Parrocchia Sant'Agabio

Novara

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La battaglia dell'Ariotta.

 

    Le campagne dell'Ariotta furono teatro di battaglia durante le lotte tra francesi e svizzeri per il predominio sul territorio e sulla città fra Quattrocento e Cinquecento.            

    Ludovico il Moro aveva dapprima favorito la discesa del re francese Carlo VIII ma in seguito aderì alla lega che si era formata contro di lui per iniziativa di vari principi italiani. 

    Novara venne occupata dai francesi ma con la pace di Vercelli del 1495 fu riannessa al ducato di Milano. 

    Passarono appena quattro anni e Novara fu riconquistata dai francesi. Ludovico il Moro si alleò con il vescovo di Sion, Matteo Schinner, che scese in Italia con un forte esercito e conquistò la città riconsegnandola all'alleato. 

    Nel 1513 il re Luigi XII marciò su Milano e anche Novara fu cinta d'assedio. 

    La città era presidiata dagli svizzeri, ai quali venne in aiuto un nuovo esercito proveniente da fuori. 

    I francesi, comandati dal visconte de la Tremoille, si ritirarono verso Trecate e si accamparono nei campi di una località detta Ariotta, dove furono investiti da una offensiva dei difensori svizzeri della città e subirono una sconfitta totale il 6 giugno 1513. 

 

Una beata per il popolo: la Giovannina del borgo di Sant'Agabio. 

 

    Privati del corpo del santo patrono, trasferito in cattedrale nel IX secolo, gli abitanti del quartiere cominciarono a recarsi a chiedere le grazie sulla tomba di una certa Giovannina, che si riteneva fosse vissuta santamente in un luogo angusto presso la chiesa di sant'Agabio. 

    La notizia viene dal Vescovo monsignor Carlo Bascapè, che ne parla nella sua Novaria., opera in due libri in cui descrive la diocesi di Novara e presenta le figure dei vescovi. Qualche notizia in più si trova nel Diario dei Santi e Beati e venerabili servi di Dio negli antichi stati della Real Casa di Savoia compilato dal vicario Giuseppe Massa, dove si legge che la beata Giovannina di Novara, di povera ma onesta condizione, era stata messa a lavorare nella qualità di serva per le necessità della sacrestia di Sant'Agabio fuori le mura. Lavava e rammendava la biancheria della chiesa, preparava i paramenti ed era attenta nell'individuare ed aiutare le donne povere che si vergognavano di chiedere pubblicamente l'elemosina. 

    Umile, disinteressata, caritatevole ed assidua in chiesa alla preghiera, seppe santificarsi nel suo stato di vita, cosicchè dopo la sua morte avvenuta il 12 settembre 1540, venne indicata come beata dalla popolazione e si distinse per i miracoli da lei compiuti. 

    Il canonico Frasconi, archivista e bibliotecario della cattedrale nel XIX secolo, sostiene che probabilmente la beata visse nel convento delle Umiliate di Sant'Agabio e là fu sepolta. 

    Una volta distrutto il convento, le reliquie sarebbero state trasferite nella chiesa di Sant'Agabio. 

    Al vescovo Odescalchi che visitò la chiesa parrocchiale di sant'Agabio nel 1658 fu riferito che, per antica tradizione e pubblica fama, si tramandava che la beata Giovannina fosse sepolta sotto l'altare dell'oratorio annesso alla parrocchiale, in cui si riunivano i confratelli del Santissimo Sacramento. 

    La gente si recava sul posto a pregare ottenendo ancora in quel momento numerose grazie. 

    I vescovi Antonio Volpi e Antonio Tornielli avevano espresso il desiderio che il corpo della Giovannina venisse estratto dalla sepoltura, essendoci il pericolo che la chiesa fosse demolita, ma fino a quel momento non era stato impartito alcun ordine preciso. 

    Il corpo della beata fu in seguito effettivamente estratto da sotto l'altare, dato che nel 1690 risulta riposto in una cassa di legno sigillata, custodita in un armadio ben chiuso e mal rivestito dietro l'altare maggiore. 

    Il corpo non veniva mai esposto per la venerazione pubblica. 

    Una volta abbattuta la vecchia chiesa ed edificata la nuova, le reliquie vennero deposte in una cassa di vetro munita del sigillo della curia vescovile e riposte in un armadio ricavato da una finestra chiusa dietro l'altare maggiore. 

    Quando il cardinale Morozzo visitò la parrocchia nel 1819, gli fu detto che un tempo le reliquie della beata erano conservate dietro l'altare maggiore, mentre in quel momento erano riposte nella cappella della Beata Vergine. 

    Al principio del nostro secolo si interessò della beata Giovannina il parroco don Vincenzo Bairate che, al momento del suo insediamento in parrocchia, fu subito informato del fatto che da qualche parte era custodito il corpo di una certa Giovannina, vissuta nel XVI secolo e ritenuta beata dalla popolazione; nessuno però nessuno, nemmeno il vice parroco, conosceva esattamente il luogo della sepoltura. 

