Chiesa parrocchiale

L'edificio

Si crede che la chiesa parrocchiale (chiesa, evidentemente, "orientata", cioè con l'abside rivolto ad oriente, come tutte le chiese primitive), sia stata fondata prima delle invasioni barbariche (VIII secolo d.C.) dai monaci benedettini della Novalesa. (Pare che l'abitudine di chiamare il parroco "Priore" derivi proprio da questa antica dipendenza monastica).
In un documento del 1287, la Chiesa è descritta in pietra, senza decorazioni, probabilmente con archetti pensili romanici, (almeno nell'abside), lunga circa un terzo di quella attuale, come pare indicare la diversa colorazione dell'intonaco dell'abside, indizio che può rivelare le proporzioni della chiesa antica.
Edificata, originariamente, in stile gotico, venne parzialmente ricostruita nel 1675 e, nuovamente restaurata nel 1830.
Altri restauri vennero eseguiti nel 1937 e nel 1944 dal parroco don Oreste Caramello e nel 1960 (ca) dal parroco don Luigi Viberti.
Due date furono dipinte nella chiesa nel XVIII secolo: 1781 e 1788: l'una sull'altare della "Madonna del Rosario", l'altra sulla porta della canonica, nello stretto passaggio tra la canonica stessa e la chiesa.
Questi pochi dati, unitamente ad un grande capitello (attualmente nel cortile della canonica), è quanto ci rimane dell'edificio originario.

 

San Vincenzo

Nato in Spagna a Huesca da una famiglia consolare, fin da giovane Vincenzo si fece apprezzare per la sua moralità, la profonda istruzione nelle scienze sacre e profane e la convincente dialettica. Ciò gli valse l'ordinazione a diacono da parte di Valerio, vescovo di Saragozza, che lo scelse come proprio collaboratore, incaricandolo di predicare il Vangelo in vece sua. Durante la persecuzione di Diocleziano, nel 304 entrambi furono tradotti in catene da Saragozza a Valencia. Durante il lungo e faticoso percorso, Vincenzo precedeva il suo Vescovo, predicando incessantemente il messaggio di Cristo. Giunto a destinazione, seppe tener testa al governatore Daciano, ribattendo puntualmente le sue accuse. Per questo, fu torturato e rinchiuso in una cella buia con l'impiantito ricoperto di cocci taglienti, affinché tacesse; ma il giovane diacono vi si sdraiò, cantando inni di ringraziamento al Signore. Per privarlo della gioia del martirio, il Governatore diede allora ordine di sostituire con un pavimento morbido quello tagliente. Poco dopo, Vincenzo morì e il suo corpo venne gettato ai cani famelici. Poiché le sue spoglie furono difese dal miracoloso intervento di un corvo, Daciano le fece chiudere in un sacco e gettare nel fiume. La tradizione afferma che, galleggiando sull'acqua, il sacco approdò a riva e venne raccolto da una comunità cristiana, che eresse in loco una chiesa in onore di Vincenzo, diacono e martire.

 

Sant'Anastasio

Magundat (Anastasio), monaco persiano nato a Razech, morì nel 628. Nel 614, quando la santa Croce fu fatta trasportare dal re Cosroe in Persia, Magundat, soldato dell'esercito persiano, (istruito da suo padre nell'arte della magia) volle sapere perché i cristiani venerassero uno strumento di supplizio.
Conosciuti i rudimenti della religione cristiana, si propose di convertirsi; andò a Gerapoli dove conobbe l'eroismo dei Martiri. A Gerusalemme ricevette il battesimo con il nome di Anastasio (il risorto) per evidenziare la sua conversione.
Dopo sette anni di vita monastica, si recò in Palestina a Cesarea, allora dominata dai Persiani, dove fu sottoposto a crudeli tormenti perché abiurasse. Avendo fatto parte dell'esercito, fu lasciato libero e, insieme a due cristiani suoi compagni di cella a Gerusalemme, mandato a Barsalve (Sergiopoli) dal re Cosroe che, però, lo fece sottoporre a crudeli torture; resistette a tutti i tormenti e fu strozzato e decapitato.
Le sue reliquie furono trasportate e venerate a Roma in vari luoghi di culto, tra cui La scala santa e le Tre fontane.

 
©2003 Parrocchia di Villar Dora