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XXXIII Domenica
Tempo Ordinario 18 novembre 2001
Analisi del Vangelo di Luca 21, 5-19
(Corretto)
“Ma prima di tutto
questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno…” Vi
sono seri motivi per ritenere questo passo come un nuovo inizio
narrativo all’interno della più ampia narrazione riguardante il
discorso apocalittico che ci viene proposto dalla liturgia questa
settimana. I motivi sono vari e possono, in qualche modo, essere
ricondotti a due: 1) Un discorso apocalittico si impone, nella sua
struttura letteraria, come un complesso di simboli che andrebbero
decodificati, per tentare di riprendere la trama dei significati
che tali simboli racchiudono e al di sotto dei quali ci pare di
poter ravvisare un significato eminentemente etico (e in questo
caso etico-escatologico), nella linea sinora individuata dai nostri
commenti; 2) Se ciò che diciamo corrisponde a verità, tale senso
etico del testo si impone a partire dall’espressione riportata,
come un momento originario, nel senso di un primo ontologico,
di fronte al quale le cose che dovranno accadere, secondo
una tipica espressione delle profezie di sapore apocalittico, vanno
ricondotte. Tutto ci riporta all’urgenza di un giusto da compiersi
che è “prima di tutto questo…”.
Vediamo di spiegarci!
Il testo che ci viene
presentato può essere fondamentalmente diviso in due sezioni principali.
La prima, che va dal
v. 5 al v. 11, presenta Gesù che si intromette nella discussione
di “alcuni [che] palavano del tempio e delle belle pietre
e dei doni votivi che lo adornavano”. Il discorso che il Maestro
fa, parla di giorni che verranno “in cui, di tutto ciò che ammirate,
non resterà pietra su pietra che non venga distrutta”. Evidentemente
vi è un opposizione che Gesù tenta di evidenziare tra la struttura
fisica del tempio, e il suo significato religioso, che nel clima
culturale dei vangeli non è colto più nella sua originaria forza
escatologica e di cui il discorso proferito in uno stile apocalittico
vuole essere come il segno. Gesù mira a demolire anzitutto quella
che può considerarsi una convinzione di superficie. L’importanza
del tempio non sta nella sua presenza maestosa, nel fascino estetico
che suscita. Esso è un momento escatologico della vita d’Israele
così come è escatologica la vita etica del popolo. Gesù coglie l’occasione
del discorso intrapreso dagli anonimi personaggi, sulla bellezza
del tempio, per recuperare questa dimensione di emergenza degli
ultimi tempi come tempi ultimi a cui il tempio come
segno escatologico va, appunto, ricondotto. L’abilità di Gesù sta
nel condurre con maestria gli interlocutori, dalle loro convinzioni
di superficie a ciò che accadrà nei tempi ultimi e dal discorso
sui tempi ultimi, incentrato su uno stile apocalittico, alla reale
dimensione escatologica del tempo che è ultimo solo ed esclusivamente
in prossimità di un ritmo vitale inverato dalla forza etica
della testimonianza per il Regno.
[Schematizzando: 1) Tempio-
2) Distruzione (linguaggio apocalittico)- 3) Fine del tempo (linguaggio
escatologico)- 4) Testimonianza (vera sostanza della dimensione
escatologica)]
Varie sono le ammonizioni
che seguono e tutto sembra avere la funzione ambigua di un rimando
continuo a qualcosa che continuamente pare sottrarsi: “Quando
sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate.
Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la
fine”. Tutto ciò appare in un primo momento contraddittorio
rispetto alle prime ammonizioni riguardo la distruzione del tempio.
Tuttavia se si segue il crescendo della narrazione si scorge quasi
un’intenzione a voler condurre lentamente la questione da un punto
di superficie ad uno strato centrale in cui il problema fine
è riconducibile a qualcosa che, non tanto ha a che fare con il tempo
nella sua fisicità cronologica, quanto nella sua dinamicità esistenziale
e storica. Ci sembra questo d’altronde il motivo dell’inclusione
del discorso nell’espressione “ma non sarà subito la fine”,
quasi a voler sottolineare una doppia intenzionalità di questa stessa
espressione: una interna alla struttura del testo, per la quale
si potrebbe intendere “ma non è questa la fine del discorso che
sto facendo”; un’altra per la quale si potrebbe capire “che in tutto
ciò che accade la fine non è contenuta nella pura e semplice fatticità
del tempo”, cioè vi sarebbe come una seconda navigazione nel tempo
che ci riconduce a considerare come fondamentale non il fatto che
vi sia del tempo, ma che la nostra vita è tempo in tutte le dimensioni
che la riguardano, nella misura in cui tale tempo si faccia ultimo
nell’impegno etico della carità.
