapa di nome Felice (355-365), e finì
per sottoscrivere una formula equivoca, di cui parleremo tra breve. Fra
i più illustri esiliati di questo periodo così burrascoso si devono segnalare,
insieme con il papa Liberio e lo stesso Atanasio, due santi molto venerati in
Occidente: s. Eusebio di Vercelli e S. Ilario di Poitiers; e persino il
venerando Osio di Cordova,
nato nel 258 e vescovo dal 295. Aveva quasi cento anni! VARIE FORME DI
SEMI-ARIANESIMO
Ma
che cosa si metteva al posto della dottrina definita a Nicea? Con che si
sostituiva il "consustanziale" di Atanasio? Ciò
che caratterizza l'eresia sono le sue incessanti variazioni e fluttuazioni;
perché - come ha giustamente rilevato Newman -
appena si esce dall'ortodossia si cade nell'inconsistenza. Tale osservazione
si adatta egregiamente ai casi di quest'epoca. I semi-arianni non cessavano di costruire formula. Non
volevano saperne di consustanziale con il pretesto che vi sentivano odore di sabellianismo. Perciò, cercavano un altro aggettivo. I
semi-ariani propriamente detti, con Basilio d'Ancira,
si attenevano al termine simile nella sostanza homoiousios
in greco - invece di homoousios che era il termine
di Atanasio. Furono quindi chiamati omeousiani.
All'estremità della scala delle opinioni si trovavano gli ariani puri, i
quali sostenevano che il Verbo era dissimile - anomoios
- dal Padre. Questi sono conosciuti sotto il nome di anomei.
Infine, tra i due opposti si ergeva l'opinione di Acacio
di Cesarea, secondo il quale si doveva dire semplicemente che il Verbo è
simile - omoios - al Padre, senza precisare che gli
è simile nella sostanza. I sostenitori di questa teoria furono perciò detti omei. Le
differenze che si notano in quelle che sono chiamate le quattro formule di Sirmio (varate dal 351 al 359), mostrano chiaramente le
divergenze che travagliavano allora gli animi nella Chiesa. Sirmio, che viene identificata con l'attuale Mitrovitza, sulla Sava, in
Jugoslavia, era la residenza abituale di Costanzo. E, appunto alla presenza
di quest'ultimo si elaborarano,
in quella città, le più mutevoli formule di fede. La prima formula di Sirmio, redatta sotto l'influsso di Basilio d'Ancira, è semi-ariana ma potrebbe interpretarsi in maniera
ortodossa. La seconda segna l'influsso passeggero degli Anomei e il declino dell'influsso di Basilio d'Ancira. E' dell'anno 357 e posteriore di sei anni alla
precedente. Proclama il Figlio inferiore al Padre e 1o Spirito Santo
inferiore al Figlio. Mediante le più odiose e colpevoli violenze, non si ebbe
vergogna di far sottoscrivere questa formula al vecchio Osio
di Cordova, completamente ingannato; ma non gli si
poté mai strappare una condanna dell'amico Atanasio. Aveva allora 99 anni! A
partire dal 358, Basilio aveva ripreso l'offensiva ed era riuscito a
far ammettere dall'imperatore una terza formula, nella quale senza dubbio non
si riscontrava il termine ortodosso consustanziale decretato a Nicea, ma che
si poteva tuttavia intendere in modo cattolico. Bisogna riconoscere che certi
scrittori anche perfettamente ortodossi, come san Cirillo di Gerusalemme,
temevano un poco l'espressione "consustanziale ", quasi potesse
portare al sabellianismo. Non è quindi da stupire
che il papa Liberio, il quale languiva da tre anni a Berea
e vedeva la sua chiesa di Roma dilaniata dallo scisma a causa di un antipapa,
abbia creduto di poter sottoscrivere quella formula, onde ritrovare la
libertà. Cosa più spiacevole, egli acconsentì n condannare Atanasio per l'uso
del termine " consustanziale ". Non è tuttavia da credere che il
papa sia, in questa circostanza, caduto egli stesso nell'eresia, benché
durante le discussioni sull'infallibilità del papa si sia fatto continuamente
ricorso al suo caso. Liberio mancò di chiaroveggenza e di fermezza, ma la sua
ortodossia sembra rimanere completamente fuori causa. Il
trionfo di Basilio d'Ancira, autore di questa terza
formula di Sirmio, non fu d'altronde di lunga
durata, poiché i suoi nemici e rivali strapparono a1 debole e pretenzioso
imperatore una quarta formula di Sirmio, che
dichiarava il Verbo semplicemente simile al Padre, il che significava la
vittoria degli omei sugli omeusiani.
