Riproponiamo l'intervista di don Leonardo a "Stradafacendo" del 14/5/2000

 

"Buongiorno don Leonardo. Cercheremo di non rubarle troppo tempo, solo qualche domanda. Lei si occupa dei detenuti nel carcere di Maliseti: ci può raccontare quali sono i suoi compiti?"
"Buongiorno ragazzi! Il mio compito non è diverso da quello di ogni altro sacerdote: annunziare Gesù ed il suo Vangelo. Per questo valorizzo, insieme a suor Maria Teresa, le Sante Messe ed il catechismo, che conduco personalmente con un gruppo di volontari di S. Agostino. Posso dire con piacere che la partecipazione è molto alta e costante. Più specificamente offriamo sostegno morale e anche di carattere sociale. Mantengo contatti quotidiani attraverso colloqui individuali per diverse ore al giorno, che mi consentono un incontro con quasi tutti i quasi cinquecento detenuti. Questo è importante, perché l'accertamento personale apre la visuale a problematiche difficili e complesse, sia di tipo individuale sia di tipo familiare, alle quali cerchiamo di fare fronte nella misura in cui siamo capaci. Più specificatamente, questo si traduce in un contatto con le famiglie e con l'ospitalità presso la casa di accoglienza Jacques Fesch a Narnali, che funziona da 11 anni e risponde ad una vera necessità come dimostra il numero delle presenze nell'ordine delle cinquemila in questo arco di tempo.

Per favorire la formazione individuale il volontariato promosso del Centro Comunità Carcere ha istituito la scuola di ragioneria, ormai attiva anche questa da diversi anni. Inoltre è sempre necessaria una assistenza "spicciola": parlo di vestiti, delle 20.000 lire per i bisogni più elementari, anche se inevitabilmente siamo lontani dal soddisfare tutti i bisogni. Sempre nell'ambito di un aiuto al reinserimento, il Centro Comunità Carcere ha promosso nel 1992 l'istituzione della cooperativa "La speranza" per la reintroduzione nel mondo del lavoro. Ritengo giusto sottolineare che lo spirito che ci anima e ci deve aiutare, che non può essere che quello del recupero, del reinserimento, della formazione, dell'aprire al futuro ed alla speranza non facendo diventare gli sbagli passati una prigione oltre che muraria anche psicologica e morale."

Ecco la casa di accoglienza "Jacques Fesh" a Narnali, che in 11 anni ha ospitato circa 5.000 persone, per lo più familiari dei carcerati trasferiti con pochi mezzi finanziari. Sono necessari molti volotari.

"Cosa vuol dire essere carcerato a Maliseti, anche confrontando questo con altri istituti penitenziari?"
"Mah, è l'unico carcere che conosco e quindi non so fare un paragone con cognizione di causa rispetto alle altre realtà. Si può dire che anche qui si avverte la presenza di quello che io chiamo il "peccato originale" delle carceri italiane: la mancanza di lavoro all'interno dell'istituto, che non consente un'autonomia ai detenuti e neanche un aiuto alle famiglie. In secondo luogo, anche a Maliseti si sente molto il problema di un carcere concepito come "scarico" di problemi sociali: tossicodipendenza, criminalità, immigrazione, che per una soluzione necessitano di un impegno più fuori dal carcere che all'interno. Questo è particolarmente evidente nel caso dell'immigrazione che, se non saputa affrontare sul piano sociale, determina alcune sproporzioni. Mi spiego: se la presenza di immigrati sul territorio non supera sicuramente il 3%, fra la popolazione carceraria i non italiani sono oltre il 25%. Nel nostro carcere attualmente i non italiani si aggirano addirittura attorno al 40%. Un'altra problematica oggettiva, non solo qui a Prato, è la tipologia multipla, nel senso che sono presenti tutte le categorie di reato e quindi di condanna: essere allo stesso tempo casa circondariale e di reclusione, con categorie differenziate, comporta un aumento di difficoltà nella gestione ed organizzazione, poiché ogni attività ed iniziativa deve essere ripetuta più volte per raggiungere la totalità della popolazione carceraria."

"Ci ha raggiunto suor Teresa, la nostra suora delle carceri. Che rapporto esiste fra voi? In cosa consiste il suo operato e quello degli altri volontari?"
"Allora, diciamo che tutte le attività sono sostenute dal Centro Comunità Carcere che ha sede proprio qui a Maliseti. Questo è diretto proprio da suor Maria Teresa Buossi, la quale si prende cura, oltre che del servizio liturgico all'interno del carcere, anche della casa di accoglienza Jacques Fesch, dei rapporti con i familiari e dell'assistenza "spicciola". Tutto questo comporta naturalmente un bisogno finanziario e di personale notevole. Vicino a suor Teresa c'è Giulietta Guidoni, sempre generosa e disponibile, il cui impegno dura dall'apertura del carcere. Bisogna anche riconoscere una grande sensibilità dei pratesi, sia nel mettere a disposizione il loro tempo (vedi i 50 volontari di Narnali e i 25 della scuola di ragioneria) sia con il loro aiuto economico, che non risolve certo tutti i problemi, ma che è sufficiente per rendere dignitosa e costante l'assistenza."

"In cosa può esservi di aiuto la nostra comunità?"
"L'urgenza più immediata del Centro Comunità Carcere è la disponibilità di persone volenterose per i turni alla casa di accoglienza di Narnali. Quello che noi chiediamo è un impegno "minimo ma costante": una volta al mese, poche ore, ma sempre per dodici mesi. Richiediamo un aiuto piccolo, ma svolto con serietà e regolarità."

"E' tardi e sappiamo che i detenuti l'aspettano, ci permetta solo un'ultima domanda. Il sistema giudiziario in Italia è al centro dell'attenzione: la gente comune si chiede dove sia finita la certezza della pena e per casi molto eclatanti, vedi il bambino albanese ucciso nelle scorse settimane, arriva a chiedere la pena di morte… Qual è la sua opinione?"
"E' difficile, anche perché non so dare un giudizio motivato sulle attuali strutture applicative delle condanne. Il mio principio è meno carcere possibile, bisogna dominare l'emotività, pur legittima, legata a casi drammatici e coinvolgenti attraverso i principi umani e cristiani. Vi faccio un esempio: chi vorreste essere fra la mamma del piccolo Claudio e la mamma del giovanissimo assassino? E' difficile! Come ho già detto, i principi da seguire sono quelli indicati dalla nostra Costituzione (art. 27) e soprattutto dalla concezione dell'uomo ispirata al Vangelo, per cui ogni individuo è chiamato a conversione e non alla condanna definitiva. Attenzione però a non equivocare: conversione non significa connivenza. Gesù diceva: "Vai e non peccare più!" Questo non vuol dire dimenticare la vittima, ma non è la vendetta che può risarcirla. La riparazione deve essere il pentimento del colpevole."