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All'inizio del
secolo si assiste all'aumento della popolazione e al sorgere dei primi nuclei di
case operaie, edifici a due o tre piani. Lo stabilimento Tosi, poi Olcese,
iniziò la produzione nel 1901 e nel 1905 realizzò tre corpi di fabbrica, uno
dei quali nacque come convitto per ospitare una parte delle maestranze
femminili. A ridosso della fabbrica vennero costruite case comunicanti con essa:
fatto singolare che determinò un sistema chiuso, per cui un operaio poteva
anche vivere esclusivamente nel recinto della fabbrica. Anche la Wild seguì lo
stesso modello per i suoi impiegati e assistenti tecnici. A partire dal 1919 era
stato elaborato un progetto di villaggio dei ferrovieri con piazza al centro,
che poi non venne realizzato. Nel 1922 si poteva rilevare l'espansione del
cotonificio Tosi, l'avvio del mulino Tacchini e Grignaschi, la crescita della
stamperia lombarda, la chiusura del setificio Paccagnino e l'avviamento del
cotonificio Wild. Gli anni fra il 1920 e il 1930 furono quelli del grosso salto
per la presenza produttiva a Sant'Agabio. Ci fu il passaggio dalla Tosi all'Olcese
e la grossa crisi della Stamperia Lombarda che non aveva saputo adeguarsi ai
ritmi di sviluppo tecnologico. Qust'ultima passò alla filatura Valle d'Olona-Candiani
e nel 1934 venne chiusa. Lo stabilimento fu utilizzato dalla Cansa, struttura
produttiva della FIAT, insediata a Cameri, che produceva motori per aerei.
Divenne infine il Quinto magazzino. Allo stesso decennio risale l'espansione del
bacino della ferrovia nella zona del Boschetto e del polo chimico intorno alla
Montecatini, stabilimento per la produzione dell'ammoniaca e dell'azoto. Nel
1934 sorse il Donegani, un centro di ricerca ad alto livello. Si avviò anche un
settore elettrochimico: dalla zona dell'attuale via dei Mille lo stabilimento
della Scotti-Brioschi si spostò vicino alla Montecatini. Altri luoghi di
produzione erano: la Safa (1933-34) che produceva apparecchi radio,
l'elettromeccanica Scei, le costruzioni meccaniche Gee-Bacci; all'inizio del
corso Trieste l'industria di abbigliamento Pilo Masini con 100 dipendenti; in
via della Riotta il calzificio Vittoria, aperto nel 1936 con 17 operai; infine
le officine Bossetti poi divenute Maxnovo negli anni 30, tra corso Milano e via
Negri. Nei primi anni '50 ci fu un'ultima espansione. Il quartiere si
qualificava per una numerosa presenza di operai, con una sua identità culturale
e politica tendente ad indentificarsi nel socialismo e nel comunismo, motivo per
cui nel ventennio il quartiere fu teatro del maggior numero di episodi di
resistenza al regime fascista. Il vecchio Circolo ospitava una statua del Cristo
vestito di rosso, il Cristo socialista. Don Vincenzo Bairate Uno dei
protagonisti dei primi quattro decenni di questo secolo fu don Vincenzo Bairate,
parroco di Sant'Agabio dal 14 luglio 1907 fino giorno della sua morte. Era nato
a Maggiora il 13 settembre 1865, figlio di Andrea e di Caterina Minolini, fu
battezzato con i nomi di Agapito Vincenzo ma venne sempre chiamato con
quest'ultimo. Prima di giungere a Sant'Agabio aveva esercitato il suo ministero
a Locarno Sesia, Nonio, Unchio di Trobaso e Soriso. Al suo ingresso in
parrocchia, descritto dal giornale diocesano come solennissimo, erano presenti
in realtà soltanto una decina di uomini, alcune donne e i bambini. Il Vicario
generale monsignor Del Signore, nel presentare il nuovo parroco espresse
l'augurio che Sant'Agabio potesse avere presto una nuova chiesa e tale fu la
preoccupazione di don Vincenzo fino a quando non riuscì nell'intento. Un altro
scottante problema da risolvere era la questione dei confini della parrocchia,
che da tempo contrapponeva il parroco di sant'Agabio a quello di sant'Eufemia:
questo problema si protrasse fino al 1908. All'arrivo di don Bairate la
parrocchia contava circa 6000 anime. Le Comunioni annuali, compresa quella
pasquale (che per il passato era uno degli indici per misurare la frequenza
religiosa ) erano 1500. La condizione di quartiere operaio aveva determinato una
massiccia adesione ai movimenti socialisti e comunisti: Don Bairate stesso
racconta che prima dell'avvento del fascismo gli abitanti di Sant'Agabio
aderivano al socialismo e al comunismo ed il giornale più diffuso era
L'Avanti". Egli aveva cercato di diffondere il giornale Il Momento , poi
divenuto Il Corriere, e L'Azione , che tuttavia non avevano ricevuto buona
accoglienza. Erano inoltre diffuse le case operaie e le cooperative, molti
santagabiesi erano iscritti alla società operaia che aveva sede in città. La
mentalità socialista favoriva il proliferare dei matrimoni civili. L'azione
pastorale di Don Vincenzo si indirizzò sopratutto al mondo giovanile. L'arrivo
del coadiutore don Cesare Colli segnò un momento particolarmente felice in
questa direzione, anche se non durò a lungo a causa della partenza del medesimo
per la guerra appena tre anni dopo. E' don Bairate stesso nelle sue Memorie a
parlarcene: "Il 15 agosto 1912 ebbi un sacerdote coadiutore in persona di
D. Cesare Colli, che tenni sino al maggio 1915, quando fu chiamato in servizio
militare per la guerra e furon quasi tre anni di attività fecondissima di bene.
