XXV Domenica
Tempo Ordinario 23 settembre 2001
Analisi e commento del
brano di Lc 16, 1-13
Il brano di questa settimana
appare ad una prima lettura estremamente complesso, soprattutto
per ciò che riguarda l'interpretazione della parabola che
viene narrata e per gli elementi che la legano alla seconda parte
del brano in questione in cui Gesù offre delle indicazioni
pratiche, pur con un linguaggio particolarmente ermetico e fortemente
simbolico, sulle modalità secondo le quali applicare la
parabola ad un livello esistenziale e comunitario.
La difficoltà fondamentale
degli agganci che la parabola offre con le applicazioni etiche,
risiede nel fatto che, in essa, assieme alla narrazione di un
amministratore disonesto, si loda esplicitamente questa stessa
disonestà come atteggiamento scaltro e per giunta doveroso.
Pensiamo (ed in questo senso
accogliamo il suggerimento di un commento di p. Cantalamessa)
si debba operare una scissione tra la lettera della parabola,
in cui non si separano le modalità d'azione dell'amministratore
dai contenuti di questa stessa azione, e il suo senso profondo,
che in questo caso vuole rivolgersi solo all'opportunità
dello stile scaltro col quale l'amministratore tenta di cavarsela,
in caso di licenziamento.
Vediamo di spiegarci!
Nella parabola vi è
un amministratore che solitamente compie delle truffe a danno
del suo padrone. Scoperto da quest'ultimo e in totale pericolo
di licenziamento, decide di falsificare gli ultimi conti, a favore
di alcuni clienti e a danno del padrone, per farsi degli amici
che possano accoglierlo quando non avrà più una
casa.
Il padrone scoperto il gioco,
invece che indignarsi, loda l'amministratore per la sua scaltrezza,
per l'agilità con la quale è riuscito a trovare
dei rimedi all'eventuale miseria futura.
In realtà, sempre secondo
il suggerimento di Cantalamessa, la lode non è rivolta
all'azione disonesta, bensì all'atto stesso della sua rapidità,
dell'agilità con la quale l'amministratore compie il suo
sinistro affare.
Attenzione! A questo punto
l'analisi si sposta dalla schizofrenia di senso iniziale, al concetto
stesso di decisione, di agilità, di apertura totale verso
un'etica della temporalità. L'amministratore, che in questo
caso gestisce i beni del padrone, dimostra di avere tutti i numeri
per compiere un ottimo lavoro, tuttavia ha tutta una gamma di
preoccupazioni altre, per le quali non riesce ad applicare la
propria prontezza al fine di un lavoro pregevole.
Tentando di trasferire brutalmente
questa parabola sul piano della realtà del Regno e delle
esigenze previste per un ritmo adeguato al suo progressivo compimento
storico, l'amministratore appare come colui i cui talenti, che
dovrebbero essere spesi al servizio dell'edificazione della vita
comunitaria vista come porzione di Regno, vengono buttati via
per la propria sopravvivenza, in realtà messa in pericolo
solo a causa della propria scarsa onestà.
Distingueremmo quindi due
piani nella parabola e nell'attualizzazione operata da Gesù,
che potremmo definire in quanto alle modalità e in quanto
ai contenuti. L'operosità disonesta dell'amministratore
in realtà compromette il funzionamento stesso dell'azienda,
che priva di un amministratore capace, non può che fallire.
Si capisce perciò, come, se da una parte l'attività
dell'amministratore può tranquillamente essere lodata sotto
l'aspetto del suo fiuto per gli affari (che non sono i suoi di
diritto, ma del padrone e dell'eventuale comunità di lavoratori
coinvolti), minimamente o per nulla, può essere lodata
la sua attività dal punto di vista delle reali operazioni
compiute, in realtà per arricchire se stesso e non l'azienda
per cui lavora.
Ci pare ci sia qualcosa di
più del pur importante problema dell'amministrazione dei
liquidi di un'azienda (alcuni autori parlano espressamente di
una parabola che intende istruirci sull'amministrare il denaro).
Il problema di fondo in realtà sembra vertere sulla responsabilità,
di chi, ricevuto un mandato (per ciò che riguarda il cristiano,
il battesimo dice già questa responsabilità), ha
il compito di farsi amministratore onesto della vita di comunità,
non solo sotto l'aspetto finanziario bensì anche, o soprattutto
sotto l'aspetto delle relazioni esistenti all'interno della stessa
comunità. Un lavoro malfatto sotto l'aspetto etico, cioè
sotto la fondamentale pre-occupazione per la comunità,
rappresenta una pessima amministrazione per la quale non si dà
alcuna giustificazione (salvo ovviamente il pentimento per i propri
misfatti): "Non potete servire a Dio e a mammona".
Rimane un problema interpretativo dato dall'espressione "Procuratevi
amici con la iniqua ricchezza, perché quando essa venga
a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne". È un'espressione
contraddittoria, o apparentemente contraddittoria, rispetto al
resto del testo, per la quale non riusciamo a trovare un immediato
aggancio. La soluzione di Cantalamessa, di considerare gli amici
conquistati con una ricchezza disonesta come figura dei poveri,
che proprio in quanto poveri, ci consentono di conquistare una
"dimora eterna", ci pare poco convincente. Non che si
debba prendere alla lettera il testo, tuttavia così come
appare nella nostra traduzione italiana, pare si agganci poco
con tutto il resto.
La discontinuità del
testo di questa settimana, messa insieme ai problemi avuti dal
sottoscritto con il PC (non sto a spiegare problemi di cui io
stesso ignoro le cause e la natura), hanno reso la lettura di
questa settimana, detto tra noi, veramente pesante. Per un istante
abbiamo persino avuto la voglia di lasciar perdere e di aspettare
la prossima domenica. Alla fine siamo riusciti a consegnare alle
stampe, uno straccio di commento con impressioni vaghe e privo
di citazioni puntuali. Dobbiamo ringraziare il p. Cantalamessa,
per i suggerimenti tratti dal suo agile e sapiente commento. In
questo caso correzioni e rimproveri non solo sono ben accetti,
ma addirittura doverosi. Li ascolteremo, a testa china, pronti
al ravvedimento, per un lavoro sempre più serio.
Antonio
Siena