Parrocchia NATIVITA' DI MARIA SANTISSIMA di Redù

(Unità pastorale di Bagazzano - Nonantola - Redù - Rubbiara)

(Diocesi di Modena - Nonantola)


Pagine tratte da: "REDU' DI NONANTOLA"  scritte a Paride Candeli - edizioni TEIC - Modena 1979


INTRODUZIONE

I libri, generalmente, incominciano con una presentazione autorevole, in questo caso, l'autore di questo sito non è n'è autorevole n'è uno stimato scrittore, ma il mio intento è solo quello di portare a conoscenza ai visitatori di questo sito la storia del paese di Redù.

Si tratta della trascrizione di alcuni capitoli della pubblicazione fatta da don Paride Candeli Canonico, che fu parroco proprio di Redù dal 1976 al 1986. Che, nel riordinare le sue ricerche d'archivio, come scrisse, di non volere la pretesa di fare un'opera d'arte storico-letteraria, ma di scrivere una cosa semplice e comprensibile, riordinando tutte le memorie storiche d'archivio della chiesa e del paese, ad edificazione del popolo e a bene della storia. 

Con queste sue memorie parrocchiali si rivolge principalmente agli abitanti di Redù e agli ex residenti, che si interessano alla vita della parrocchia e non mancano di frequentare il paese nelle solennità, ai nonantolani che hanno sempre guardato con simpatia a Redù, a quelli che si sono uniti in matrimonio nella nostra chiesa e tutti coloro che hanno battezzato i loro figli alla Fonte battesimale.  

Ritengo in oltre di fare cosa gradita ai più, nel portare a conoscenza questo lavoro in ricordo dell'operato di Don Paride sia nelle opere edili di manutenzione ordinarie che straordinarie alla chiesa e canonica sia lo scrupoloso lavoro di ricerca nel riunire tutte le notizie spicciole che da sole non danno il senso della storia della nostra terra, ma questo lavoro di "cucitura"  emerge una favolosa "Storia di Redù" una storia che porta il "profumo del luogo natio" che dalla lettura delle gesta dei nostri antenati ci impegna a mantenere le tradizioni del passato. 


REDU' NELLA PREISTORIA

Sono pochi i paesi che affondo no le loro origini nella preistoria. Redù ha questa prerogativa. Un insediamento umano, non si sa di che origine, si stabilì nel territorio di Redù attorno al 2000  a. C., nell'età del bronzo.

In via Mislè, a sinistra, a metà tra via Maestra di Redù e via Larga, avvenne questo insediamento in una zona paludosa.

Vennero costruite da questi abitanti capanne poggianti su grossi pali infitti nel terreno (palafitte). Dette costruzioni furono erette a forma di quadrilatero, a distanza dagli animali feroci e dalle popolazioni ostili,

Con il tempo attorno a queste costruzioni si formarono cumuli di terre, chiamati "terre-mare", formate da rifiuti umani e resti di animali che venivano gettati fuori dalle abitazioni. Nel passato e anche nel presente, essendosi sviluppata la tecnica della concimazione agricola, si pensò di utilizzare questi cumuli come terra grassa o come concime organico da spargere sui prati. Tra questa terra venne trovata una quantità innumerevole di frammenti di stoviglie lavorate a mano, cotte a fuoco libero e senza vernice. E' da ricordare a proposito un frammento di colatoio, con fori rotondi che coprono non solo il fondo, ma anche la parte della parte: una specie dei nostri colabrodi. Inoltre ossa di bue, di pecora, di maiale in grande quantità, palchi di corna cervo e di capriolo, diversi frammenti di macine a mano, macinelli con tracce di sfregamento; diverse lame di pugnale con trecce di borchie che le fermavano al manico, ed anche una piccola freccia a due alette, un disco di ambra rosso-scuro, a superficie convessa, con ala centro un forellino passante, una laminetta rettangolare d'oro, oggetto raro, essendo per ora l'unico trovato nelle terre-mari modenesi. Di tutte le terre-mare modenesi quella di Redù è la più abbondante e la più ricca di reperti. Nel 1892 l'avvocato Arsenio Crespellani (1), Regio Ispettore degli scavi e musei, si si recò sul posto per conoscere l'estensione e lo spessore del cumulo marnoso. Il cumulo misurava circa mt. 300 di lunghezza per mt. 270 di larghezza, con uno spessore dai 2 ai 3 mt. I reperti più importanti sono ora esposti nel Museo di Modena. Un particolare: anche i ragazzi della scuola di Redù, situata in via Mislè a poca distanza dalle terre-mare, vollero compiere le loro ricerche; ora questo materiale, il più vario fu esposto in una vetrinetta dell'allora Scuola elementare.

