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XXVII Domenica Tempo Ordinario 7 ottobre 2001

Analisi e commento del brano di Lc 17, 5-10

L’apparente connotazione negativa della fine del brano evangelico di questa settimana, che scegliamo non a caso come punto di riferimento, in realtà si dispone ad offrirci un insegnamento profondo su qualcosa che ci sta a cuore. Siamo servi inutili? Meglio così! Chi si sente utile o vuole sentirsi tale, meglio che si sotterri. Immaginate quale responsabilità potrebbe gravare sulle nostre spalle se fossimo davvero utili. Eppure questa è la nostra responsabilità ultima, che tuttavia sopravvive proprio nel suo disimpegno. Ancora un paradosso che ci viene all’idea da una parola antica e quanto mai originaria.

Ma vediamo di ripercorrere la trama del testo!

Il brano evangelico di questa settimana inizia mettendo in scena i discepoli che discutono con Gesù sulla propria fede. Rivolgendosi al Maestro: “Aumenta la nostra fede”. Il contenuto della domanda appare immediatamente ambiguo, pur di un’ambiguità non immediatamente percepibile. La fede, evidentemente per i personaggi del brano, rappresenta una discriminante fondamentale per marcare una distanza tra una vita comune ed una vita di pienezza quale è o dovrebbe essere nell’ottica dell’amore di Dio per l’uomo, ed infatti i discepoli ne domandano in quantità ulteriore.

Il seguito, nella risposta di Gesù, offre immediatamente, ai personaggi come al lettore che non si fosse reso conto del problema, una torsione rispetto alla domanda così come viene posta dai discepoli: “Se aveste fede quanto un granello di senapa, potreste dire a questo gelso, Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe”. La risposta alla richiesta dei discepoli è evidentemente evasiva. Il granello di senapa è una realtà talmente piccola che, laddove la fede dei discepoli non raggiungesse tali dimensioni, sarebbe pressoché prossima al valore zero. Ma la loro fede è necessariamente così, poiché se ne avessero avuta tanta quanto è grande un granello di senapa, avrebbero potuto compiere prodigi, quali parlare alle piante e da loro stesse farsi ascoltare. Evidentemente l’esempio adottato da Gesù è un esagerazione voluta, per indicare che il problema fede, va risolto da tutt’altra prospettiva.

Il seguito della catechesi è assolutamente sorprendente. Gesù abbandona totalmente la discussione sulla fede cominciata dai discepoli e intraprende una discussione, dentro esempi di cui le figure portanti sono il servo e il padrone, del servizio ad altri. Evidentemente, ci teniamo a sottolinearlo (talvolta un’immagine di troppo rischia di creare involontarie confusioni) servo e padrone sono figure di un servizio che si estende da parte del soggetto chiamato in causa (ciascun discepolo, ogni cristiano, ogni lettore che voglia prendere sul serio la lettera del vangelo) non tanto ad un suo eventuale padrone (il cristianesimo è una ventata di liberazione, non di sclerotizzazione di strutture di oppressione!), quanto ad altri e alla comunità come soggetto di cura. Il problema ovviamente non è rovesciabile. Qui non conta cosa l’altro o la comunità possono fare per il singolo, bensì quale contributo il singolo può dare alla comunità e ad altri. Al limite riprenderemo questo problema.

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirò quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?”. Ecco che il problema slitta vertiginosamente su tutt’altro fronte. “Signore aumenta la nostra fede”; la risposta data a tale richiesta è, che se vi è uno schiavo che serve il suo padrone, in tal servizio non vi è nulla di speciale e il padrone non sarà tenuto a sentirsi obbligato per tutto ciò. Oltre a non comprendere immediatamente l’aggancio con la richiesta, la posizione assunta da Gesù ci mette profondamente in difficoltà. Che significa tutto ciò? Abbiamo già svelato il trucco della torsione di orizzonte operata da Gesù nel passaggio dalla fede al servizio, per cui inutile continuare a girarci intorno. Evidentemente se vi è stato questo cambio di prospettiva vi è un senso ben preciso che il vangelo, in maniera velata, sta tentando di sottoporre alla nostra attenzione. Crediamo a questo punto di dover offrire un supplemento di indagine alla ricerca, avanzando qualche ipotesi e tentando di verificarne la concretezza.

