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XXIV Domenica Tempo Ordinario 16 settembre 2001

Analisi e commento del brano di Lc 15, 1-32

La Parola ci prova in tutti i modi!! Ci prova? Direi che insiste abbastanza… A far che? A tentare di farci capire che la Giustizia sta dall'altra parte.

Il brano di questa settimana, lungo ben trentadue versetti, se consideriamo la forma intera, ci esorta a compiere tutt'altro. Dovremmo averlo ascoltato, letto e riletto decine di volte e tuttavia, probabilmente, non ci siamo ancora convinti che all'Ultimo spetta il Primo. Le abbiamo provate tutte per essere dei buoni cristiani (ammesso che si possa esserlo!!) e non ci siamo resi conto che il sentiero più adatto per questo, sarebbe stato quello di spogliarsi di un tale orgoglio, inutile orgoglio, per vestire i panni del rinnegato, di colui che ha veramente bisogno di un padre!

Per comodità e per facilitarci nel lavoro, potremmo tranquillamente evitare la parte di testo tra parentesi e rivolgerci alla sola forma breve. Tuttavia, questa volta si tratta di un brano la cui importanza ci impone di non evitarlo. Parlo appunto del racconto del "figlio prodigo" o "del padre misericordioso" o "del fratello ritrovato" o se si preferisce "del fratello giusto che si deve convertire" e così via. In realtà sono tante le angolature dalle quali si può partire e condurre una fruttuosa interpretazione. Vedremo di non scartare ciò che troviamo di fondamentale.

Il testo si divide fondamentalmente in due parti, che oltretutto coincidono con la divisione operata per la liturgia in testo obbligatorio e testo opzionale.

La prima parte del testo si compone di un'introduzione contenente le condizioni spazio-temporali da cui parte la narrazione, e due parabole, meglio conosciute come quella della pecora smarrita e quella delle dieci dramme. Il problema di fondo, si situa al livello di una discussione cominciata dagli scribi e dai farisei sui sospetti che ricadrebbero su Gesù per la sua frequentazione assidua, di pubblicani e peccatori. Gesù risponde al mormorio delle autorità cultuali, con due parabole, la cui sostanza sta nel pensare il peccato, non come luogo di male, di negatività (visione farisaica e spesso, troppo spesso, nostra!), bensì come occasione di pentimento, di rinascita, di perdono. Ciò è messo in risalto attraverso le due parabole, in cui vi è qualcuno che si pre-occupa di chi si è perduto e chi si perde e si lascia ritrovare, è la possibilità di tramutare, attraverso un'operazione etica che ribalta le concezioni solite di bene, ciò che appare estraneo, negativo, altro, in familiare, amico, positivo, [pur senza violarne il segreto più profondo].

Il Maestro domanda: "Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?". In realtà la domanda ci appare retorica, poiché nessuno a nostro parere lo farebbe. Tuttavia Gesù è preoccupato di far notare come la permanenza del branco in realtà sia effimera e priva di vera fibra umana (le nove dramme rimaste sono l'altro simbolo di una totalità anonima) . Chi si rende giusto in forza di elementi esterni alla carità evangelica, che è fatta di misericordia, perdono, accoglienza, rispetto, e soprattutto capacità di saper leggere nel dolore e nelle ferite dell'altro il luogo privilegiato per il quale il mio soccorso diviene una mano co-operativa alla mano paterna di Dio per l'edificazione del Regno, in realtà si sta solo mascherando di un diritto che gli apparterrebbe solo per misericordia divina.

L'opera del pastore che cerca la pecora perduta è simile a ciò che Dio opera per noi e che noi stessi siamo tenuti ad elargire nei confronti degli altri che si trovano nella medesima situazione di esseri altrimenti gettati al proprio destino.


La seconda parte, quella che andrebbe omessa se si leggesse il vangelo nella sua forma abbreviata, presenta uno dei racconti forse più noti della tradizione cristiana che non fa alto che rimarcare il senso della parte precedente. Essendo abbastanza noto, cercheremo di offrirne una lettura senza riferirci eccessivamente al testo con delle citazioni puntuali.
Il racconto in questione, come ben noto, presenta la storia di un giovane che, raggiunta la maggiore età, decide di domandare al padre l'eredità che gli spetta e parte per un lungo viaggio. Il padre, persona di grande equilibrio e pieno d'amore per il figlio, decide di non opporsi e consegna al figlio ciò che gli spetta. Il ragazzo parte e nel suo lungo viaggio riesce in men che non si dica a sperperare tutto ciò che possiede.

La miseria che è costretto ad affrontare gli permette di ravvedersi. Decide di tornare al padre e di domandare perdono. È disposto persino ad essere rinnegato come figlio ed essere ripreso come servo presso l'azienda del padre. Tuttavia lungo la strada del rientro, quando ancora non aveva raggiunto casa sua, il padre lo vede e vedendolo, col cuore pieno di gioia, gli corre incontro gettandoglisi al collo e dimostrandogli tutto il suo amore paterno. Il figlio è sconcertato e domanda perdono per tutto ciò che ha fatto, ma il padre non ha tempo per ascoltare richieste di perdono: il rientro a casa è la prova di pentimento più grande. A questo punto tutto ciò che si può fare è festeggiare il rientro del figlio perduto e ritrovato.

