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UFF UFF
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Ma immaginiamo che il tuo amico si lasci entusiasmare e invece di concludere col tiepido "va be', poi vediamo" si lasci prendere dalla strizza del "Si, dai!", non puoi pensare di organizzare tutto da solo, hai bisogno di un gruppo di lavoro, di un'associazione qualsiasi. Qui il discorso è più semplice: il presidente e il consiglio vagliano l'iniziativa e la condividono perché entra nelle loro finalità, è straordinaria eccetera, ma mentre gli organi direttivi decidono e programmano, tra i soci, tra i semplici iscritti serpeggia prima, avanza e alla fine galoppa un viscido, orripilante, contagioso uff!
Alla fine, grazie all'abnegazione di alcune persone che si rimboccano le maniche e non la lingua, riuscirai ad avviare la macchina organizzativa. Ma un altro "uff a sette teste" osteggia i tuoi sforzi: fa capolino dagli sportelli e s'insinua negli uffici, s'annida in pratiche complesse e in documentazioni astruse. È un burocratico uff di carta bollata che rode il fegato, soffoca il cuore ed esplode in testa. La "cultura dell'uff" nasce tra i giovani. Dispiace ammetterlo, ma è così: manca il mordente per far qualunque cosa, anche per divertirsi. Persi dietro ad artifici elettronici di varia natura, non riescono a gustare la gioia che deriva dal riflettere e dal "fare" nel senso sia di organizzare, sia di produrre. Dai giovani tracima nella fascia degli adulti, i quali, poveretti, naufragano tra i mille impegni che l'attività lavorativa e la vita familiare comportano. "Le iniziative sono importanti, devono essere fatte si, ma dagli altri: io non ho tempo"! Il fatto poi che i bambini e gli anziani, in genere, sembrano esenti da questa sorta di malessere, non può proprio essere considerato un grande affare. La bilancia esprime così il suo verdetto e non bastano i cavilli né le distinzioni di lana caprina per sovvertirlo in qualche modo: se non ci fosse altro, faremmo meglio a lasciare ad altri il fastidio d'impastar patate e tradizioni salutandoli con il più largo dei sorrisi di beatitudine. Ma dell'altro c'è; accipicchia se c'è! C'è che ormai da molto tempo questa comunità, condannata a partecipare alle celebrazioni più significative in maniera quanto mai angusta e disagiata, coltiva il progetto di costruire il nuovo edificio per il culto.C'è che diversi elaborati sono stati prodotti, ma nessuno, per un motivo o per un altro, è riuscito a passare dalla carta al cantiere. C'è che noi, a torto o a ragione, abbiamo pensato che il problema consistesse soltanto nel reperire i fondi necessari e che abbiamo lavorato "con gran rompimento di schiena" per sette anni, forse più, per tirar su soldi da trasformare in muri sacri, in campane e scanni. C'è che tanta gente ha già "pagato" il sogno di una chiesa parrocchiale degna della sua fede e non può, ora, veder svanire tutto in un miserabile uff.
Ecco perché converrà mettere da parte la nostra bella bilancia dai piatti dorati. Ecco perché dobbiamo ritornare a coltivare la terra, a lessare, pelare ed impastare patate fino a spremere, dagli umili gesti di sempre, i genuini sapori della nostra fatica. Ecco perché continueremo ancora ad asciugare col sorriso sulle labbra il sudore della nostra fronte fino a quando brillerà nei nostri occhi la soddisfazione per la meta raggiunta. Alla fine hai trovato "chi te l'ha fatta fare", "chi te la fa fare" anche quest'anno: è il desiderio di dare senso e compimento ai pensieri, alle parole e agli sforzi di tanti amici; è la voglia di sentirti parte di una comunità che non si limita a vivere la ricchezza del suo rapporto con Dio nell'intimità e nell'individualità della sua coscienza, ma che sa di dover essere anche nel mondo "lampada che splende davanti agli uomini". Però... la fatica è tanta... Tra un boccone ed un buon bicchiere di vino, insieme, con l'aiuto di Dio, anche nelle nostre membra stanche, nelle ossa rotte, ritroveremo la gioia di sentirci un unico Corpo, il coinvolgente entusiasmo di far grande e bella la festa. Torna sulla prima pagina

Don salvatore Tundo