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XXII Domenica Tempo Ordinario 2 settembre 2001

Analisi e commento del brano di Lc 14, 1. 7-14

La curvatura etica che abbiamo tentato di dare alle letture precedenti, ci ha spesso costretto a compiere un'operazione ermeneutica non proprio regolare. Quelle che definiamo pre-comprensioni, cioè quella idea generale del mondo che ci portiamo dietro e che filtra tutta la nostra comprensione attuale delle cose, a volte agiscono con tanta insistenza, nel lavoro di interpretazione, che appare quasi un peccato lasciarle tacere per darsi ad una lettura oggettiva del testo. In effetti a volte si rischia di oltrepassare il confine, tuttavia non crediamo sia lavoro inutile, quello di far dire la sua, anche a quel testo fondamentale che è la nostra cara e faticosa vita.

Il brano che ci viene offerto dalla liturgia questa domenica, si inserisce all'interno della riflessione evangelica su una tematica che potremmo definire come umiltà. Vi è un altro concetto che ci siamo permessi di utilizzare ultimamente ispirandoci alle riflessioni di P. A. Rovatti: il pudore. Vi è come un monito continuo nelle letture in cui ci imbattiamo ultimamente, riguardante proprio la capacità di saper assumere un atteggiamento decoroso, umile, silenzioso nei confronti della vita e degli altri.

Ma vediamo di lasciarci condurre dal testo.

Il brano in questione comincia con un'indicazione circa il tempo in cui avvengono i fatti narrati: "Avvenne un sabato che Gesù era entrato in una casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo". Ciò che appare importante sottolineare in questo primo punto, riguarda tre elementi: il sabato (il giorno del Signore); la casa di uno dei capi dei farisei; la gente che osserva quasi da spettatrice. L'ambientazione farebbe pensare ad un'occasione tutt'altro che banale. Gesù siede a tavola con la casta dei "giusti", mentre una folla anonima, che per la sua posizione pare quasi contrapporsi alla condizione di cui godono i farisei, osserva dal di fuori la scena.

Immediatamente dopo il testo mette in risalto un singolare atteggiamento "Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti, disse loro una parabola…". Quale sarà il contenuto della parabola? Vi è certamente una situazione ambigua che porta Gesù a voler insinuare un parere particolare sulla situazione che pian piano si sta creando. I "giusti", coloro che partecipano del banchetto, tentano in ogni modo di aggiudicarsi i primi posti. Il testo fa quasi pensare, pur non parlandone, ad una semi-calca in cui gli invitati si prendano addirittura a spinte… Gesù e la folla (gli esclusi) osservano.

La parabola che segue ci aiuta a chiarire da quale parte il brano vuole condurre il proprio lettore: "Quando sei invitato a nozze da qualcuno non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro più importante di te e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: cedigli il posto!
Allora dovrai con vergogna occupare l'ultimo posto.
Invece quando sei invitato, va' a metterti all'ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali".

Ci sarebbero in realtà diversi strati di significato. Che vanno dalla parola originaria del Maestro sino alle esigenze di vita comunitaria e liturgica della prima comunità, per non parlare dell'attualità del brano nell'ambito dell'odierna liturgia, per la quale tra l'altro è stato omesso il racconto di guarigione.
Cercheremo di soffermarci alla materialità del testo così come ci si offre, pur senza disdegnare aiuti dall'esterno.


La scena successivamente si sposta direttamente sul dialogo tra Gesù e il padrone di casa: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio". Che male può esserci nell'avere come ospiti degli amici? O ancora fratelli e parenti? E perché non dei vicini di casa, per giunta ricchi? In fonfo si tratta di un semplice pasto vissuto in buona compagnia. Quante volte nelle nostre case capita tutto ciò e nessuno lo fa ponendosene il problema. Qual è il nodo che Gesù individua e che in questo momento sta tentando di sciogliere? Quale la condizione di negatività che individua?

Vediamo come il racconto prosegue: "Al contrario, quando dai un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". Insolita posizione! Dove si è mai visto organizzare un banchetto per miseri e storpi? L'etica del brano appare impraticabile!

La parabola parlava dell'occupare l'ultimo posto al banchetto; l'ammonizione del Maestro all'ospite parla di un lasciar perdere amici, parenti e vicini, per invitare storpi, malati, ciechi ecc. La parola è già di per sé limpida nel suo senso. Tuttavia pensiamo che si nascondano diverse significazioni tra le quali non disdegneremmo quella esistenziale o se si preferisce etica.

La tensione che la Parola crea, pare imporsi al livello del proprio modo di abitare la vita. Di fronte a Gesù, che nel brano fa come da spartiacque tra l'esserci secondo i ritmi della buona notizia e l'adoperarsi per occupare il proprio spazio al di fuori di quest'orizzonte, troviamo due schiere di persone: quelli che stanno dentro (i farisei giusti) e quelli che osservano da fuori (folla anonima).
Il messaggio è certamente riferito a quelli di dentro poiché quelli di fuori rappresentano, perlomeno in questa posizione, i destinatari della bontà che la parabola e l'ammonizione domandano. A coloro che stanno dentro è dato il compito di cogliere, in antitesi all'atteggiamento assunto all'inizio da alcuni, la relazione circolare che intercorre tra la parabola e l'ammonizione.

La parabola infatti farebbe pensare che i primi posti debbano essere occupati comunque da individui con determinate cariche sociali-politiche-religiose (ad esempio, laddove lo scriba occupi il primo posto, dovrà immediatamente lasciare lo spazio al capo dei sacerdoti). In realtà l'ammonizione rivela i veri destinatari dell'azione a cui la parabola vuole condurre. I destinatari di diritto, almeno secondo la logica del vangelo, possono essere solo coloro che vivono costantemente in una condizione di bisogno. Non coloro che hanno fatto del potere il loro habitat, bensì coloro che pensano il bisogno nella doppia intenzionalità di fragilità da curare e di luogo da abitare. Il fatto che tutto ciò accada in un giorno di sabato e nella casa di un fariseo, la dice lunga su quale responsabilità possano avere gli uomini di culto (nel nostro caso tutto il popolo di Dio è soggetto cultuale, non solo preti, vescovi e suore!!) dentro l'economia agapica del vangelo.

Attenzione! Importante sottolineare questo: per ciò che riguarda la seconda accezione, non è il bisogno in se stesso che diviene la condizione per essere "primi nel Regno" da "ultimi nel mondo", bensì il bisogno vissuto come condizione d'attesa. Il povero, il cieco, lo storpio ecc. sono chiamati anch'essi a vivere la propria miseria come luogo escatologico, diversamente vivranno nella medesima intenzionalità di potere del ricco, del potente del "primo nel mondo".

Il testo di questa settimana probabilmente soffre di un problema a cui non abbiamo saputo dar rimedio: la fiacca estiva da cui cerchiamo di riprenderci. Triste constatazione a cui però non possiamo sfuggire.
Tenteremo, poiché l'urgenza del compito che ci siamo assunti ce lo impone, di riprendere al più presto a pieno ritmo le nostre letture.
Speriamo come sempre di non fare un lavoro totalmente inutile. Anche laddove vi fosse solo una persona che legge le nostre umili proposte, pensiamo possa realizzarsi ciò che il Maestro ci insegna: "laddove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".

Alla prossima,

Antonio Siena

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A cura di
Antonio Siena

 
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