Si vuol forse sapere cosa facessero due Sacerdoti in così poca Chiesa? - Prima
di tutto, per una popolazione, che allora andava sulle sei mila anime due
Sacerdoti non erano certo di troppo. Del resto, per quanto modesto e senza
pretese il novello Sacerdote, che sapeva di musica, si guadagnò la gioventù, e
il suo zelo fu industrioso. La povera Chiesa, che aveva incominciato a risuonare
di cantici devoti e a riempirsi di fedeli, cominciò anche a riconoscersi
assolutamente insufficiente ai bisogni spirituali della Parrocchia. Il bilancio
del bene andava sempre più aumentando". La comunione divenne molto
frequente, il Catechismo parrocchiale assunse proporzioni inattese: si arrivò
ad avere fino a 550 fanciulli, mentre molti continuavano a frequentare
l'Oratorio dei Salesiani e delle Salesiane. E' ancora don Bairate a raccontare
l'intensa attività a favore dei giovani, che per alcuni aspetti richiama gli
umili inizi di un altro apostolo della gioventù, san Giovanni Bosco:
"C'era una tettoia là dove ora è il salone parrocchiale, locale
infelicissimo sotto tutti gli aspetti, di m 4 per 12. Adattato alla meglio vi si
era impiantato un piccolo palcoscenico e qui, ragazzi e ragazze si producevano
in rappresentazioni, che attiravano sempre gran gente tanto da riempirlo
all'incredibile. In questo locale il Parroco ebbe modo di conoscere e di farsi
conoscere e Don Colli presentò all'ignobile ribalta artisti e musici che non si
crederebbe. Il Sac. Giovanni Bagnati poi (morto Canonico di S.Gaudenzio il 29
giugno 1929) si degnò favorirci proiezioni fisse e cinematografiche con un suo
mirabile machinino, come lo chiamava lui; io stesso mi addestrai alla bisogna e
così, avvicinando la gioventù, mi attrassi gli adulti e in un locale così
infelice si potè fare tanto bene che non se ne potè fare più tardi in locale
ben migliore". Tutte queste attività fecero pensare ad un oratorio
parrocchiale e furono intavolate trattative coll'Ing. Bronzini il quale avrebbe
dato un appezzamento di terreno nei pressi della Madonnina a £ 2 al metro. In
seguito si rinunciò alla firma del contratto. Il clima dei primi vent'anni del
secolo è bene illustrato dal parroco con queste parole: "Ricordo la Pasqua
del 1919. Come aveva fatto negli anni precedenti, aveva promesso una
passeggiata-premio a quelli che avevano frequentato il catechismo quaresimale e
conduceva una moltitudine di piccoli e di fanciulle, che non erano meno di 300,
a Pernate. Precedeva la bandiera nazionale. Sapeva di ferire la suscettibilità
del bolscevismo allora imperante. Fu vera protezione della Madonna se potemmo
per altra via tornare sani e salvi". Sempre nel 1919 il Circolo socialista,
che aveva sede nei locali della casa Bozzola, di fronte alla Chiesa, traslocò
nella nuova sede e la parrocchia subentrò nell'affitto in quanto al parroco
sembrò potessero tornare utilissimi. Ma questi locali, comodissimi per le opere
parrocchiali, non ebbero la fortuna della povera tettoia. Fu inaugurata la
bandiera del Circolo della Gioventù Femminile il maestro Luigi Cappa,
presidente della Gioventù Maschile Cattolica Novarese tentò di costituire un
Circolo per i giovani ma i vari sforzi non furono coronati da successo. In
Parrocchia c'erano anche il Circolo "In Fide" della Gioventù
Femminile di Azione Cattolica, ma la maggior parte della gioventù (circa il
90%) continuava a frequentare l'Oratorio dei Salesiani e delle Salesiane
nell'Istituto dell'Immacolata che contavano un buon numero di ragazze della
Parrocchia. Continuava ad esistere più di nome che di fatto la Compagnia della
Dottrina Cristiana, dal momento che la gioventù frequentava gli Oratori e
quella che rimaneva non si lasciava coinvolgere nelle proposte parrocchiali.
