25 marzo 2006 – Annunciazione della B. V. Maria

Gita parrocchiale a Bologna, alla scoperta di Giotto
(Clicca sulle foto per ingrandirle)

di Alessandro Bortolamasi

I biglietti

Sabato 25 marzo, ore 13:45; alla stazione di Modena c'è un mare di gente. Rassicuro Chiara: «Vedrai che Mauro ha organizzato tutto e ha già preso i biglietti!». Quando lo vedo in coda alla biglietteria, lo raggiungo e gli domando: «Come? non hai fatto i biglietti?». «Li sto facendo adesso», risponde sorridendo, con l'imperturbabilità del saggio. La nostra piccola comitiva passa qualche minuto di smarrimento, finché il Cav. Bianchi non prende in mano la situazione. Come un buon pastore, ci raduna e ci conta (siamo in nove); poi affronta la biglietteria automatica, per la prima volta in vita sua. È un grande successo: in breve siamo tutti muniti di regolari titoli di viaggio.

Il museo

A Bologna il sole scalda più del previsto: alcuni di noi hanno ancora i vestiti invernali e stanno lentamente evaporando. Tra la folla dei portici, arriviamo al Museo Civico Medievale per visitare la mostra “Giotto e le arti a Bologna”, sulla fioritura artistica della città attorno al 1330. Peccato che non abbia potuto venire Rita Tonelli, la prof che per prima ha portato un corso di Storia dell'Arte nella nostra Parrocchia;la rivedremo alla prossima lezione (domenica 9 aprile), sperando che non ci interroghi sulla mostra. Mauro compra i biglietti e prenota la visita guidata, che inizierà alle 16:30. Quindi abbiamo un'ora e mezza per andare a spasso.

A spasso

Eccoci in Piazza Maggiore. Oggi la Basilica di San Petronio è chiusa: gran parte del clero bolognese è a Roma per festeggiare il Vescovo Caffarra, appena nominato Cardinale. Gianni Carrieri esplora l'Ufficio Turistico, ma purtroppo non trova nessuna notizia dell'affascinante tour delle fogne di Bologna. Sinceramente dispiaciute, le signore guidano la comitiva lungo vie secondarie, sovrabbondanti di colori e di gente, fino a una galleria piena di boutiques e negozi di lusso. Da una vetrina luccicante di ori e gemme si affaccia un gioielliere con la faccia da aguzzino. Con uno strattone Gianni allontana sua moglie Monica da quel luogo di perdizione.

Gli occhiali cinesi

Ma ormai la voglia di shopping è irrefrenabile: sotto i Portici del Pavaglione le signore osservano e commentano le vetrine, poi Monica non si trattiene più e si fionda in un negozio a caso. Per fortuna non è una gioielleria, ma uno spaccio di articoli Made in China. Esce tutta contenta con un paio di occhiali da sole da 3 euro, e orgogliosa li mostra a tutti, anche a me. Poi si ricorda che sono un ottico e prova ad addolcire il mio sguardo severo chiedendomi un parere tecnico. Mi sforzo di essere cortese e dico che possono dare qualche fastidio dopo una mezz'oretta. Ma in realtà – come prevedevo - Monica accusa i primi disturbi già dopo 30 secondi: cammina piano piano con le mani avanti, e ogni due passi dice: «Ma siamo in salita?» oppure «C'è una buca?» oppure «Perché siete così piccoli?».

Il complotto

Brancolando tra la folla, ci dirigiamo verso il museo. Tutto preso dall'arte, Mauro illustra l'eleganza dei palazzi e la finezza delle decorazioni fatte con il cotto. «Ti piace?», mi chiede. «Sì – rispondo -, mi piace il cotto; però preferisco lo speck». Da quel momento il gruppo mi isola, e per qualche minuto l'Ing. Cuoghi e il Dr. Carrieri complottano su come eliminarmi; ma appena si rendono conto di essere osservati dalla Polizia, decidono di rimandare.

La mostra

Alle 16:30 cominiciamo la nostra visita alla mostra: entriamo tutti e 120 nella prima saletta, che misura metri 3 per 2 e mezzo. Nonostante il sovraffollamento e il caldo, ascoltiamo con attenzione. La guida descrive su una mappa come si è sviluppata Bologna fra il 1327 e il 1333, quando si preparava a diventare corte papale. Ma il progetto naufragò, perché il Papa a Bologna non giunse mai.

