Tra l’ira e la grazia
Quando una persona è raggiunta per la prima volta dalla grazia di Dio si parla allora di conversione: si considera quella persona convertita o in cammino di conversione. Ma nel linguaggio corrente sembra che nessuno ritenga che la conversione sia ancora necessaria. Di conseguenza il termine derivato, riguarda solo una categoria ben precisa di credenti: quelli che hanno ricevuto la fede in età adulta. Perciò il neonato battezzato, che ha ricevuto la fede in tenerissima età, non sarà mai considerato tra i convertiti alla fede. Solo quelli che vivono al di fuori della fede, oppure quelli che vivono nel peccato, dovrebbero preoccuparsi della conversione.
Eppure la Bibbia parla spesso e in modo esplicito di conversione, e della conversione di ciascuno. Già l’invito di Giovanni Battista è indirizzato in questo senso: "Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!" (Mt 3,2). E’ questa vicinanza che rende necessaria la conversione.
Giovanni Battista collega così la conversione con la presenza di Gesù, con il giudizio imminente e con il fuoco acceso dall’ira di Dio. Ira e vendetta attribuite a Dio sono certamente categorie non facili da accettare. Sono concetti che fanno parte della cultura veterotestamentaria. Eppure alle soglie del Nuovo Testamento la venuta di Gesù è annunciata proprio con questa immagine: nella persona di Gesù, Dio Padre ha impugnato il ventilabro ed è pronto a ripulire la sua aia. Questo è il battesimo portato da Gesù: battesimo per la conversione, ma anche battesimo in Spirito Santo e fuoco.
Sembra perciò indicare che dobbiamo ancora far fronte all’ira di Dio e che questo può avvenire solo in Gesù Cristo.
Molto tempo dopo la morte e la risurrezione di Gesù, San Paolo – nella sua grande sintesi teologica sulla grazia – scriveva alla comunità di Roma: "L’ira di Dio si rivela" (Rm 1,18). Ma in altro passo dice pure che anche la gloria deve rivelarsi (Rm 8,18). L’amore e la grazia sono eccezioni in rapporto all’ira. Lo stato di grazia è allora la nostra condizione primaria: eccezione colma di amore, a motivo di Gesù Cristo, il Figlio di Dio.
Altri passaggi del NT ci illuminano maggiormente su questa ira di Dio. Paolo utilizza spesso l’espressione "l’ira che viene" (Ef 5,6; Col 3,6), mentre Giovanni preferisce parlare dell’ira già venuta (Gv 3,36). L’Apocalisse parla del "gran giorno dell’ira, il giorno in cui Dio "darà da bere la coppa di vino della sua ira ardente" (Ap 16,19).
L’immagine della coppa dell’ira che Dio ci fa bere è molto vicino all’altra coppa di cui ci parla la Bibbia: il calice della passione di Gesù. Ebbene nelle mani di Gesù la coppa dell’ira diventa il calice della salvezza, la bevanda mortale dell’ira diventa una bevanda d’amore. O noi siamo ebbri dell’ira di Dio o dell’amore di Dio, ma il passaggio dall’una all’altra può avvenire solo Gesù e grazie a lui. Questo passaggio richiede molto tempo e nulla è assicurato, anche se Paolo ci esorta a guardare con fiducia verso l’ira ventura:
"Ma se Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. A maggior ragione ora, giustificati per il suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. Se infatti, quando eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita" (Rm 5,8-10).
In un altro passaggio Paolo afferma che è Gesù "che ci libera dall’ira ventura" (1Ts 1,10). Siamo stati liberati una prima volta dall’ira quando i nostri peccati sono stati cancellati dal battesimo, ma eccoci nuovamente confrontati a questa stessa ira di Dio che è ancora davanti a noi.
Da questo deriva la grande importanza del momento presente: è il Kairòs, il tempo della salvezza nel quale viviamo e nel quale ci è concesso di operare la scelta decisiva. Questa scelta decisiva tra l’ira e la grazia – che è poi la scelta di oggi per domani – è proprio quello che chiamiamo la conversione.
Questa parola è la traduzione del termine neotestamentario metanoein, che a sua volta rende l’espressione ebraica shub. Questa radice semitica significa voltarsi, tornare sui propri passi, convertirsi. Il termine greco metanoein contiene due radici di cui la prima indica il capovolgimento, mentre la seconda indica cosa viene sconvolto, cioè il nous, il fondo spirituale, il nostro cuore più profondo.
Si tratta di una rivoluzione all’interno di noi stessi, che il termine conversione, ormai quasi in disuso, non rende con forza sufficiente. Si tratta di un cambiamento radicale col quale una persona torna sui suoi passi per imboccare una nuova direzione.