L'organizzazione della vita religiosa prevedeva nelle domeniche tre Messe, la
celebrazione dei vespri seguiti dall'istruzione catechistica agli adulti e ai
fanciulli e dalla benedizione. In Avvento e in Quaresima, dopo la scuola, si
teneva il catechismo in preparazione alle solennità del Natale e della Pasqua.
Per attirare i ragazzi si usavano proiezioni, cinema, premi e regali.
Annualmente si celebravano la festa di sant'Agabio il 10 settembre e della
Madonna del Rosario la seconda domenica di ottobre, le novene dell'Immacolata,
dell'apparizione di Lourdes , di sant'Agabio e della Madonna del Rosario. Le
Quarant' ore si tenevano in prossimità del Natale. Le processioni erano quelle
del Corpus Domini, della Madonna del Rosario e certi anni quella di Gesù
bambino. I problemi più sentiti erano l'indifferenza, la scarsa pratica
religiosa, soprattutto riguardo il precetto festivo, la presenza di parecchi
protestanti, le molte superstizioni quali lo spiritismo, le tavole parlanti e
semoventi. L'amministrazione parrocchiale era composta da quattro membri più il
tesoriere, che venivano nominati dal parroco. Nel suo testamento (1936), don
Bairate fa il bilancio del suo ministero a Sant'Agabio: "Morendo lascerò
il posto ad altro sacerdote. Vorrei poter mettermi ai suoi piedi per domandargli
perdono se non gli lascio la parrocchia come egli avrebbe diritto di trovarla.
Ma pure mi sembra di aver fatto il parroco con passione e per lo meno mi sembra
di lasciarla in condizioni migliori di quello che io ho trovato". Don
Bairate morì il 21 luglio 1938 e fu sepolto nella tomba dei sacerdoti nel
cimitero di Novara. Il parroco di Sant'Agabio diventa vescovo. A continuare
l'opera di don Bairate giunse nel 1938 don Francesco Brustia. Era nato a Barengo
l'8 novembre 1907, figlio di Angelo e Luigia Antonini, nono di undici figli. Il
29 giugno 1932 venne ordinato prete da monsignor Castelli nella cattedrale di
Novara. Dal 1933 al 1938 fu coadiutore e direttore dell'oratorio ad Arona; dal
1938 al 1957 parroco a Sant'Agabio; il 14 marzo 1957 venne eletto vescovo di
Andria (Bari) dal papa Pio XII; il 14 gennaio 1970 venne nominato vescovo di
Mondovì. Il carattere sorridente e sereno, la forza contagiosa del suo
entusiasmo e della sua gioia di vivere attirarono immediatamente la simpatia
della popolazione, abituata ai modi curiosi e al carattere burbero del
predecesssore che metteva tutti sull'attenti. Il nuovo parroco si mise
immediatamente al lavoro. Un amico, il vescovo Francesco Maria Franzi, dice di
lui: "La sua pastorale era vigorosa e concreta; poche parole, ma molte
opere, sempre disposto ad ascoltare e ad aiutare tutti, con una presenza
costante e operosa". Si dedicò particolarmente al mondo operaio e il
vescovo monsignor Leone Ossola gli conferì il delicato incarico di cappellano
dell'ONARMO per la città di Novara. La sua prima preoccupazione fu la cura dei
bambini, per i quali preparò l'insegnamento della dottrina nella scuola e alla
domenica, istituendo una Messa adeguata a loro. Questa scelta si rivelò
vincente nel corso degli anni: intorno alla persona del parroco si radunò un
crescente numero di giovani che formarono il primo nucleo dell'Azione Cattolica.