Gli storici successivi descrissero quegli anni come un periodo di decadenza, perché la città fu privata di alcuni diritti e salassata da imposte per finanziare le molte opere realizzate. Ma questa mostra testimonia che non si è trattato di una decadenza, bensì di una fioritura di Bologna - almeno dal punto di vista artistico.

Un linguaggio nuovo

Osserviamo alcuni esempi delle “arti minori” (oreficeria, miniatura, lavorazione dell'avorio), che danno un'idea del finissimo gusto e delle straordinarie capacità degli artisti del Trecento; ma sono le opere maggiori che ci impressionano di più. Tre statuette marmoree di santi, un tempo parte di un Polittico la cui Madonna è oggi al Louvre, mostrano il valore degli artisti chiamati a Bologna: il marmo è modellato così dolcemente da sembrare cera, la luce scorre sui panneggi e si perde nei ricami e nelle barbe, i volti appaiono delicati e intensi. Sono passate poche generazioni dai Maestri Campionesi, ma quanto è già diverso il linguaggio della scultura!

E poi c'è Giotto. Al centro del Polittico c'è la Madonna col Bambino in trono; ai suoi lati gli Arcangeli, Gabriele che annuncia e Michele che sconfigge il drago; agli estremi i Santi Pietro e Paolo. La predella rimanda alla Crocifissione, non descrivendo tutta la scena, ma mostrando solo i volti dei protagonisti. È come se Giotto facesse degli “zoom” per mostrare solo ciò che gli interessa: le espressioni, il pathos. Questa è la novità: i santi non appaiono più distaccati dal mondo, come nell'arte bizantina, ma sono presentati nella loro dimensione umana, molto concreta sia nella fisicità che nei sentimenti.

La Madonna di Giotto

Accanto c'è un'altra Madonna con Bambino di Giotto. La mia impressione, guardando sia l'una che l'altra immagine, è di vedere delle scene vere, con una donna e un bambino veri. Lei è consapevole che le stanno facendo un ritratto, e accetta di stare in posa; ma il bambino non sta fermo, non gli importa che lo stiano guardando. Ora per lui il mondo è solo la sua mamma: la guarda rapito, con una manina le tocca la guancia, con l'altra lo scollo della veste. Lei lo capisce, ma con le mani cerca di tenerlo fermo e composto, come se gli dicesse: «Sta' buono, ora non posso… Dopo!». È una scena estremamente dolce e reale; per capirla non servono la teologia, la scienza o la filosofia: basta soltanto il cuore.
Mi soffermo a lungo a guardare i dettagli degli occhi, le iscrizioni latine, le bulinature del fondo oro. Non c'è nessun vetro: la tavola è lì, a 20 centimetri dai miei occhi. Penso che un Giotto così da vicino non lo vedrò mai più.

Ci sono ancora due Crocifissi e quattro o cinque tavole di artisti locali, di cui due di ottima fattura. Ma ormai il caldo e la mancanza di spazio hanno esaurito le nostre forze. La visita è finita.

Il ritorno

Tornare al fresco e alla luce dell'atrio ci dà un senso di sollievo; ci scambiamo qualche commento, poi decidiamo di tornare alla stazione perché sta venendo tardi. «Sono le sei», dice la Signora Bianchi. «No, sono le diGiotto!», ribatto senza vergogna, congelando i miei compagni di viaggio.

Lungo Via Galliera torniamo alla stazione, correndo fino al binario 10 per prendere il treno delle 18:22.

C'è folla ma riusciamo a sederci. Provati dalle lunghe camminate, dal caldo inatteso e dalle mie battute, siamo tutti molto stanchi. Qualcuno si accorge che nella corsa finale abbiamo perso contatto con i coniugi Bianchi, ma l'Ing. Cuoghi non se ne preoccupa: 2 dispersi su 9 sono il 22%, quindi anche meno della media della Cuoghitour.

Durante il viaggio, mentre io fingo di meditare per darmi arie da intellettuale, quasi tutti si assopiscono, e Monica ne approfitta per buttare dal finestrino i suoi nuovi occhiali da sole. Gianni Carrieri cade ben presto in un sonno profondo, dal quale si risveglierà solo due ore dopo, a Piacenza. I coniugi Bianchi sono tuttora dispersi.