(1) Cav. Arsenio Crespellani, Scavi del Modenese (1892-1893),p.258. Atti e Memorie della R. Deputazione di Storia Patria per le Province Modenesi. Ed. Vincenzi & Nipoti, Modena.


 

REDU' E I BENEDETTINI

Nel 752 Sant'Anselmo, di nazionalità longobarda e già Duca del Friuli, fondava il monastero benedettino de "Santi Pietro e Paolo"  in Nonantola, in seguito denominato "Badia di San Silvestro Papa". I longobardi originari della Scandinavia, dopo lungo peregrinare per l'Europa, alla fine del 500 calarono dalla Pannonia, l'attuale Ungheria, in Italia, ove si stanziarono.

Convertitisi al cattolicesimo per l'opera missionaria di San Gregorio Magno, che poi essi venereranno sempre quale padre spirituale della Nazione, ammisero la loro naturale ferocia, e, pur continuando a governarsi con proprie leggi e costumi, rispettarono sempre le leggi e i costumi delle genti del luogo gallo-romane), con le quali finirono di fondersi.

Noi, lontani posteri, non possiamo fare a meno di affermare, per amore di verità, che la dominazione longobarda fece più bene che male alla nazione itaca. Il romano ebbe nel massimo disprezzo il lavoro manuale giudicando opera da schiavi. Sant'Anselmo, fondatore della Badia di Nonantola, sebbene della più alta nobiltà longobarda, fu fedele all'ideale benedettino della preghiera associata al lavoro: "ora et labora". Come di lui scriverà un suo biografo (1), diede per primo l'esempio lavorando con le proprie mani alla costruzione dell'abbazia e al dissodamento delle terre. L'ordine benedettino, col nobilitare il lavoro, promosse la più grande rivoluzione sociale della storia. Non erano passati cento anni dalla fondazione della Badia di Nonantola, ei monaci erano già più di mille. Questo esercito di monaci lavoratori, in prevalenza longobardi, operò ovunque, dissodamenti nel terreno nonantolano e limitrofo, divulgando i primi elementi della tecnica agricola ed elevando le misere condizioni delle classi più bisognose. A questo proposito, l'indimenticabile Mons. Setti già Direttore dell'Ufficio Beni Ecclesiastici di Modena in una sua pubblicazione scrisse (2). La saggia organizzazione bonificatoria dei benedettini servirà d'esempio ai posteri.

Operata la prima bonifica: come l'inalveamento delle acque e le comunicazioni stradali, ogni grande Badia, come risulta storicamente, e per Nonantola come rilevansi estratti di concessioni a noi pervenuti suddivideva il suo possesso in "corti" sul cui sistema organizzativo poggiava essenzialmente la sua economia agricola. Le corti venivano a loro volta suddivise in "terre dominicae", e in "terre tributariae"; le prime, poste nel centro amministrativo, il monastero le riservava a sè, per la bonifica integrale, conducendole direttamente; mentre le seconde venivano concesse ad enfiteuti per l'ulteriore bonificazione. Nel 1058 l'Abate Gottescalco concedeva al popolo nonantolano in perpetuo i beni dell'attuale Partecipanza, obbligandosi contrattualmente a non concederli ad altri a qualsiasi titolo.

Da parte loro gli abitanti di Nonantola si obbligavano a costruire, a proprie spese e nel termine dei sei anni, mura e fossato, per tre quarti attorno al paese; per il resto delle mura e del fossato e la costruzione di due torri avrebbe provveduto il monastero. Il popolo nonantolano, da parte sua, si impegnava pur in caso di pericolo alla difesa del borgo fortificato. Alle vicende di Nonantola è pure legata Redù. Nel territorio di Redù i monaci benedettini operarono le stesse bonifiche fatte altrove, e vi organizzarono una corte, cioè un vero insediamento agricolo. In un documento dell' 824 Redù viene anche chiamata "curticella", piccola corte o vezzeggiativo di corte.Sicuramente i Benedettini avranno innalzato in Redù la prima cappella, e data agli abitanti una particolare assistenza religiosa. Su ciò troviamo vari accenni ma un pò vaghi. Soltanto dopo il 1000 viene ben delineata l'esistenza della chiesa di Redù; anzi se ne fa risalire il titolo di Santa Maria. In un documento del 1168 viene chiamata "Ecclesiam Sancte Mariae di Redù" e in un altro del 1188 "Ecclesiam Sancte Mariae de Reduto". In un testamento del 31 dicembre1213 Pietro da Gaggio lasciava diversi legati a varie chiese del nonantolano, fra queste a "Ecclesiam S. Mariae de RedutoXII solidi Imperiales".Nel 1340 l'abateGuglielmo compie una visita pastorale alle chiese dipendenti dal monastero benedettino. Il cronista le nomina singolarmente: tra esse "Ecclesiam Sancte Mariae de Reduto". Nella medesima carta si apprende che presbitero di Redù era D. Symon de Ghinamis Clericus".