L'associazione in seguito si chiamò "Giuseppe Martelli", dal nome del
primo ragazzo a cui don Francesco propose l'iscrizione, morto di tubercolosi in
giovane età. Il parroco si occupò in prima persona dei ragazzi e volle che le
suore missionarie dell'Immacolata Regina della Pace, da lui chiamate in
parrocchia, si occupassero delle ragazze. All'arrivo di don Francesco ragazzi e
ragazze si radunavano in orari diversi nell'unico salone adiacente alla chiesa
parrocchiale, conosciuto come teatro. Nel 1940 le ragazze si trasferirono nella
casa delle suore in via san Lorenzo al pozzo. I ragazzi si radunavano nei locali
di fronte alla casa parrocchiale, che erano la sede degli uomini di Azione
Cattolica. In seguito il nascente oratorio, per poter accedere all'uso del
cortile della casa parrocchiale, si trasferì nei locali di un venditore di
stoffe che abitava all'interno della casa del beneficio parrocchiale. Una delle
scelte pastorali di don Francesco fu quella di incrementare la devozione a
sant'Agabio, di cui diffuse la conoscenza della vita e solennizzò maggiormente
la festa. Si chiese che il corpo di sant'Agabio ritornasse nella parrocchia a
lui dedicata, ma il vescovo monsignor Castelli, dopo aver consultato i canonici
della cattedrale, non lo ritenne opportuno. Tuttavia nel 1940, al termine delle
celebrazioni per il XV centenario della morte di sant'Agabio, l'urna contenente
il corpo rimase in chiesa parrocchiale per otto giorni; ad essa accorsero i
parrocchiani che poco prima avevano appreso dell'entrata dell'Italia in guerra.
In questo periodo don Francesco fu una presenza significativa soprattutto per le
famiglie colpite dal dolore e al termine della guerra volle ricordare con una
lapide tutti coloro che non erano tornati, invitando la comunità alla
preghiera. Il dopoguerra fu dedicato anche al completamento della chiesa
parrocchiale: fu tinteggiato l'interno, furono dipinti i quadri che raffigurano
la vita di sant'Agabio e fu collocato l'organo. Il campanile venne innalzato e
sulla sommità furono ricollocate che campana, poiché le precedenti erano state
requisite durante la guerra per scopi bellici. Nel 1955 don Francesco venne
nominato cameriere segreto di Sua Santità. Al suo apparire sul pulpito con gli
abiti prelatizi, forse avvertendo il rischio di diminuire la confidenza con i
suoi parrocchiani, disse: "Avete visto come mi hanno conciato?" con
queste parole continuò ad essere il don Francesco di prima. La sua elezione a
vescovo di Andria lasciò nei parrocchiani il rimpianto di aver perso il loro
parroco e l'orgoglio di dare alla Chiesa un vescovo. Fu in seguito trasferito a
Mondovì, dove morì il 17 giugno 1975 e il 21 giugno la salma venne tumulata a
Barengo nella tomba di famiglia. Gli oratoriani educati da monsignor Brustia
hanno dato vita ad un gruppo che si chiama "Amici di don Francesco".
In sua memoria, a partire dal 1977 è stata istituita una borsa di studio che
viene assegnata a ragazzi che si sono distinti per meriti scolastici, per
ricordare l'attenzione di questo parroco alla gioventù del quartiere. Le suore
missionarie dell'Immacolata Regina della pace L'arrivo della suore a Sant'Agabio
è dovuto all'iniziativa di don Francesco Brustia il quale avvertì la
necessità che il suo lavoro a favore della gioventù maschile fosse affiancato
da persone che si occupassero di quella femminile. Nel dicembre del 1940 il
parroco ebbe l'occasione di affittare una casa che avrebbe potuto ospitare le
suore e nello stesso tempo alcune persone si dichiararono disponibili a
sostenere le spese. Fra queste c'era una signora che conosceva bene la
congregazione delle suore missionarie dell'Immacolata Regina della pace, fondata
da padre Francesco Pianzola nel 1919. Il 27 novembre 1940 don Brustia inoltrò
al fondatore la richiesta di avere alcune suore in parrocchia. Padre Pianzola
rimase perplesso, dal momento che la parrocchia si trovava in città, ed egli
non la riteneva forse adatta alla missione che egli aveva affidato alle sue
suore. Fece un sopralluogo e si convinse vedendo che Sant'Agabio conservava