Ci pare di poter anzitutto dire che, se vi fosse una richiesta da parte dei discepoli riguardo alla propria fede, il discorso fatto da Gesù tenterà di venire incontro soprattutto ad alcune difficoltà riscontrabili nel loro modo di porre il problema.

Anzitutto, avendo a che fare con le due figure del servo e del padrone, è necessario indagare sulla possibilità che tali figure rivestano un ruolo fondamentale nella risoluzione del rompicapo FEDE.

Ancora, ci pare fondamentale indagare sull’espressione finale del testo in cui Gesù opera un’ulteriore approfondimento del problema.

Come prima cosa vorremmo far notare la natura retorica della domanda posta da Gesù. Ciò che fa comprendere come la domanda non sia posta a sostegno di una condizione sociale in cui vige il problema della schiavitù, è dato dal fatto che essa è presa solo ed esclusivamente come termine di paragone della parte finale in cui crediamo risieda la vera soluzione. Egli, infatti, alla fine dice: “Così anche voi, quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato…”. Ora, si noterà come, mentre nella domanda “Chi di voi se ha un servo…”, i soggetti chiamati a fare da padroni sono proprio i discepoli, nella risposta ad essi tocca precisamente il ruolo opposto. Deduciamo da questo, che la domanda non solo è retorica, ma è utilizzata da Gesù solo come esempio per mostrare una condizione ovvia, che servirà a rendere ovvio un altro campo da gioco. Nessuno infatti sarebbe disposto ad accettare con facilità una condizione di passività. Gesù mostrando la necessità di tali meccanismi relazionali, nel rapporto servo-padrone, introduce un elemento che probabilmente i discepoli non consideravano: l’obbedienza.

Tale obbedienza, pare non essere rivolta ad una posizione di subordinazione da parte di un inferiore rispetto ad un superiore. Come abbiamo già mostrato, la domanda di Gesù appare come il luogo metaforico di una condizione fondamentale che Gesù ha in mente di rendere comprensibile ai discepoli che si accostano alla fede. Per questo motivo, ciò che a nostro avviso, appare come determinante, è piuttosto il fatto che vi sia una condizione di passività da realizzare e che tale presa di posizione sia determinante nella comprensione della fede.

Attenzione! Non passività, nel senso volgare di un’impassibilità di fondo rispetto alla vita e alle strutture di male, bensì nel senso profondo di un’apertura e di una disponibilità al Bene per le quali è fondamentale saper ascoltare e saper obbedire. Obbedienza, quindi, all’altro, non come il mio padrone, ma proprio come altro, di cui più volte abbiamo messo in risalto la fragilità e il bisogno di cura.

Servi inutili? Qui sta il paradosso. La massima responsabilità domanda un tale disimpegno, il disimpegno della libertà 1) dell’altro a non sentire obblighi 2) mio di non dover attendere la sua gratitudine. Il massimo disimpegno domanda una tale responsabilità, 1) la responsabilità per colui il cui bisogno è un appello assoluto 2) la responsabilità di un rendere fruibile il dono della fede da parte di Dio come se fosse l’[ultima – occasione – ultima] della mia vita.

“Ecco soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede” (Ab 2,4).

Vorremmo ringraziare coloro che di tanto in tanto sbirciano tra queste righe, a volte confuse e non troppo comprensibili. Le vostre critiche così come i complimenti sono il pasto migliore per avere la forza di continuare.

A presto,

Antonio Siena

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A cura di
Antonio Siena

 
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