Eravamo nel 359. La formula fu sottoscritta per prudenza dagli anomei, e dallo stesso Basilio d'Ancira,
che la adattò alla sua opinione personale. Ma
allora si produsse nella Chiesa un vero dramma. L'imperatore
ebbe la pretesa di far sottoscrivere questa formula da tutti i vescovi
dell'impero, e a tal fine convocò due concili, uno a Selcucia
per l'Oriente e l'altro a Rimini per l'Occidente. A
Rimini, si radunarono 400 vescovi, di cui circa 80 erano ostili alla
definizione di Nicea. La maggioranza quindi dichiarò di attenersi al concilio
di Nicea e respinse la formula di Sirmio. Ma la
minoranza agì con tanta astuzia e fece intervenire l'imperatore con tanta
rigidità che, dietro le più gravi minacce e con spiegazioni miranti ad
addormentare le coscienze, si ottenne dai Padri la sottoscrizione di questa
formula di Sirmio, per di più aggravandola, poiché
mentre prima il Verbo vi era detto "simile al Padre in ogni cosa ",
a Rimini queste ultime tre parole furono soppresse. Comunque
sia, è certo che la formula di Rimini fu infine adottata nel più assoluto
equivoco. Lo
stesso avvenne a Seleucia. Basilio d'Ancira si dibatté dapprima come meglio poté; poi
l'autorità dell'imperatore fece pendere la bilancia nel senso inverso. Così
la formula, detta omeiana, sottoscritta a Rimini,
venne imposta anche a Seleucia. Di qui passò ai
popoli barbari che nel secolo seguente avrebbero invaso l'impero romano.
Quando si afferma, in storia, che questi popoli, o almeno una parte di essi -
per esempio i Burgundi e i Goti - erano ariani, si vuole intendere che
professavano la Confessione di fede di Rimini-Seleucia.
L'anno seguente, nel 360, gli acaciani o omei riportarono un'ultima vittoria al concilio di
Costantinopoli, che condannò insieme i termini consustanziale (ortodosso),
simile in sostanza (Basilio d'Anciria, semi-ariano)
e dissimile (ariani puri). Sembrava che l'eresia avesse vinto nella Chiesa. San Girolamo,
parlando di questo breve periodo, che terminò con la morte dell'imperatore
avvenuta nel 361, disse con una frase rimasta celebre:" L'universo
gemette nello sbalordimento di vedersi diventato ariano! " Non
era nulla di grave. Gli spiriti ingannati dagli intrighi e vessati dalle
minacce della Corte, si risolleveranno ben presto. Alla
morte di Costanzo, fu uno dei suoi nipoti, Giuliano - che in storia è
soprannominato l'Apostata - a prendere il potere. Egli aveva segretamente
abbracciato il paganesimo. Ed era venuto in urto con lo zio, l'imperatore, in
seguito alla rivolta dell'esercito, che proclamava Augusto lui stesso.
Costanzo era morto mentre marciava contro di lui. Una volta padrone
dell'impero, Giuliano cercò di ristabilire il paganesimo. Il suo primo atto
fu quello di rimandare alle proprie diocesi tutti i vescovi esiliati, senza
dubbio con l'idea di provocare in tal modo delle divisioni in seno alla
Chiesa. Non
starò a descrivervi qui tutti i tentativi da lui fatti per risuscitare il
paganesimo ormai sorpassato e sepolto. Del resto non ebbe il tempo di impegnarvisi a lungo, poiché già nel 363 scompariva,
all'età di 32 anni durante una spedizione contro i Persiani. I suoi
successori Gioviniano, Valentiniano
e Graziano e soprattutto Teodosio - o usarono una larga tolleranza, rimanendo
fuori delle dispute teologiche, o si mostrarono decisamente favorevoli
all'ortodossia cattolica. Uno solo, Valente, fratello di Valentiniano
I e da lui associato all'impero, si fece, al pari di Costanzo, difensore
dell'arianesimo, senza portare d'altronde gravi disordini in seno alla Chiesa
d'Oriente, in cui risplendevano allora autentici geni, come Basilio di
Cesarea e il suo grande amico Gregorio Nazianzeno. Atanasio
ebbe l'onore di contribuire, prima della sua morte, alla riconciliazione e
alla pacificazione degli animi. Rientrato al pari degli altri, nel 362, nella
sua chiesa di Alessandria, radunò un concilio e in esso dette prova di
una grande larghezza d'animo per porre fine a tutte le dispute dogmatiche.