ancora parte del suo aspetto rurale, e che le suore avrebbero potuto assolvere
al loro ruolo di assistenza spirituale alle mondariso; inoltre notò per la
strada gruppi di bambini abbandonati a cui la presenza di religiose avrebbe
certamente giovato. Nella convenzione fra il parroco e padre Pianzola si
stabiliva che la parrocchia avrebbe dovuto provvedere alle suore "luce,
fuoco, acqua, più uno stipendio annuo di £ 4500". La congregazione si
impegnava a mandare suore che avrebbero coadiuvato il parroco nell'assistenza
alle giovani e nelle attività parrocchiali; in particolare una suora si sarebbe
occupata di una scuola di cucito per le ragazze. Il 15 dicembre 1940 le prime
tre suore giunsero a Sant'Agabio e andarono ad abitare in una casa composta da
cinque locali e un piccolo cortile in via san Lorenzo al pozzo. Al loro arrivo
furono accolte da una schiera di bambini e l'accoglienza si concluse in chiesa,
dove don Francesco tenne il suo discorso di benvenuto che si trasformò in un
dialogo con quella massa di irrequieti. Con l'arrivo delle suore prese
consistenza l'associazione femminile di Azione Cattolica, con lo svolgimento
regolare di programmi e di attività. Per l'estate fu avviata la consuetudine
per le ragazze di trovarsi insieme ogni giorno per imparare a cucire e per
giocare. Nel frattempo fu avviato anche l'asilo, che raccolse un numero sempre
maggiore di bambini. Nel 1949 la padrona di casa ebbe bisogno dell'abitazione
per sè e la congregazione acquistò una casa con un ampio sedime nel luogo dove
ancora oggi si trovano l'asilo e l'oratorio. Con l'apertura del "Convivio
estivo" all'Antillone le suore divennero un punto di riferimento per
l'organizzazione dell'estate di ragazzi e ragazze di Sant'Agabio. "Il lupo
di Sant'Agabio aguzza le zanne" Con questo singolare titolo iniziava un
articolo pubblicato il 18 dicembre 1958 sul giornaleLa Lotta, organo delle
federazione del Partito Comunista di Novara. Chi fosse il lupo in questione non
si diceva, ma il riferimento al parroco monsignor Eugenio Lupo era palese.
L'articolo riguardava l'acquisto, messo a punto dal parroco, del circolo Provera,
detto anche "il Circolone", in quel momento occupato dai comunisti e
dai socialisti. Si metteva in evidenza come l'acquisto era possibile grazie
all'alleanza fra il parroco da una parte e un industriale risiero e due aziende
dall'altra, i quali avrebbero concesso il fido per avere i soldi dalla banca.
Tutto questo era visto come una questione a chiaro sfondo politico, mirante a
"privare i lavoratori di Sant' Agabio della loro vecchia società pensando
così di fiaccarne l'organizzazione e lo spirito". Veniva poi ricordata
un'analogia con quanto avvenuto trent'anni prima, quando i fascisti con
un'operazione finanziaria simile si erano impadroniti legalmente del circolo.
L'articolo diceva ancora espressamente: "ed ecco clericali e industriali
costituirsi in santa alleanza e, con la forza del denaro, partire all'assalto
dei circoli proletari, perseguendo i loro obbiettivi integralisti e di
regime". Il tutto si concludeva invitando i comunisti, i socialisti e i
democratici ad opporsi all'offensiva, impegnandosi nell'apertura di un nuovo
circolo più bello e più grande di quello perduto. Visto dalla parte opposta la
situazione era in questi termini: uno degli incarichi affidati a monsignor
Eugenio Lupo quando venne a Sant'Agabio era quello di provvedere all'oratorio
maschile. Un mese dopo il suo ingresso in parrocchia erano pronti due progetti:
un grande centro sportivo da realizzare sul terreno della parrocchia in via
Cascinone e un oratorio per l'educazione dei giovani che sarebbe sorto sul
terreno circostante la chiesa parrocchiale. Era iniziata la raccolta dei fondi
necessari ma la realizzazione dei progetti si presentava eccessivamente
dispendiosa per le forze della parrocchia. Nel 1958 si presentò l'occasione di
acquistare il circolo Provera, di proprietà del signor Stella e in quel momento
affittato ai partiti Socialista e Comunista. Questo circolo era stato costruito
dai socialisti nel 1919 ed era passato in proprietà del signor Brezzi di
