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"Buongiorno
don Leonardo. Cercheremo di non rubarle troppo tempo, solo qualche domanda.
Lei si occupa dei detenuti nel carcere di Maliseti: ci può raccontare
quali sono i suoi compiti?"
"Buongiorno ragazzi! Il mio compito non è diverso da quello
di ogni altro sacerdote: annunziare Gesù ed il suo Vangelo. Per
questo valorizzo, insieme a suor Maria Teresa, le Sante Messe ed il catechismo,
che conduco personalmente con un gruppo di volontari di S. Agostino. Posso
dire con piacere che la partecipazione è molto alta e costante.
Più specificamente offriamo sostegno morale e anche di carattere
sociale. Mantengo contatti quotidiani attraverso colloqui individuali
per diverse ore al giorno, che mi consentono un incontro con quasi tutti
i quasi cinquecento detenuti. Questo è importante, perché
l'accertamento personale apre la visuale a problematiche difficili e complesse,
sia di tipo individuale sia di tipo familiare, alle quali cerchiamo di
fare fronte nella misura in cui siamo capaci. Più specificatamente,
questo si traduce in un contatto con le famiglie e con l'ospitalità
presso la casa di accoglienza Jacques Fesch a
Narnali, che funziona da 11 anni e risponde ad una vera necessità
come dimostra il numero delle presenze nell'ordine delle cinquemila in
questo arco di tempo.
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Per
favorire la formazione individuale il volontariato promosso del Centro Comunità
Carcere ha istituito la scuola di ragioneria, ormai attiva anche questa
da diversi anni. Inoltre è sempre necessaria una assistenza "spicciola":
parlo di vestiti, delle 20.000 lire per i bisogni più elementari,
anche se inevitabilmente siamo lontani dal soddisfare tutti i bisogni. Sempre
nell'ambito di un aiuto al reinserimento, il Centro Comunità Carcere
ha promosso nel 1992 l'istituzione della cooperativa "La speranza"
per la reintroduzione nel mondo del lavoro. Ritengo giusto sottolineare
che lo spirito che ci anima e ci deve aiutare, che non può essere
che quello del recupero, del reinserimento, della formazione, dell'aprire
al futuro ed alla speranza non facendo diventare gli sbagli passati una
prigione oltre che muraria anche psicologica e morale." |
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Ecco la casa
di accoglienza "Jacques Fesh"
a Narnali, che in 11 anni ha ospitato circa 5.000 persone, per lo
più familiari dei carcerati trasferiti con pochi mezzi finanziari.
Sono necessari molti volotari.
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"Cosa
vuol dire essere carcerato a Maliseti, anche confrontando questo con altri
istituti penitenziari?"
"Mah, è l'unico carcere che conosco e quindi non so fare un
paragone con cognizione di causa rispetto alle altre realtà. Si può
dire che anche qui si avverte la presenza di quello che io chiamo il "peccato
originale" delle carceri italiane: la mancanza di lavoro all'interno
dell'istituto, che non consente un'autonomia ai detenuti e neanche un aiuto
alle famiglie. In secondo luogo, anche a Maliseti si sente molto il problema
di un carcere concepito come "scarico" di problemi sociali: tossicodipendenza,
criminalità, immigrazione, che per una soluzione necessitano di un
impegno più fuori dal carcere che all'interno. Questo è particolarmente
evidente nel caso dell'immigrazione che, se non saputa affrontare sul piano
sociale, determina alcune sproporzioni. Mi spiego: se la presenza di immigrati
sul territorio non supera sicuramente il 3%, fra la popolazione carceraria
i non italiani sono oltre il 25%. Nel nostro carcere attualmente i non italiani
si aggirano addirittura attorno al 40%. Un'altra problematica oggettiva,
non solo qui a Prato, è la tipologia multipla, nel senso che sono
presenti tutte le categorie di reato e quindi di condanna: essere allo stesso
tempo casa circondariale e di reclusione, con categorie differenziate, comporta
un aumento di difficoltà nella gestione ed organizzazione, poiché
ogni attività ed iniziativa deve essere ripetuta più volte
per raggiungere la totalità della popolazione carceraria." |
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"Ci
ha raggiunto suor Teresa, la nostra suora delle carceri. Che rapporto
esiste fra voi? In cosa consiste il suo operato e quello degli altri volontari?"
"Allora, diciamo che tutte le attività sono sostenute dal
Centro Comunità Carcere che ha sede proprio qui a Maliseti. Questo
è diretto proprio da suor Maria Teresa Buossi, la quale si prende
cura, oltre che del servizio liturgico all'interno del carcere, anche
della casa di accoglienza Jacques Fesch, dei
rapporti con i familiari e dell'assistenza "spicciola". Tutto
questo comporta naturalmente un bisogno finanziario e di personale notevole.
Vicino a suor Teresa c'è Giulietta Guidoni, sempre generosa e disponibile,
il cui impegno dura dall'apertura del carcere. Bisogna anche riconoscere
una grande sensibilità dei pratesi, sia nel mettere a disposizione
il loro tempo (vedi i 50 volontari di Narnali e i 25 della scuola di ragioneria)
sia con il loro aiuto economico, che non risolve certo tutti i problemi,
ma che è sufficiente per rendere dignitosa e costante l'assistenza."
"In
cosa può esservi di aiuto la nostra comunità?"
"L'urgenza più immediata del Centro Comunità Carcere
è la disponibilità di persone volenterose per i turni alla
casa di accoglienza di Narnali. Quello che noi chiediamo è un impegno
"minimo ma costante": una volta al mese, poche ore, ma sempre
per dodici mesi. Richiediamo un aiuto piccolo, ma svolto con serietà
e regolarità."
"E'
tardi e sappiamo che i detenuti l'aspettano, ci permetta solo un'ultima
domanda. Il sistema giudiziario in Italia è al centro dell'attenzione:
la gente comune si chiede dove sia finita la certezza della pena e per
casi molto eclatanti, vedi il bambino albanese ucciso nelle scorse settimane,
arriva a chiedere la pena di morte
Qual è la sua opinione?"
"E' difficile, anche perché non so dare un giudizio motivato
sulle attuali strutture applicative delle condanne. Il mio principio è
meno carcere possibile, bisogna dominare l'emotività, pur legittima,
legata a casi drammatici e coinvolgenti attraverso i principi umani e
cristiani. Vi faccio un esempio: chi vorreste essere fra la mamma del
piccolo Claudio e la mamma del giovanissimo assassino? E' difficile! Come
ho già detto, i principi da seguire sono quelli indicati dalla
nostra Costituzione (art. 27) e soprattutto dalla concezione dell'uomo
ispirata al Vangelo, per cui ogni individuo è chiamato a conversione
e non alla condanna definitiva. Attenzione però a non equivocare:
conversione non significa connivenza. Gesù diceva: "Vai e
non peccare più!" Questo non vuol dire dimenticare la vittima,
ma non è la vendetta che può risarcirla. La riparazione
deve essere il pentimento del colpevole."
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