Quella che individuiamo
come la seconda sezione del brano, che va dal v. 12 al v. 19, opera
un distacco definitivo rispetto ad una concezione superficiale dell’escatologia,
a partire da un riferimento esplicito a ciò che il discorso di Gesù
con maestria lascia velato sino a questo punto, quasi a volerne
marcare l’importanza, come di una realtà che è fondamentale proprio
perché si sottrae di continuo all’occhio che rimane in superficie:
“Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno,
consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti
a re e a governatori, a causa del mio nome”. Il “ma prima
di tutto questo” scandisce l’importanza di ciò che a quest’espressione
segue e la contingenza di quanto precede. Il prima non è solo un
prima che questo avvenga, nel senso di una successione nel tempo.
Si tratta di un prima, e ci si perdoni se su questo punto insistiamo
tanto, che non ha precedenti, nel senso che riveste un ruolo primario
in relazione a ciò che davvero è fondamentale nell’economia della
salvezza. Il nome a causa del quale accade tutto ciò si pone a capo
di questa condizione per la quale il “prima di tutto questo”
diventa l’emergenza etica del “questo vi darà occasione di render
testimonianza”. La testimonianza è la stessa linea di confine
che separa il tempo delle cose dal tempo opportuno e, nello
stesso istante, compimento, ciò che fa di un’esistenza la gloria
di un destino che abbia abbracciato il tempo nella sua dimensione
più profonda.
Ora, se si interpreta
il problema escatologico, in termini di testimonianza nel nome di…,
Gesù pone come inevitabile un problema, di fronte al quale, però,
riusciamo a comprendere con spirito maggiormente disincantato le
stesse profezie apocalittiche: “Sarete traditi perfino dai genitori,
dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni
di voi; sarete odiati da tutti per causa del mio nome”. Il problema
del futuro, si pone ora in un linguaggio totalmente demitizzato
che non lascia spazio ad equivoci. La persecuzione è il pane quotidiano
del giusto che abbia in mente di condurre la giustizia al suo compimento
storico. Vi saranno persino condannati a morte, ma di ciò non conta
il quando, bensì il perché, perché il perché è già, di per sé, il
quando. Accadrà perché la storia si compone di una dialettica tra
l’azione di forze di bene e l’azione di forze malvagie. Il messaggio
è in tutto e per tutto profetico, nel tipico stile profetico-escatologico
di denuncia al quale Gesù si accoda.
La parte finale del racconto
potrebbe indurre ad interpretare quest’ultimo discorso in una chiave
ottimistica: “Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. Con
la vostra perseveranza salverete le vostre anime”. Il senso
ottimistico di cui parlavamo potrebbe essere di due tipi:
1)
Il bene
trionferà nella dinamica interna a questa opposizione tra bene e
male, perché è una legge della natura che il bene sempre trionfa;
2)
Se anche
il male dovesse trionfare nella storia, vi sarà comunque un riscatto
finale in cui i malvagi verranno puniti e i giusti premiati.
Senza addentrarci troppo
nei particolari, diciamo semplicemente che una tal conclusione non
ci soddisfa sul piano della chiave di lettura che abbiamo dato in
precedenza, riguardante l’urgente responsabilità di cogliere nel
tempo l’emergenza etica della testimonianza della carità. Il tempo
si risolve in tempo buono non perché vi sia una legge interna
all’accadere delle cose per le quali, alla fine, ciò che accade,
accade comunque a buon fine. Persino la questione del premio finale
ci lascia perplessi, poiché nasconde la tentazione di pensare l’escatologia
come esterna al tempo storico. Che essa trascenda il tempo non significa
affatto che ne sia esterna. Il tempo si risolve bene quando qualcuno
accoglie la responsabilità di compiere del bene. Sinché nessuno
si rende perseverante nel rendere testimonianza al bene, non vi
sarà alcun bene che accade. La salvezza, in ultimo, dipende da questo.
Avremmo potuto proseguire
e aprire questioni difficilmente risolvibili in poche righe. Lasciamo
al non scritto del testo la possibilità di esprimersi nei
detti che nascono dal suo appello.
Vogliate perdonare le
difficoltà di espressione che in alcuni punti ci siamo concessi
e soprattutto la poca chiarezza che può venire da uno scritto preparato
a volte con non troppa calma, ma il tema non era di facile stesura.
Come al solito, per quei pochi che capitano da queste parti, sono
graditi commenti, giudizi, domande, obiezioni e tutto quanto possa
servire all’edificazione reciproca.
Antonio
Siena
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