Vespolate nel 1921 a causa di debiti con il medesimo. Il contratto d'affitto, di
80000 lire mensili, scadeva nel 1960 e il proprietario l'avrebbe venduto per la
somma di trenta milioni. L'unica difficoltà era la presenza di inquilini. Venne
consultato un avvocato ma il suo intervento non fu necessario perché in una
serie di incontri con il presidente e il segretario del circolo era apparso
chiaro che i locali si sarebbero liberati più semplicemente del previsto. Per
il finanziamento era stato steso un piano che prevedeva un prestito dalla
CARIPLO e la collaborazione di tutti i parrocchiani. Nacque il "gruppo dei
500", persone che si impegnarono al versamento di mille lire al mese. In
occasione di una giornata straordinaria per la chiesa parrocchiale, la Nuova
campana di Sant'Agabio pubblicava un articolo in cui il parroco precisava la
destinazione pastorale del nuovo acquisto: si trattava anzitutto di continuare a
garantire alle famiglie operaie l'utilizzo di una struttura che trent'anni prima
era sorta con il loro contributo. Nei locali del Circolo Provera si sarebbero
svolte le attività di animazione per i giovani, il doposcuola, le iniziative
culturali e avrebbe ospitato il patronato ACLI, le attività dell'OMNI e la casa
del coadiutore. Nel clima di polemica caratteristico del dopoguerra, che pare
richiamare le avventure di don Camillo e Peppone di guareschiana memoria,
l'intenzione del prete di comperare il Circolo proletario divenne un caso che
fece discutere non solo Sant'Agabio ma l' intera città. Il tutto si concluse
con il trasferimento del Circolone in Corso Milano 7, nella nuova sede che prese
il nome di sezione "Di Vittorio". Sul pavimento del Circolo gli
aderenti alla cooperativa proletaria, prima di andarsene definitivamente,
lasciarono la scritta: "Vogliamoci bene". Il Circolo fu ribattezzato
"Convivio" per indicare la sua finalità di incontro e di
socializzazione fra la gente. Una storia d'altri tempi, quando i partiti
contavano e l'animo della gente si divideva, scaldandosi per le idee.
L'immigrazione dal sud: la Genestrona La fine della guerra e il boom economico
richiamarono a Novara una grande massa di immigrati, famiglie intere che si
trasferivano al nord alla ricerca di lavoro. Appena giunte in città queste
persone andavano ad abitare prevalentemente in due luoghi che divennero
tristemente noti: le case Bellaria, nel quartiere Cittadella e la cascina
Genestrona nel quartiere di Sant'Agabio. La comunità parrocchiale si sentì
fortemente coinvolta in questa situazione di emergenza: le strutture caritative
si mobilitarono e grazie soprattutto alla San Vincenzo fu anche possibile, dal
1962 al 1966, l'apertura di una scuola materna, che si chiamò asilo
"Righi" dal cognome di una donna morta in una disgrazia con i suoi due
bambini. L'asilo era costituito da sei locali più un piccolo cortile,
utilizzati anche alla sera per le attività di una scuola popolare destinata
agli analfabeti e a coloro che volevano completare il ciclo scolastico delle
elementari. D'estate la medesima struttura serviva come oratorio per i bambini e
le bambine, per i quali vennero organizzate anche gite in montagna e la
partecipazione al carnevale. Nel 1965 le persone che abitavano nella cascina
erano 173 e i bambini che frequentavano l'asilo più di 20. Al termine dell'anno
scolastico, nel 1966 erano scesi a quattro o cinque, segno che la popolazione
residente era diminuita. L'anno seguente non vi abitava più nessuno; molte
famiglie si erano trasferite in case popolari ubicate in altri quartieri della
città o in abitazioni all'interno del quartiere di Sant'Agabio. Il complesso
della Genestrona fu in seguito inglobato dalla Montecatini e oggi del cascinale
non rimane alcuna traccia. Il santuario della Madonna di Lourdes La prima idea
di costruire una chiesa nella zona del Cascinone risale al 1957 ed è
documentata dal secondo numero della Nuova Campana di Sant' Agabio :
l'iniziativa era frutto di uno studio attento condotto dal parroco monsignor
Eugenio Lupo circa la possibilità di uno sviluppo edilizio di notevoli
dimensioni nell'area più periferica della parrocchia, nota come Cascinone.
