GLI EBREI RIDOTTI IN SCHIAVITU’

 

 

 

I discendenti di Giacobbe vissero in Egitto per oltre 450 anni, durante i quali divennero una nazione - la nazione d'Israele. Essi furono infatti accolti con favore, probabilmente al tempo degli Hyksos, con Giuseppe figlio di Giacobbe che divenne addirittura viceré d'Egitto. Poi gli Egiziani, retti da un'altra dinastia di faraoni, cominciarono a considerare gli Ebrei come una minaccia.

Intensificarono i controlli, obbligando gli Israeliti, ridotti in schiavitù, a fabbricare mattoni per la fabbrica delle città-deposito di Pitom e Ramesse. Per ridurre il crescente numero di Ebrei disposero che i loro neonati maschi fossero affogati nelle acque del fiume Nilo. La Bibbia racconta che gli Israeliti invocarono l'aiuto di Dio, che mandò loro un capo: Mosè. Siamo probabilmente nei primi anni del 13° secolo a.C.; Mosè era destinato a liberare gli Israeliti dalla schiavitù e a ricondurli nella terra di Canaan, che divenne la "terra promessa: Mosè e suo fratello Aronne chiesero con insistenza al faraone di permettere che gli Israeliti lasciassero l'Egitto, ma il sovrano se ne convinse solo dopo una serie di flagelli mandati da Dio. Il decimo flagello fu quello decisivo: Mose annunciò che per tutto l'Egitto, in una certa notte Dio sarebbe passato nel paese e ogni primogenito egiziano sarebbe morto. I primogeniti degli Israeliti sì sarebbero però salvati, se il popolo avesse seguito attentamente le istruzioni che Mosè avrebbe dato loro: dovevano segnare la porta della loro casa con il sangue di un agnello sacrificato, cucinare la carne dell'animale e mangiarla quella sera stessa, con erbe amare e pani azzimi e, infine, avrebbero dovuto preparare i loro averi e vestirsi, facendosi trovare pronti per mettersi in viaggio.

 

 

 

 Egitto

La liberazione dalla schiavitù