di don Leonardo Basilissi - cappellano del carcere

Ritratto di Jacques Fesch (1930-1957)

Parigi, prigione 'la Sante', 1 Ottobre 1957. Sono le 5.30 del mattino. Il condannato Jacques Fesch è in preghiera accanto al letto rifatto: un'ultima delicatezza di un uomo visitato dalla bontà di Dio, un segno della totale presenza a se stesso. Si confessa per l'ultima volta e fa la comunione in ginocchio, accanto all'Avv. Baudet. Poi va incontro alla ghigliottina, gli legano le mani. Attorno una intensissima emozione. Jacques improvvisamente si rivolge al cappellano e lo supplica: "Il crocifìsso, padre mio, il crocifisso!" e lo bacia lungamente, piangendo. Il Condannato del Golgota è l'unico che possa consolare il condannato Jacques Fesch, l'unico che possa ancora parlargli quando nessuno ha più parole. Anche se tutti all'intorno "stanno dalla parte" di questo assassino che ha incantato nell'ultimo anno con la sua bontà e la sua fede profonda chiunque lo ha avvicinato. Quando appoggia la testa al patibolo, si sentono chiare le parole "Signore, non abbandonarmi!". La ghigliottina affonda veloce la sua lama, cade la testa, ma non è più un assassino che muore, è un martire che muore pieno di amore nella festa di santa Teresina, che aveva scelto già da tempo come la "sua" santa.

Sono passati tre anni e mezzo da quando, deluso dalla vita, senza fede, senza amore, a 24 anni Jacques aveva voluto tentare l'avventura, l'evasione sui mari, affrontare il Pacifico. Per procurarsi la barca a vela aveva aggredito, rubato, e nella fuga ucciso un agente. In carcere nel giovane dal volto angelico, divenuto "mostro" e assassino, dopo un anno di ostentata indifferenza, di atteggiamento supponente ma in fondo superficiale, avviene quello che egli chiamerà "l'Incontro". Intende con ciò la scoperta di Gesù Cristo e del suo messaggio, mai conosciuti nella famiglia agiata (il padre Georges è direttore di banca, gran giramondo ma cinico e donnaiolo, ostentatamente ateo) né assimilati durante gli anni della formazione.

"A casa nostra c'era tanta religione quanta ce n'era in una scuderia, ed eravamo tutti dei mostri di egoismo e di orgoglio". "Nessuno scopo, nessuna morale, se non il cinismo, l'ateismo e il disgusto di tutto. Io potevo fare quello che volevo, che lui se la rideva allegramente". In una notte di pena, di dolore per un fatto familiare, gli sfugge dalle labbra l'invocazione: "Mon Dieu, mon Dieu!". Dio l' attendeva là. Quello che segue non è solo un radicale cambiamento, è l'ascesa alle vette della santità, testimoniata dalla condotta, dai colloqui, dalle numerose lettere (ai genitori, alla moglie, alla figlia, all'avvocato, al cappellano e ad un amico benedettino).
Fu l'ultima condanna a morte della Francia repubblicana. Il Presidente della Repubblica negò la grazia. E la giustizia ufficiale, pronta a riconoscere un delinquente, non seppe riconoscere un santo. Questo giovanotto esuberante, pieno di vita, dirà della sua morte: "Sarà proprio la prima cosa in cui riuscirò nella vita!". In realtà, poiché ogni evento ed ogni storia si misurano dalla fine, tutta la sua vita assume il senso di una avventura spirituale di un uomo che ha ricercato con coraggio, costanza e lealtà il significato dell'esistenza umana. Non storiella edificante, ma testimonianza efficace ed emblematica di una sete di verità e di assoluto finalmente appagata.

 

Questo è il biglietto lasciato all'amico e compagno di cella Roberto il giorno prima dell'esecuzione.

Al mio amico Roberto Sperando che anch'egli vedrà splendere l'aurora!
Egli si disse è bene partire nella notte, sul finir dell'esilio, incontro a splendida aurora, perché quaggiù l'anima è tutta avvolta di veli Poi se n 'e andato così, passando tra singhiozzi, verso il nero patibolo e il sanguinoso acciaio, con gli occhi grandi aperti, ben fissi sulle stelle
Arrivederci in Dio!

Il tuo fratello Jacques