Venerdì 29 gennaio 1965, sempre sulla Campana appariva un altro articolo
intitolato: "Cascinone, quasi un paese", dove Giovanni Baraggioli
descriveva un paese della Bassa novarese, con il suo campanile, le scuole, le
cascine, la gente laboriosa, con le sue abitudini e tradizioni religiose,
introducendo poi una constatazione: anche il Cascinone ha queste caratteristiche
di paese, a cui manca però un elemento essenziale: la chiesa. Effettivamente
esisteva un locale al numero 64 di corso Milano, che fungeva da chiesa dal 1957:
era tenuto in ordine dalla gente della zona, la domenica vi si celebrava la
Messa, ma lo spazio era così poco che i fedeli erano pigiati all'inverosimile e
spesso erano costretti a rimanere anche all'esterno. Di qui la domanda rivolta
dall'articolista all'allora parroco monsignor Eugenio Lupo se si potesse sperare
nella costruzione di una nuova chiesa. Monsignor Lupo rispondeva invitando ad
affidarsi alla Madonna di Lourdes affinchè aprisse la strada alla soluzione del
problema della chiesa del Cascinone. Il giorno della memoria della Beata Vergine
di Lourdes il parroco dava notizia che un'ora prima della supplica era giunta la
concessione di un prestito e che si potevano avviare le pratiche, cercare l'
impresa e preparare i preventivi. Una volta preparato il progetto, esso fu
esposto nella chiesetta perché la gente potesse vederlo e fare le sue
osservazioni: su cinque pannelli veniva presentata la pianta centrale della
nuova chiesa, con il tetto e la cupola, la facciata, il fianco e l'interno. Il
giorno seguente l'esposizione dei pannelli gli uomini e i giovani furono
invitati ad una riunione per esprimere il proprio parere. Si decise di istituire
un comitato diviso in due settori: Onorario, del quale avrebbero fatto parte
tutti i capifamiglia della zona; ed Effettivo, composto da dieci persone. In
seguito si propose di includere nel comitato attivo anche qualche donna, in
rappresentanza di quella parte femminile che dopo le prime riunioni, si era
così espressa: "Se fossimo state invitate noi, invece che gli uomini, a
quest'ora la chiesa era bell'e fatta". Sorsero le prime difficoltà. Il
Cascinone era una zona definita semi intensiva, cioè una zona in cui le
costruzioni avrebbero dovuto sottostare a deternimate regole: distanze, rapporto
superficie, volume. Il problema stava nel fatto che il terreno su cui doveva
sorgere la chiesa non era sufficiente e le distanze dalla proprietà situata ad
ovest e dalla strada non erano rispettate. Il problema venne risolto con
l'acquisto di nuovo terreno. La chiesa avrebbe avuto la facciata rivolta a a
sud, parallelamente al corso Milano. La posa della prima pietra, inizialmente
prevista per il 31 maggio in concomitanza con la chiusura del mese mariamo, si
tenne sabato 12 giugno 1965. La popolazione si recò in processione con la
statua della Madonna dalla chiesa parrocchiale in via Cervina dove sarebbe sorto
il santuario. Il vicario generale monsignor Vittorio Piola, presidente dell'Oftal,
benedisse il terreno e la prima pietra, dando poi lettura della pergamena che
sarebbe stata murata. C'erano scritte queste parole: Nell'anno del Signore
millenovecentosessantacinque al dodicesimo giorno di giugno di Rosari e di canti
festante la Parrocchia di Sant'Agabio in Novara spiritualmente unita a Sua
Santità Paolo VI a Sua Eccellenza il Vescovo Placido Maria Cambiaghi offre al
Signore PER LE MANI DELLA MADONNA DI LOURDES QUESTA CHIESA ove il popolo di Dio
trovi la tenda di salute la casa di amore il soggiorno di pace nella vigilia
serena del Cielo "Signore, ascolta le preghiere del tuo popolo e fa'che
tutti coloro che entrano in questa chiesa ottengano le grazie che
chiedono". Monsignor Piola concluse impartendo la benedizione e ricordando
il doloroso sacrificio del progettista del santuario, che era rimasto vedovo.