    Don Bairate si diede a cercare il corpo della beata ed egli stesso ci narra del ritrovamento: "Lo trovai in un armadio mascherato sotto la nicchia della Madonna del Rosario e al presente si trova ancora nella nuova Chiesa sotto la nicchia della Madonna del Rosario". 

    Il 23 ottobre 1920 don Bairate spediva alla curia una lettera in cui presentava alcuni cenni storici sulla beata e poi proseguiva: "Il corpo di questa Beata, ridotto a poche ossa e polvere è custodito in una piccola urna di legno con vetri, debitamente sigillata ed i sigilli hanno l'impronta di S.Gaudenzio. Sulla parte superiore dell'urna è scritto:"Corpus Beatae Ioanninae". 

    Questa piccola urna è posta in un piccolo spazio vuoto sotto i piedi della statua della Madonna del Rosario munito di vetrata e guardato da antine di legno". In conclusione il parroco chiedeva alla curia il permesso di levare le antine di legno ed esporre quest'urna contenente le reliquie alla venerazione dei fedeli, almeno nelle solennità. Gli rispose il 26 ottobre 1926 il vicario generale monsignor Giovanni Battista Del Signore dicendo che le reliquie non si potevano esporre né venerare perché non risultava che la beata Giovannina fosse iscritta nell'elenco dei servi di Dio, beati e santi approvati dalla Chiesa cattolica. 

    Nella venerazione di una donna non canonizzata dalla Chiesa i popolani di Sant'Agabio trovarono certamente un modello di santità vicino a loro, gente di umile condizione che legava la propria vita cristiana al lavoro, alla pratica religiosa e alla carità verso i poveri. 

 

Gli spagnoli e il nuovo assetto della città.

 

    Nel secolo XVI Novara era sotto la dominazione spagnola. Nel suo scontro con la Francia, l'imperatore Carlo V pensò di trasformare Novara in una piazzaforte militare. 

    Le antiche mura medioevali e il fossato non erano più in grado di garantire la difesa della città dalle palle dei cannoni, per cui il governo spagnolo mise a punto un progetto che prevedeva la costruzione di baluardi e bastioni in grado di resistere ai cannoneggiamenti. Inoltre le nuove dinamiche di guerra prevedevano che per i difensori ci fosse lo spazio per sparare con i cannoni e che intorno alla città non ci fossero ripari dove gli aggressori potessero ripararsi. 

    Inevitabilmente i borghi diventavano un grosso problema da eliminare: così, negli anni 1552-1554 l'ingegnere ducale Bernardo Folla per ordine del governatore della città Pietro Cicogna fece abbattere i sobborghi di San Gaudenzio, della Cittadella, di San Lazzaro, di Santo Stefano e di Sant'Agabio; furono demoliti anche conventi e chiese: la vittima più illustre fu l'antica basilica di san Gaudenzio rasa al suolo nel 1553. 

    Il borgo di Sant'Agabio subì solo una demolizione parziale e al posto delle case abbattute sorsero i baluardi e due bastioni che presero il nome di Sant'Agabio e Carazena. 

    Una seconda demolizione del borgo avvenne intorno al 1640, quando sembrò che Novara dovesse nuovamente sostenere un assedio. 

    Ai continui progetti di ampliamento delle fortificazioni si deve la demolizione della chiesa parrocchiale di Sant'Agabio. Frasconi commenta il fatto con queste parole: "L'ultimo edificio sacro, che per supremo comando venne eguagliato al suolo per l'ampliamento delle fortificazioni dalla parte orientale della città fu l'antichissima basilica suburbana dedicata a Sant'Agabio. E qui dobbiamo con umil fronte adorare gl'imperscrutabili giudizi di Dio, che ha permesso, che questa mal consigliata fortificazione (si condoni questo sfogo allo scrivente, per l'amore che vivo nutre alla sua patria, veggendola sì miseramente al di fuori devastata) siasi finalmente compita colla ruina d'una basilica fregiata col nome del secondo Santo vescovo, e Patrono di Novara, come al cominciarsi di essa, demolita fu la Venerabile antica Basilica intitolata al nostro Protopastore, e celeste Patrono principale S.Gaudenzio, entrambi i quali avevano scelto la loro sepoltura". 

    La demolizione della chiesa parrocchiale antica determinò la cessazione di un suggestiva cerimonia che si svolgeva in occasione di uno dei momenti più significativi della vita ecclesiale della città: l'accoglienza del nuovo vescovo al momento della sua prima entrata in diocesi. 

    Secondo un cerimoniale che si ripeteva costantemente il nuovo vescovo, quasi sempre proveniente dal milanese, si recava al convento di san Nazzaro alla Costa e vi rimaneva fino a che la processione che doveva accoglierlo fosse giunta agli ultimi cancelli delle fortificazioni di Porta Milano. In portantina o in carrozza raggiungeva poi la chiesa parrocchiale di Sant'Agabio, dove veniva allestita la porta trionfale e dove le autorità civili ed ecclesiastiche porgevano il primo saluto. 

    Il vescovo entrava quindi in chiesa dove sostava un momento in preghiera e indossava la cappa pontificale e il galero. 

    All'uscita dalla chiesa saliva in groppa ad una mula e in processione entrava in città dove avveniva l'insediamento nella cattedrale.