Fece semplicemente rivivere i decreti del concilio di Nicea del 325
rifuggendo da qualunque discussione di termini. Quando morì - nel proprio
letto, lui che era stato così spesso scacciato dalla sua sede - aveva
adempiuto - uno dei più nobili compiti che possano incombere a un pastore di
anime, poiché aveva ristabilito dovunque intorno a sé la pace nell'unità
della fede. Era il 2 maggio del 373. Fra
coloro che seguirono il suo esempio è da segnalare sant'Ilario
di Poitiers nelle Gallie, sant'Eusebio
di Vercelli in Italia, e i cosiddetti tre Cappadoci:
Basilio di Cesarea, già ricordato, Gregorio Nazianzeno
e Gregorio Nisseno, fratello di Basilio - forse il
più profondo dei tre. GLI PNEUMATOMACHI
Per
quasi tutto il IV secolo - uno dei più splendidi della storia della Chiesa -
si discusse animatamente sulla divinità del Verbo, ma si perdette un poco di
vista quella dello Spirito Santo. E' chiaro tuttavia che coloro i quali
rigettavano la divinità consustanziale del Figlio respingevano a maggior
ragione quello dello Spirito Santo, da tutti ritenuto al terzo posto tra le
"persone divine ". Solo verso il 360 si pose chiaramente la
questione su questo punto. La persona dello Spirito Santo era infatti
sempre associata alle altre due, particolarmente nella liturgia battesimale.
La maggior parte dei semi-ariani e soprattutto degli ariani puri si
dichiararono contro la divinità dello Spirito Santo. Per questo motivo furono
chiamati pneumatomachi, cioè avversari dello
Spirito, ed anche macedoniani, dal nome di
Macedonio, vescovo intruso di Costantinopoli, che fu uno dei loro capi più
eminenti, e venne deposto nel 360. Questa nuova disputa aveva il vantaggio di
costringere le menti a considerare il dogma della Trinità in tutta la sua
ampiezza. Fu vanto del grande imperatore Teodosio mettere un punto finale a
quelle interminabili controversie, attraverso le quali, tuttavia, la teologia
della Trinità aveva preso una mirabile consistenza. Fin dal battesimo,
ricevuto nell'età adulta, Teodosio aveva dichiarato di volersi attenere in
tutto, ma specialmente in materia trinitaria, al pensiero del vescovo di Roma
e alla fede professata in comune dal papa e dal vescovo Atanasio di
Alessandria. Ma, una volta divenuto imperatore, comprese che gli Orientali
conservavano una certa suscettibilità riguardo al papa e al successore di
Atanasio. Ebbe quindi l'accortezza, di radunare a Costantinopoli un concilio
di soli orientali. Era da poco tempo vescovo della città Gregorio Nazianzeno, grande oratore, grande teologo e autentico
santo. L'imperatore cominciò col far restituire ai cattolici tutte le chiese
della città che erano state occupate dagli ariani. Quindi, d'accordo con
Gregorio Nazianzeno, convocò i vescovi orientali.
Ne vennero 186, di cui 36 erano pnematomachi. Il
concilio fu presieduto successivamente da Melezio di Antiochia,
da san Gregorio Nazianzeno e, dopo le dimissioni di
quest'ultimo, dal suo successore Nettario. Esso consacrò definitivamente la dottrina di
Nicea, scagliò l'anatema contro l'arianesimo e il semi-arianesimo,
specialmente contro l'eresia degli anomei e degli omei, come pure degli omeusiani.
Infine, il concilio proclamò la divinità dello Spirito Santo pari a quella
del Verbo e del Padre. Gli pneumatomachi furono
quindi respinti dalla Chiesa, e in questo senso fu completato il Simbolo di
Nicea. L'arianesimo continuò a vivere sol più presso i " barbari "
fino al secolo VII. |