(1) Pier Giorgio Casoli, "La vita di Sant' Anselmo Longobardo" Tip. Immacolata Concezione, 1903.

(2) Sac. G. Setti, "Note storiche e giuridiche ad un contratto fondiario Medioevale dell' Abbazia di Nonantola" p. 5 Editrice TEIC, Modena.


 

REDU' NELL'EPOCA ROMANA

E' proprio in questo periodo che il nostro paese prende il nome di Redù.

Ma rifacciamoci agli inizi. Nel 182 a.C., dopo la sconfitta, o meglio dopo la dispersione dei Galli Boi, che si erano insediati assieme agli Etruschi tra Modena e Bologna, la Repubblica Romana confiscò una parte di queste terre liberate e, dopo averne fatti appezzamenti quadrati, detti centurie, li consegnò a coloni romani, tutti ex combattenti. Novanta fu il numero delle centurie che diedero origine all'agro romano. Da notare che ogni centuria era formata da 200 iugeri, e l'iugero era equivalente al terreno che un paio di buoi poteva arare dal sorgere del sole al tramonto, cioè circa una biolca. Per questo le unità poderali avevano una certa consistenza. Il nuovo insediamento, posto tra l'odierno fiume Panaro e il torrente Muzza, ebbe il nome di Nonantola, dal numero delle novanta centurie.

A difesa di questa colonia i Romani vi costruirono un accampamento militare, in latino "reductum"; da qui il nome Redù.I coloni romani in questa zona hanno lasciato più che altrove tracce della loro presenza. Il dott. Giuseppe Moreali, grande studioso, appassionato di storia nonantolana, in una sua pubblicazione su Nonantola (1),  afferma che lungo la via Mislè sono state trovate vestigia di sepolcri romani che secondo l'uso, venivano collocati appunto lungo le vie principali. Nel sottosuolo, alla profondità tra i due e tre metri, non è stato raro imbattersi in residui di costruzioni regolari, in pozzi a grandi mattoni ricurvi. Sono inoltre state trovate in diverse località monete consolari e imperiali, tombe, vasi, cippi militari, frammenti di mosaici e moltissimi mattoni manubriati; vedi il lapidario del Seminario.

Con il decadere dell'Impero Romano e a causa delle invasioni barbariche i coloni si dispersero, rifugiandosi in maggioranza nelle più sicure città. Anche il presidio militare fu soppraffato. Rimase però il nome Redù.

(1) Dott. Giuseppe Moreali, Nonantola - Cenni storici e guida storico-artistica, p.13, Arti Grafiche F. Cappelli, Rocca S. Casciano, 1956.