Nel mese di gennaio 1966, dopo un iter che lo stesso parroco definiva una vera
odissea, i lavori erano finalmente iniziati. La chiesa era stata progettata dal
geometra Francioli, coll'approvazione dell'architetto Ceresa e venne realizzata
dall'impresa S.I.C.E. Il 31 maggio 1966 si tenne la conclusione del mese mariano
in una cornice davvero suggestiva: dopo la fiaccolata dalla chiesa parrocchiale
a via Cervina, il parroco celebrò la messa fra le mura del santuario, ripulito
e decorato di fiori per l'occasione. Il cielo faceva da volta alla chiesa ancora
senza tetto. Il parroco espresse il desiderio di collocare il tabernacolo fra le
braccia della statua della Madonna. Per quanto riguarda il finanziamento
dell'opera furono previste diverse iniziative: la prima fu una raccolta di
offerte tramite una busta distribuita a tutte le famiglie. Successivamente, per
pagare l'opera muraria, il cui preventivo ammontava a sei milioni di lire, si
decise di lanciare un prestito fra le famiglie di Sant'Agabio e le ditte, al
tasso del 6% e alla scadenza massima di restituzione di tre anni. Nel mese di
settembre 1966 la copertura a volta era realizzata e si sperava di benedire la
chiesa per la fine di novembre, perché fosse pronta per la festa
dell'Immacolata. L'11 febbraio 1967 il vescovo benedisse la nuova chiesa e vi
celebrò la Messa e il lunedì successivo iniziarono i lavori di pavimentazione
in marmo eseguiti dalla ditta Lombi. Furono poi collocati il tabernacolo,
l'immagine della Madonna, di Gesù e di santa Bernardetta, opere in rame del
Signor Barberi di Castelletto Ticino. La costruzione del santuario si è
rivelata provvidenziale a causa della notevole espansione del quartiere. La zona
del vecchio Cascinone è stata inglobata dalle nuove costruzioni, sono sorte le
nuove vie con gli insediamenti popolari e le scuole. La chiesa è diventata
così un punto di incontro e di riferimento per la gente della zona. La via don
Ponzetto. Sabato 18 marzo 1978 per il quartiere di Sant'Agabio fu un giorno
importante: alla presenza dell'onorevole Oscar Luigi Scalfaro, del vescovo di
Novara monsignor Aldo del Monte e del sindaco di Novara Ezio Leonardi veniva
dedicata una via a don Bernardo Ponzetto, prete salesiano, morto a 87 anni nel
1976. Don Ponzetto era giunto a Novara nel 1932 con il compito di dedicarsi alla
scuola ma ben presto cominciò ad essere conosciuto come autonomo di don Bosco,
dedito ad alleviare le tante situazioni di miseria presenti in città a Novara.
La via a lui dedicata nel quartiere di Sant'Agabio è una testimonianza della
riconoscenza per il lavoro pastorale svolto a favore dei lavoratori della
Montecatini. E' don Bernardo stesso a raccontare il suo operato alla
Montecatini: "Arrivato a Novara col compito preciso di attendere alla
scuola e alla chiesa annessa al Collegio, una pura casualità mi inserì nel
complesso industriale "Montecatini", e spiego. Attorno alla fabbrica
c'erano alloggi residenziali, occupati dalle famiglie dei tecnici, più
impiegati per l'assistenza dei congiunti. Essendovi parecchie persone anziane e
malaticcie, con la parrocchia piuttosto distante, fu chiesto al parroco di
concedere una messa festiva sul posto. Egli rispose che si cercassero un
sacerdote che venisse a celebrare, e lui volentieri avrebbe data
l'autorizzazione. L'Ing. Maveri, uno dei dirigenti, si rivolse al mio Sig.
Direttore, il quale non aveva sacerdoti liberi alla domenica, a meno che
riuscissi ad andarvi io in un ritaglio di tempo. Discorrendo tutti e tre
insieme, il momento poteva saltare fuori (...) dalle nove alle dieci (...) e
subito fu iniziata la messa festiva nel salone della mensa aziendale. Fra i
tecnici colà residenti trovai il sig. Baglioni, entusiasta del servizio
religioso che iniziava sul posto. Mi fu di grandissimo aiuto nel predisporre il
necessario. Da principio le funzioni si celebravano come detto sopra, in un
salone adattato opportunamente per le domeniche. -Il villaggio era piuttosto
popolato e poco a poco si fece strada l'idea di avere una chiesa sul posto.-
Come anima dirigente di tutto il complesso c'era l'Ing. Fauser, l'alter ego dei
Presidente Donegani. Caldeggiata l'idea in quella sede, le cosa fu presto fatta,
e la chiesa fu costruita sul più bel posto, cioè fuori della Montecatini, ma
subito sull'entrata, rasentata dalla strada che porta alla fabbrica, come
tutt'oggi si vede. Ultimata la Chiesa, fu redatta una convenzione col consenso
della Curia, della Parrocchia e col mio Ispettore, per cui io, già cappellano
del complesso, sarei il Rettore della nuova chiesa per il tempo della mia
permanenza a Novara. Col passar degli anni il mio inserimento nel complesso
"Montecatini" si fece sempre più intenso, in modo da assorbire gran
parte della mia attività. A mezzogiorno pranzavo nelle mense aziendali (.. ma
non lo riteneva troppo necessario .. ) e quindi, dopo un'ora di sosta
conversando un po' con tutti, prendevo nota delle svariatissime necessità delle
famiglie e mi interessavo per andare incontro nel miglior modo possibile".
La figura di questo sacerdote è rimasta impressa nella memoria di molti
abitanti di Sant'Agabio che lo ricordano con simpatia per la sua grande carità
e per l'originalità (da qualcuno ritenuta stravaganza) con cui esercitava il
suo ministero.
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