Le mani di Gesù

di Gianfranco Ravasi

 

Un Dio, che è stato per trent'anni muratore e falegname, riuscirà a venire a capo delle macerie della mia anima.

Sull'Incarnazione si può meditare in tante maniere. Questa che ci propone un grande teologo come Hans Urs von Balthasar in uno degli aforismi raccolti nel volume "Il chicco di grano" (Jaca Book 1994), è una maniera paradossale. Ma suggestiva. Per trent'anni Gesù rimane per tutti il "tekton", cioè il carpentiere o qualcosa del genere (Mc 6, 3): nonostante gli sforzi di alcuni che ultimamente hanno voluto dargli un migliore statuto sociale, cercando di cooptarlo nella piccola borghesia, chi ha studiato le coordinate socioeconomiche dell'area palestinese in quell'epoca, per quanto è possibile, sa che il livello era in realtà molto più miserabile.

Dicevamo, però, che l'immagine è suggestiva. Infatti il famoso teologo affida alle mani di questo "tekton" le macerie della sua vita perché le mani di Cristo sanno fare miracoli. Riescono anche con materiali di scarto a costruire architetture mirabili, a plasmare capolavori. E' questa la fiducia della fede: il mettersi, così come si è, nelle mani divine, sotto l'azione di quel muratore-falegname-carpentiere misterioso. E' lasciare spazio alla sua opera e alla sua grazia e non pretendere di sollevare le macerie da soli. A proposito di lasciare spazio a Dio viene in mente un altro aforisma di quel volume, anche se di taglio differente: "Vivere in due in un cuore: io devo farmi da parte, farmi piccolo, affinché l'altro abbia posto, non si senta ristretto".

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