LA PARTECIPANZA

Anche Redù è interessata alla Partecipanza agraria di Nonantola.Prima di tutto, perchè la parrocchia comprende, nei suoi confini, terre della Partecipanza; poi perché non pochi abitanti di Redù appartengono alle famiglie dei partecipanti.Nel 1058 vi fu la concessione da parte dell'abate Gottescalco, delle valli, dei prati e dei boschi al popolo di Nonantola. I terreni erano ancora incolti; l'opera di bonifica fu condotta con tecnica, ma purtroppo fu lunga e molto faticosa. Le acque del Panaro furono definitivamente sistemate nell'attuale alveo, solo nel 1347. Nel 1426 abbiamo la riconferma della concessione da parte dell'abate Gian Galeazzo Pepoli, con rogito del notaio Andrea della Cappellina.Non sempre si andò di comune accordo, tanto che nel 1481 dovete intervenire il Duca di Ferrara Ercole I, sotto la cui giurisdizione era allora Nonantola. Era successo questo: una parte di partecipanti si era arricchita e aveva acquistato terre; questi volevano che i beni della partecipanza venissero divisi in proporzione all'estimo o tassa che essi pagavano per la proprietà della terra. A questo si opponevano i poveri che volevano la divisione per "bocca". Il Duca, con sentenza del 10 aprile 1481, stabilì la divisione in beni in due parti: una assegnata ai possessori di beni rustici che pagavano l'estimo, questa categoria prese in seguito il nome di "bocca Morta"; l'altra a coloro che pagavano la tassa sul sale, detta boccatico e questa categoria prese poi il nome di "bocca Viva". Alla prima categoria vennero far parte, per effetto di una sentenza del 24 maggio 1536, anche i forestieri proprietari di terreni nell'ambito del Comune di Nonantola. Nel 1548 si provvide a formare l'elenco definitivo della "bocca viva". Con questo ruolo si salvaguardarono i diritti riservati agli originari del luogo.Nel 1916 cessò la singolare controversia fra le "bocche vive" e le "bocche morte". La liquidazione avvenne con un mutuo di Lire 400.000 contratto con il Credito Fondiario della Cassa di Risparmio di Bologna ed estinto nel 1965. In pratica il diritto sulla partecipanza rimase alle famiglie iscritte nel ruolo del 1584, indipendentemente dalla condizione economica dei sui singoli partecipanti. Nel 1961 avvenne l'affrancazione dell'antico canone enfiteuco tra la Partecipanza e l'Abate Mons. Giuseppe Amici. Nel 1973 il nuovo riparto delle terre e delle assegnazioni da nove venne portato a diciotto anni(1). Per comprendere l'importanza che ha avuto la Partecipanza per gli abitanti del Comune di Nonantola bisogna rivolgersi agli anziani. Si sentirà nelle loro risposte l'amore che portavano a quella quota di terra. Non ricordano le fatiche per il duro lavoro, ma nelle loro parole traspare la soddisfazione di aver tratto da quella "bocca" di terra il sostentamento per le loro famiglie.La Partecipanza assicurava il frumento: per il grano (farina = pane) e la paglia per la lettiera del bestiame; il frumentone: per la granella (farina = polenta), e per l'alimentazione degli animali: maiali e polli;  i cartocci per imbottire i materassi, gli stocchi e i tutoli per il fuoco ecc. ecc.; le patate, i legumi, le diverse verdure; il fieno se non usato per il bestiame da latte venduto quale merce di scambio per altri generi come l'uva per il vino o formaggi. La donna che andava sposa ad un partecipante era considerata privilegiata in quanto sposava uno che godeva della terra ed aveva assicurato il necessario. Il patrimonio terriero della partecipanza è di circa 760,00 ettari. Condizione per essere partecipanti è risiedere nel Comune di Nonantola. La qualità di partecipante compete ora soltanto ai discendenti delle antiche 23 famiglie iscritte all'albo della Partecipanza. Una di queste famiglie, la Tinti, si è estinta; ne rimangono quindi 22.

(1) Sergio Serafini, "Partecipanza agraria di Nonantola, Riparto dei terreni da 9 a 18 anni. Un moderno capitolo della storia della Partecipanza" Tip. Bagnoli, Nonantola, 1973.

 

ELENCO FAMIGLIE PARTECIPANTI

ABBATI - ANSALONI- APPARUTI - BEVINI - BORSARI - BRUNI - CERCHIARI - CORRADI - GRENZI - MAGNONI - MELOTTI - PICCININI - REGGIANI - SERAFINI - SIGHINOLFI - SIMONI - SUCCI - TAVERNARI - TORI - VACCARI - ZOBOLI -

 

SOPRANNOMI DI ALCUNE FAMIGLIE DI PARTECIPANTI

Per distinguere i diversi rami di alcune tra le più numerose famiglie di partecipanti, sono stati nel tempo imposti a questi vari soprannomi: (scucmai).

ANSALONI: (Bemdètt, Bedoò, Sabadòun), BEVINI: (Dviètta, Tuèn), BRUNI: (Stivanèin), GRENZI: (Sai, Pgnatèin), PICCININI: (Verdèin, Mesclèin, Pugnalòt, Pùndegh, Pugnèel, Rundanèin, Tòcio, Baci, Birucìn, Rana, Vigìli) REGGIANI: (Zanarela, Arsàan) SERAFINI: ( Bersèl, Gelfèin, Frabein, Bagèera, Campanèin, Furlana, Baraca) VACCARI: (Vaccarèet, Bèerba, Gulèin, Gnola, Selmètt, Zambiòl, Murèel) ZOBOLI: (Baràca, Cavalèin, Milèina, Burtlòt, Cicòun, Tramescàan, Rascheiiin, Muscòun, Biasòun, Pistàan). Di questi soprannomi sono stati riportati i più diffusi e conosciuti.


 

Approfondimenti e pagine correlate alla storia......

  • I sacerdoti che dal 1570 si sono succeduti alla guida di questa parrocchia.

  • La nostra chiesa, cappelle, altari e decorazioni

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