Il ragazzo aveva un fratello che per tutta la vita si era dedicato con grande devozione all'attività di famiglia. La sera rientrando a casa dal lavoro, sente giungere dalla casa uno strano suono di festa. Avvicinato un servo gli domanda cosa mai stesse accadendo. Il servo gli spiega la situazione. La rabbia è tanta che il giovane decide di non entrare nemmeno per salutare il fratello ritrovato.
A quel punto il padre decide di uscire per tentare di convincerlo. Gli argomenti del fratello grande sono legittimi e comprensibili. In tanti anni di lavoro assiduo egli non ha mai speso per lui tutto ciò che sta spendendo in una sera per l'altro, che per giunta non è mai stato in grado di rendersi efficiente nell'azienda. Tutto ciò appare assurdo agli occhi del fratello maggiore che in questo momento è troppo indignato persino per rendersi conto che il fratello, che poteva benissimo essere morto, è tornato a casa sano e salvo. Ma il padre non è disposto a scendere a compromessi col figlio più grande. Lui ha sempre avuto l'amore del padre e mai è stato privato di qualcosa, ma ora ciò che conta è far festa per un fratello che non era più ed oggi è.

Il senso della narrazione che occupa la seconda parte del brano, così come la prima, in cui erano presenti le parabole della pecora smarrita e della dramma, si ripropone nell'ambito di quella logica del paradosso etico di cui parlavamo in precedenza. Il figlio maggiore in fondo non assume per nulla un atteggiamento contraddittorio. Quante volte il nostro senso comune si contorce di fronte a casi per il quale il furbo alla fine ha la meglio!? E chi, in questo episodio appare più furbo del figlio minore!? È facile sperperare tutto e poi presentarsi nuovamente a casa col conto della stoltezza, ci verrebbe da dire. Difficile appare invece saper capire un tale lassismo dopo aver lavorato sodo per un'intera vita. Come, possiamo far quadrare le cose di fronte all'ennesimo paradosso evangelico.

Riusciremo ad entrare in questa logica di un'etica che si impone un superamento del senso morale comune, dove ciò che appariva giusto ora necessita d'essere abbandonato, solo laddove il senso comune riesca a tramutarsi in quest'occhio di riguardo per il diverso, per l'invisibile fragilità dell'altro. È la possibilità del riscatto, possibilità infinitamente più grande di ogni colpa, che si fa garanzia di misericordia per colui che mai prima del suo pentimento aveva espresso una volontà positiva. Il padre rappresenta questo luogo di comprensione morale ed affettiva che al fratello maggiore pare come un'ingiustizia. Vi è una Giustizia così pesante in tutto questo che difficilmente, assieme al fratello maggiore, ne comprendiamo il significato in tutta la sua estensione. Siamo convocati a ciò, al Bene in un dispiegamento così grande e contraddittorio. A quest'incontro in cui il pentimento diviene una festa con musica e danze, siamo tenuti a riunirci, col padre e il fratello ritrovato.

Ricapitolando, ci pare che i punti essenziali di questi pensieri forse un po' confusi possano essere i seguenti:

1) Vi è un Bene che oltrepassa, che trascende i luoghi di bene comuni.
2) L'esistenza di ciascun uomo è chiamata ad un'apertura in cui la ferita soggettiva diventi spazio d'apertura per la Cura di Dio verso l'uomo, e il male dell'altro uomo si tramuti in termine di soccorso da parte di ogni prediletto che abbia scorto in quel Bene di cui al primo punto, il fondamento del proprio agire quotidiano.


Ci sono tante cose del discorso che abbiamo fatto, che andrebbero approfondite e rivedute. Ma il problema è complesso e non è discutibile in modo totale in questa sede. Spero che questa parola rimanga comunque un piccolo aiuto per entrare sempre meglio dentro l'intelligenza della fede, senza la quale la Parola rimarrebbe un verso oscuro.

Antonio Siena


Post Scriptum

Questo breve commento viene preparato, e non potremmo tacere su tutto ciò che ci accade attorno, in contemporanea all'accadersi di una grave ed immensa tragedia. Gli Stati Uniti, atterriti, assistono assieme al resto dell'umanità, al più grave attacco che per l'Uomo e contro l'Uomo sia mai stato concepito, dai tempi delle atrocità della II guerra. Ordine e Democrazia, Bene e Misericordia si riconoscono sconfitte, schiacciate dal braccio e dalla mente di chi ha stabilito che il Tempo non abbia da essere (e ci si perdoni se i sospetti ricadono pur senza prove su una tradizione che pare non voler accettare l'alternativa della pace, contro la pur grave malattia del capitalismo).
Ci pare quasi contraddittorio riproporre le parabole della misericordia in occasione di un lutto così grave.
Dio ci aiuti a capire!

Antonio Siena

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A cura di
Antonio Siena

 
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