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XVI Domenica Tempo Ordinario 22 luglio 2001

Analisi e riflessione del brano di Lc, 10, 38-42

Il testo della settimana scorsa, il racconto del samaritano, lasciava trasparire un disegno, una riprogettazione dell'esistenza, secondo la radicalizzazione del comando dell'amore nella doppia e simultanea direzione dell'amore per Dio e per l'uomo. Intenzioni, queste inscindibili ed impensabili come indipendenti l'una dall'altra. Chi ama Dio, che sarebbe meglio tradurre, chi si dispone ad essere amato da Dio (questo è il miglior modo per amarlo!), non può non riferire la stessa intenzione al fratello, qualsiasi fratello. Chi ama i propri fratelli non può che farlo nella luce dell'amore di Dio, che non domanda ma fa, che accoglie anche laddove si preannunciasse il più disumano dei rifiuti a voler accettare tale gesto di grazia.

L'episodio di questa settimana tende a completare l'insegnamento cominciato precedentemente. Tende in particolare a correggerne il tiro, nella misura in cui questo rischi di trasformarsi in un fare etico privo di quel pudore che deve caratterizzare il rapporto e con Dio e con l'altro uomo.

Presentiamo a grandi linee la trama di questo breve racconto:

L'esordio della narrazione comincia con la solita indicazione "in quel tempo" (diremmo che è come se si nascondesse un senso come "nel tempo che è qualsiasi tempo"). La scena presenta Gesù che entra in un villaggio e viene accolto da una donna di nome Marta che lo ospita in casa sua. La donna ha una sorella di nome Maria la quale non appena Gesù si trova in casa, si accomoda ai suoi piedi per ascoltare la sua parola. Nel frattempo Marta decide di darsi da fare "presa dai molti servizi".

L'episodio appare sin qui molto banale. Nulla di particolarmente significativo sembra emergere da questa scenetta di famiglia, in cui vi è chi intrattiene l'ospite ascoltandolo e chi si occupa delle quotidiane faccende di casa.

Il seguito dovrebbe chiarire quale catechesi il vangelo prepara al suo lettore, perlomeno in una delle sue possibili letture.

"Pertanto, fattasi avanti, disse: Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". La risposta di Gesù è in qualche modo spiazzante rispetto alle aspettative (ma questo d'altronde fa parte del gioco narrativo!): "Marta, Marta tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".

Per quale motivo Gesù non viene incontro alle richieste di Marta? Quale intenzione si nasconde dietro l'atteggiamento di Gesù? In che senso Marta non interpreta, se effettivamente non lo fa, l'ospitalità nei confronti del maestro? E cosa si nasconde dietro una corretta interpretazione dell'ospitalità in questo racconto?

Proveremo, con un'operazione di confronto intertestuale, a lasciarci illuminare dalla prima lettura tratta da Genesi 18, 1-10.

L'episodio narra di tre uomini che passano per la tenda di Abramo e in cui lo stesso Abramo riconosce la presenza del Signore. Invitatili, offre loro la migliore delle accoglienze, con un buon pasto e riposo nella sua tenda. All'atteggiamento di Abramo, i tre (a tratti vengono citati come tre, mentre in altri punti si dice solo "Il Signore") promettono, per l'anno che verrà, una discendenza ad Abramo.

In cosa consiste l'accostamento tra l'uno e l'altro testo?

Proporrei una lettura di questo tipo.

Abramo e Maria, pur nella diversità degli atteggiamenti accolgono la presenza del Signore, con una cura e attenzione differenti rispetto all'atteggiamento disinvolto di Marta.
I due sono talmente coinvolti da questa visita inaspettata, che dimenticano il quotidiano per gettarsi nell'ascolto e nella cura dell'ospite d'eccezione.
Marta ospita, ma vive quest'occasione come una tra le tante, non cogliendo l'opportunità estrema del fatto che ha di fronte.
C'è come un atteggiamento, che caratterizza i primi rispetto alla seconda, e che è insieme di cura, di prossimità e di distanza. Cura e prossimità, quindi amore in linea col comando etico, testimoniato dal loro entusiasmo per la presenza dell'ospite. Distanza, perché l'attenzione che offrono non sconfina nel confidenziale, nell'invadente. Il loro non è un complice ammiccare, bensì riverenza.

Marta d'altra parte si pone in una posizione simile e insieme diversa. Col suo atteggiamento di non curanza, si pone all'opposto del primo indicato per gli altri due. Non curanza, quindi, come l'opposto di cura e prossimità. Col suo atteggiamento di preoccupazione per le faccende di casa, invece presuppone una confidenza che sta agli antipodi della discrezione che si potrebbe offrire ad un ospite la cui visita potrebbe essere la prima e l'ultima (il suo pare essere un "fa come se fossi a casa tua, nel frattempo mi occupo delle mie cose")

Ciò che è fondamentale e che Gesù tenta di portare a galla, non sta nel fatto che un Dio sia presente in mezzo a loro. Non perché ciò non stia a fondamento dell'atmosfera che pervade la narrazione, bensì perché l'attenzione pare essere richiamata prima ancora che su Dio come personaggio (il Gesù messo in scena), su Dio come regista della scena (il regista di solito sta fuori da ciò che accade nella scena).

Gesù è la chiave attraverso la quale emergono gli atteggiamenti e intenzioni sballate di Marta. Non è perché Marta non si cura del Signore, che il suo atteggiamento non coglie l'essenziale, bensì perché nella presenza del Signore, non riconosce colui che in quel momento è nel bisogno. Si potrebbe pensare allora che il Signore ha bisogno di noi! Niente di tutto ciò. Se infatti la figura di Gesù in questo brano richiama dei bisogni di ospitalità e benevolenza, ciò accade per mettere in risalto le risorse di bene che siamo chiamati a realizzare per il fratello che domanda aiuto ed eventualmente per correggerne il tiro laddove tali risorse fallissero.

Chi avesse tale coraggio, nell'aiuto che il Signore può offrire lui, tale sarà la parte migliore che non gli sarà tolta!!


La lettura che proponiamo a volte può apparire ermetica e faticosa da comprendere. Tuttavia crediamo sia giusto a volte non tradire la metafora di cui vangelo e bibbia sono colmi. Dietro una parola che dice una cosa in più modi pensiamo si nascondi un'incredibile forza operativa. Questa settimana abbiamo forse osato troppo. Tuttavia ci siamo spinti oltre rimanendo comunque ancorati alla lettera del quotidiano. Abbiamo parlato di pudore, di gentilezza, di cura, di prossimità e d'amore. In fondo non abbiamo detto altro che qualcosa che ci appartiene da millenni. Dovremmo solo riabituarci a considerare il Signore, non come l'ultimo dei grandi maghi della storia, bensì come il viandante per il quale dobbiamo tenere in caldo un buon pasto e lasciare in ordine la stanza per gli ospiti.

Come al solito, attendiamo conferme dagli eventuali lettori. Se ci fosse ancora qualcuno che di tanto in tanto sbircia tra le righe di questa rubrica, non ci faccia attendere ed eserciti la sua cura nei nostri confronti.


Antonio Siena

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A cura di
Antonio Siena

 
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