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XV Domenica Tempo Ordinario 15 luglio 2001

Analisi e commento di Lc 10, 25-37

Il tema dell’amore per il prossimo, da sempre predicato, trova in questo racconto la sua formulazione simbolica migliore e più adeguata per spiegare, cosa sia l’amore e in cosa consista la sua connotazione profondamente etica nella predicazione di Gesù. È un brano distante dalla nostra sensibilità europea, forse, paradossalmente, persino cristiana. Ovviamente qui non si intende affermare la distanza assoluta del cristiano dalle sue radici evangeliche, bensì quello che è stato definito come un certo imbastardimento della cultura etica del vangelo con il senso greco-romano per la vita. Siamo come diventati incapaci di interpretare l’amore al di sopra dell’eros. Siamo diventati incapaci di cogliere la dimensione agapica dell’amore evangelico, che non cerca sé ma l’altro.

Il testo in questione comincia con l’indicazione di un dottore che cerca di mettere alla prova Gesù: “Maestro, che devo fare per ereditare al vita eterna?”.
Due, sembrano i problemi fondamentali del dottore che pone la domanda:
1) Chiede di poter ereditare la vita, quasi come fosse un diritto naturale. In realtà la vita che il dottore chiede presuppone l’amore per Dio e per i fratelli;
2) La domanda appare posta, per mettere in difficoltà Gesù. Questi per non essere tratto in inganno e apparire il più fedele possibile (poiché lo era profondamente), risponde affidandosi alle scritture “Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?”. La risposta del dottore è esatta, ma ciò che lui dirà dopo dimostrerà la mancata comprensione delle profondità etiche che la legge prescrive “Costui rispose: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forzae con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”.
Il tutto di cui parla il comando è il presupposto indispensabile per poter vivere nell’orizzonte di vita dell’Eterno.

Tuttavia una relazione di autenticità con Dio prevede un riscontro decisivo attraverso una relazione d’amore con il fratello. Al dottore non crea problemi il rapporto con Dio, di cui difficilmente ci si può far giudici, bensì il rapporto con il prossimo che è il vero banco di prova della vita di fede. Dopo aver avuto il consenso di Gesù a proposito del comando dell’amore, non contento di non essere riuscito a mettere in difficoltà il Maestro, fa la domanda cruciale

E chi è il mio prossimo?

Qui sta il problema a cui il racconto che segue tenta di dare risposta. Se la relazione d’amore con gli altri è il codice rivelativo dell’autentico relazionarsi al Dio dell’amore, e l’altro in questa prospettiva può essere definito il prossimo a cui devo amore, come farò a riconoscere chi sarà il prossimo a ricevere un gesto d’affetto, la cura delle proprie ferite, il conforto per il dolore vissuto? Chi, sarà prossimo ad essere amato con tutto…tutto…tutto? In cosa consiste la PROSSIMITA’?

Gesù deve gurarire l’incancrenimento del cuore del dottore, in cui il precetto dello Shemà… (Ascolta Israele, amerai con tutto…) è scaduto totalmente in una parola priva d’effetto etico. Egli, non riconosce il senso della prossimità etica, in cui risiede il cuore della Legge.

Tentiamo di proseguire la nostra lettura

Vi è un uomo, che da Gerusalemme si dirige a Gerico e nel suo percorso incappa nei briganti che lo percuotono, lo derubanoe lo lasciano mezzo morto. Passano di lì un sacerdote e un levita, entrambi uomini di culto (il culto giudaico, spesso è preso di mira dai vangeli). Solo un samaritano “che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione”. L’uomo “gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino, poi caricatolosopra in suo giumento, lo portò a una località e si prese cura di lui”. Il giorno seguente “estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno”.

Cosa accade in questo brano? Qual’è l’orizzonte che si profila dal racconto udito dal dottore della legge? Forse una novità? Probabilmente l’inveramento di qualcosa che già risiedeva nella coscienza etica giudaica del dottore e che lui non riusciva più a riconoscere.

Per far risplendere nuovamente ciò che la bibbia intende per prossimità (cfr. Dt 6, 4-5 e Lv 19,18) Gesù è costretto in questo racconto a compiere un’inversione, rispetto alla domanda originaria del dottore. Egli domandava l’identità del prossimo. Gesù svela l’identità di un’altra cosa: l’identità dell’altro di cui mi faccio prossimo. Ciò che è in gioco è un’intenzione che il vangelo definisce come compassione, con-passione, con-patire, patire-con lui del suo dolore e rigioire con lui per la gioia ritrovata. Il gioco della prossimità per Gesù si compie a questo livello in cui amare significa rendersi vicino a colui che ha bisogno, significa far circolare il bene di Dio tra fratelli nel segno dell’amore totale che Dio, offrendo all’uomo tutto se stesso, domanda in cambio, non per se stesso, ma per il terzo che sopraggiunge.

La domanda finale rompe la tensione che si era creata sin’ora: “Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti? Quegli rispose: Chi ha avuto compassione di lui. Gesù gli disse: Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.

Tale risposta credo esprima da sé senza ulteriori commenti ciò che la Buona Notizia ci domanda.

Ricapitolando:

1. Ciò che è fondamentale è il comando dell’amore nella linea agapica dell’aver compassione del bisognoso.

2. Il gioco della prossimità si basa su tale compassione, che non è un volgare aver pietà del misero, bensì un autentico con-patire o con-soffrire le sue pene come se fossero le mie.

Troppo? La prima lettura (Dt 30, 10-14) ci da la risposta: “Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te… Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perchè tu la metta in pratica

Alla prossima!

Antonio Siena

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A cura di
Antonio Siena

 
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